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(144: Flashback, poco dopo l'incidente...)

Era passato molto tempo dall'incidente... Maya non lo quantificava. Non le andava di mettere i giorni in fila, di contare da quanto tempo non sentiva la voce di suo fratello, i suoi abbracci, e, perché no, i suoi rimproveri.
Era tornata a Londra e stava male già da una settimana. Viveva da sola, nella stanzetta di una pensione, e la padrona, argentina come lei, andava tutti i giorni a controllarla. La ragazza cercava di tenere in ordine la stanza e, da dopo l'incidente, febbre o non febbre, studiava economia, diritto, marketing e così via... materie che a suo fratello erano state letteralmente imposte. E forse era per quello che si era ammalata: tra il pianoforte, le faccende, un lavoretto per pagare l'affitto e lo studio compulsivo, ecco che il suo corpicino gracile aveva finito per cedere al peso dello stress. Stava mettendo un po' di denaro da parte, per tornare a casa. Sapeva che sarebbe finita nella tana del lupo, ma doveva: Flor non ce la faceva a tenere le redini di tutto da sola, la strega aveva la tutela dei ragazzi, Franco era persino più impulsivo di lei, Nico era atterrito, Martin, con la sua asma, non poteva restare a contatto con quelle streghe da solo... e il piccolo Thomas, infine, logorato dal terrore dell'orfanotrofio, era diventato aggressivo e veniva puntualmente punito. Greta, sfiancata dalle faccende, poteva fare ben poco, e poi Flor era innamorata, preoccupata per i ragazzi... era chiederle troppo, fare da sola. La piccola Fritzenwalden era forse l'unica in grado di fare qualcosa.
Prese la foto di suo fratello, che teneva sempre sotto il cuscino, e l'accarezzò dolcemente con le dita fredde.
"Ci penserò io alla nostra famiglia, Fede. Dammi il tempo di racimolare i soldi per tornare a Buenos Aires. Ti prometto che nessuno farà più del male a Flor e ai ragazzi." E baciò dolcemente la foto.
In quel momento sentì qualcuno battere delicatamente alla porta.
"Buongiorno, piccola!" salutò la donna, gentilmente.
"Signora Moncha... prego, entri" disse la ragazza, provando ad alzarsi dal letto... ma ricadde miseramente sulla schiena. "Mi perdoni, ho cercato di mettere un po' in ordine, però..."
"Oh, andiamo, piccola! Lo sai che non è un problema... fa' vedere" disse la donna, avvicinandosi e sentendole la fronte. "Ah, tesoro: la devi smettere con quei libri. Mi sa che se ti vedesse tuo fratello... quello che ha parlato con me... oh, perdonami!"
"Ma no, non si preoccupi... mi piace parlare di mio fratello." disse Maya, forzando un sorriso... ma era innegabile che le facesse male.
"Sarebbe orgoglioso di te, tesoro. Ma ora metti via quel libro, che avrai almeno 38 di febbre."
"Le ha chiesto lui di prendersi cura di me?" le chiese Maya.
"Beh... diciamo che mi chiamava spesso per chiedere di te."
"Oh... ha sentito qualcuno da casa mia?" chiese la giovane, sfregandosi le mani gelide sul volto accaldato.
"Tuo fratello Nicolas... dice che va tutto bene e ti raccomanda di riguardarti." le rispose la signora Moncha.
La ragazza rimase lì, a fissare il soffitto. Pregò che si aprisse una crepa lassù, che Fede vi si calasse in picchiata e le dicesse: "Ehi, diavoletto, era uno scherzo, sto bene!", ma non accadde niente di tutto questo.
Una lacrima le rigò il viso di porcellana, seguita a ruota da un'altra, un'altra e poi un'altra ancora.
"No... mi... mi scusi... io..."
"Vieni... sei una ragazza così giovane... hai anche il diritto di piangere un po' per un'ingiustizia!"
"Ho paura... ho paura che i bambini finiscano in orfanotrofio. Io... io sono lontana, dovrebbero cercarmi... ma loro... potrebbero separarli... ho gli incubi tutte le notti... mio fratello... Fede... è incatenato non so dove. I più piccoli sono stati adottati e separati... hanno dei segni addosso, perché la stre... perché hanno trovato il peggior orfanotrofio che esista, per loro... e poi si guardano, ma non si riconoscono... hanno paura di tutto... hanno cambiato nome... la mia famiglia va a scatafascio... e tutto mi crolla intorno, io..."
E Fede, che guardava la scena senza poter intervenire, sentiva i lucciconi agli occhi premere per mutarsi in lacrime... anche gli angeli dovrebbero poter piangere... ma le lacrime non venivano mai... non ricordava più come si facesse a farle scendere. Tirò un pugno allo schermo, ma l'unica cosa che accadde fu un rumore sordo. Nemmeno una crepa lacerò quel vetro... niente di niente.
"Ehi!" Il suo angelo, quello che l'aveva accolto, gli batté un'ala sulla spalla. Lui si girò lentamente. Il dolore che aveva dentro lo lacerava a tal punto che aveva creato dei tagli sul suo viso... in fondo ora il suo "corpo" era fatto solo d'anima e nient'altro.
"Aiutami ad andarmene, ti prego!" supplicò il giovane, riconoscendo l'angelo. "Aiutami a tornare indietro... non ce la faccio più... se questo è il Paradiso, l'Inferno è dentro di me... ti scongiuro, aiutami!"
"Ma dimmi: cosa senti?" chiese l'angelo.
"Sono morto... eppure mi sento morire dieci, cento, mille volte ogni secondo... sento l'anima che mi brucia, che si strappa, che fa male... ti prego, ti supplico, aiutami!"
Quegli occhi eterei non potevano piangere, ma la voce di quel giovane era alterata dal dolore, irriconoscibile: era un pianto senza lacrime. Su quel corpo fatto di sola anima c'erano graffi, abrasioni, bruciature... ma non poteva essere! Era in Paradiso, nessun dolore avrebbe dovuto più toccarlo. Non era stato condannato ad una tale sofferenza, ma quel poveretto ne era letteralmente logorato.
"Almeno so che loro non possono vedermi ridotto così... ma non mi resta più niente, niente! Mandatemi giù all'inferno... tanto ormai è lo stesso!"
"Non capisco... eppure il passaggio in Paradiso dovrebbe cancellare tutto il dolore... non può essere!"
"Io non dovrei essere qui... io non... non dovrei..." balbettò lui, e ogni parola gli faceva male. Più parlava, più ferite si aprivano sul suo corpo immateriale.
"Forse hai ragione... forse tu non dovresti stare qui. Non ancora, almeno" disse l'angelo.
"Allora aiutami, per favore! Aiutami a tornare!" lo implorò Fede. "Anche se dovrò stare ancora con... con... quella... s-strega... almeno potrò rimanere a proteggere la mia Flor, i miei ragazzi... ti prego, angioletto... TI PREGO!"
"Lo farei, credimi! Non sopporto di vederti così, ma se il Capo non lo permette non posso aiutarti!"
"Allora? Mi sembrava di averti detto che qui non si parla male di nessuno, ragazzo!" intervenne il capo. "E tu, Gabriele... non mettere strane idee in testa al ragazzo!"
"E allora mi mandi dove le pare, non m'importa più di niente! E lo dirò fino all'eternità: quella è una strega, Una Strega, UNA MALEDETTISSIMA STREGA!"
Il capo non ribatté. Forse anche lui si era convinto del fatto che Fede non avrebbe dovuto essere lì... non in quel momento, almeno.
"Se non posso aiutare la mia famiglia non m'importa più di niente, Capo!" E detto questo, Fede tornò a guardare lo schermo, nel quale in quel momento vedeva il suo diavoletto ribelle.
La povera Maya, piangendo tra le braccia della padrona della pensione, si era finalmente calmata.
"Ascolta" le disse piano la padrona della pensione. "Io ora devo uscire. Sai... devo andare a... a pagare le bollette... ma già che mi trovo ti porto qualche antipiretico, va bene? Stai tranquilla, tesoro!"
"Non si preoccupi... ho ancora qualche compressa per il mal di testa." sussurrò la ragazza, sdraiandosi sul letto.
Quando la padrona di casa lasciò la stanza, la ragazza riconobbe lo squillo del suo telefono. Si trascinò giù dal letto, raggiunse la mensola e prese il suo cellulare.
Rimase raggelata quando lesse il nome del contatto. "Fratello isterico!" L'aveva salvato così dopo una discussione e da allora aveva dimenticato di cambiare il nome.
"Fede!" esclamò, irrazionalmente, rispondendo al telefono. "Fratellino..."
"Come? No..." balbettò la voce dall'altro capo del telefono. "Non... non sono Fede... io..."
"Oh, Matias... santo cielo, perdonami... ho visto... il numero... e... e ho pensato..." balbettò, desolata. Stava per scoppiare a piangere, ma si schiarì la gola e fece un respiro profondo. Non sapeva se in quel momento fosse lui quello che le accarezzava la testa, ma decise di fare come lui. Un muro di ghiaccio attorno al cuore, solo per il tempo della telefonata... solo per qualche secondo... niente lacrime. Doveva resistere. Per lui.
"Mi dispiace... sto venendo lì, però... ho preso il telefono sbagliato... io... quella strega mi ha allontanato, perché... perché se io me ne vado, la causa contro di lei non può continuare."
"Oh, santo cielo... non ci voleva!" esclamò la ragazza. "Va bene... ascolta: non lo fare! Non andare assolutamente all'aeroporto... nasconditi, va' in garage o dove vuoi... ti prego! Io... io ho quasi la totalità dei soldi per il biglietto di ritorno... vendo alcune cose e torno a Buenos Aires..."
"Perché lo vuoi fare?" chiese l'avvocato.
"Perché mi sono messa a studiare... prima che quella carogna sperperi tutti i sacrifici di mio fratello dovrà passare su di me... e i miei fratelli non si toccano!"
"Mi sembra di sentir parlare... no, niente... lascia perdere! Comunque tu sei malata, quindi a casa ci torniamo insieme. Vengo a prenderti io, e ci metteremo in viaggio solo quando ti passerà la febbre."
"No... ascolta: non pensare a me, io... io non so quanto mi ci vorrà per riprendermi, ti prego!"
"E va bene, allora faremo così. Io ti raggiungo lì comunque: non puoi metterti in viaggio da sola, se non stai bene... ce ne andremo subito, ma insieme!"
"Perché lo stai facendo?"
"Ho fatto una promessa... ho giurato a tuo fratello di proteggerti... e se vuoi saperlo non ti ho dimenticata... e dubito che ti dimenticherò mai..."
"E va bene... allora vieni a prendermi... ma fa' presto! I ragazzi sono in pericolo! Dobbiamo sbrigarci, ti prego!"
"Scusami ancora... per il telefono... non volevo confonderti: mi sono sbagliato."
"Non importa... va tutto bene."
Ma non andava bene per niente.
Quella voce le era sembrata così simile a quella del fratello... eppure non era lui... non poteva essere lui, non lo sarebbe mai più stato. Mai più.
"Piccola... ti prego, non fare così!" mormorò il giovane, guardando fisso lo schermo... ma lei non poteva sentirlo.
"PERCHÉ MI HAI FATTO QUESTO?" gridò Maya, rivolta al cielo. "PERCHÉ L'HAI PORTATO VIA? SEI CATTIVO, SEI CATTIVO!" Ed esplose in un pianto disperato. Avrebbe voluto parlare con Flor... ma lei aveva già il suo, di bagaglio di sofferenze. La ragazza non sapeva nemmeno con chi ce l'aveva... sapeva solo che qualcuno le aveva portato via i suoi genitori, poi suo fratello... chiunque fosse, aveva esagerato. La ragazza afferrò il cuscino, se lo premette sul volto e soffocò le urla e i singhiozzi. Voleva spaccare qualcosa, ma non poteva... quindi si conficcò le unghie nelle guance.
"Ti prego... ti prego, diavoletto ribelle, smettila... così ti fai male... così mi fai male!"
Fede la guardava e non sapeva come aiutarla. Gli erano venuti i brividi, quando aveva fatto il suo nome, e avrebbe voluto andare lì ed abbracciarla, ma ogni volta che si sporgeva in avanti, qualcuno o qualcosa lo respingeva.
"Non puoi fare niente per lei!" disse una voce, che però fu subito coperta dalle grida di Maya.
"PERCHÉ MI HAI FATTO QUESTO?" gridò ancora la ragazza. Poi, con voce flebile e stanca, sussurrò: "Sgridami... rimproverami per la scuola... dimmi qualcosa, ti prego!"
"Smettila di guardare! Non puoi aiutarla, ragazzo!"
"Sì, invece... è lei che non me lo permette" ribatté Fede, con rabbia. Non gl'importava. Che il Capo lo sbattesse pure fuori... non gl'interessava più nulla, se non poteva aiutare la sua famiglia o stare con la donna che amava più di ogni altra cosa al mondo.
"È dura per tutti, tesoro." disse una voce. Margarita! Gli accarezzò le guance coperte di segni, piene di lacrime che non venivano mai... era tutto un inferno.
"Non so dove ho sbagliato per meritarmi questo... ma chiunque abbia messo su questa punizione, ha fatto la scelta più giusta e crudele, davvero! So che ho fatto tantissimi errori... troppi... ma la mia Flor e i miei ragazzi non c'entrano.... loro non ne hanno colpa!"
"Tu ci tornerai, sulla Terra, Fede... o non mi chiamo Margarita Valente!" disse la donna. "Ti aiuterò io, te lo prometto."
"È una tortura, Margarita... è una tortura... fa male!"
E d'improvviso quegli occhi si colmarono di lacrime. Una schiera di angeli si radunò attorno al giovane. Qualcuno lo accarezzava sul volto e sulle braccia, per lenire il suo dolore, qualcun altro gli trasmetteva calore... ma le lacrime imperversavano, inarrestabili... era la prova definitiva.
"Capo! Capo, guardalo!" esclamò l'angelo che l'aveva accolto. "Dopo il passaggio in Paradiso un'anima non può più piangere... lui non deve ancora stare qui... non ancora... dovremmo permettergli di tornare a casa..."
Questa constatazione fu fatta poco prima che il Capo si convincesse a far tornare il giovane dalla sua famiglia.

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