131: La famiglia Fritzenwalden al lavoro
"Succede che devi andartene!"
Mentre pronunciava quelle parole, Fede guardava in cagnesco il Conte. Sentiva che quello era troppo anche per lui: non era un angelo. Quell'uomo aveva messo in pericolo la vita della sua famiglia, dei suoi figli, di Flor... di tutti quelli che ora lo appoggiavano, lanciando occhiate di fuoco al Conte.
Per fortuna nessuno era rimasto ferito da quella specie di sisma, ma era dentro che tutti erano devastati, ed era solo questione di tempo prima che accadesse qualcosa di grave a uno qualunque di loro.
"E va bene. Se vuoi che me ne vada, vorrà dire che lo farò, ma prima spiegami il motivo" disse il Conte, che aveva la mente annebbiata.
"Perché mi hai tradito... hai messo in pericolo la mia famiglia, e posso perdonarti tutto... puoi screditarmi come uomo, come tutore, puoi dire che sono un poveretto perché ho scelto di mettere su famiglia con la donna che amo... ma questo no... questo non posso perdonartelo..."
Il Conte provò a cercare sostegno in uno qualunque di quegli sguardi, ma tutti, persino il suo fedele maggiordomo, sembravano ostili.
"Flor... perché vuoi che me ne vada?"
"Lo sai bene" rispose Flor, spostandosi da lui.
"No, non lo so! Ti giuro che non lo so! Ditemi voi dove ho sbagliato, per favore!"
Thomas, Roberta e Dominick fecero un passo avanti, stringendosi le mani.
"È molto semplice. Ti sembra giusto tutto questo? Ti sembra giusto metterci nelle mani di una strega che vuole solo farci del male e di chiunque decida di allearsi a lei? Ti sembra giusto, questo?"
"Ti sembra giusto?" ripeterono all'unisono Roberta e Dominick.
"Tu non trovi una spiegazione al fatto che vogliamo che te ne vada? Beh, neanche noi troviamo una spiegazione a quello che ci hai fatto!"
"Basta, bambini!" disse Reina. "Non hai ritegno, Massimo! Queste creature potevano farsi del male, potevano restare coinvolte nel crollo della casa, e a te non è importato nulla! La colpa di tutto questo è soltanto tua, hai capito?"
Flor, intanto, piangeva in silenzio. Aveva sperato davvero che ci fosse un pizzico di bontà in quell'uomo, ma ora lo scopriva completamente arido.
"Non capisco... non capisco, ve lo giuro! Thomas, ascolta: tu sei arrabbiato per qualcosa, tutti siete arrabbiati per qualcosa... ma io non so di cosa si tratti, non lo so! Mi spiegate che cosa succede? Per favore, sto diventando matto, davvero!"
"Non hai sentito Fede? Ti ha detto di andartene, quindi ora, per favore, vattene" disse secco Franco.
Il Conte, pallido, stravolto e confuso, s'incamminò a testa bassa, senza neanche prendere i suoi effetti personali. Tutti lo guardarono andare via e si soffermarono su uno sconvolto Evaristo, che si era visto crollare davanti agli occhi non solo quella casa, ma anche le sue speranze.
"Perdonatemi" sussurrò Evaristo. "Non immaginavo... non potevo immaginare..."
"Non è colpa tua, Evaristo."
Fede gli prese gentilmente il braccio e sorrise, comprensivo. Il povero Evaristo non sapeva niente di quello che il Conte avrebbe fatto, ma, ipnotizzato o no, Fede non riusciva a perdonargli di aver messo in pericolo la vita dei suoi cari.
"Non me ne vogliate... ma io devo... devo andare con lui."
"Nessuno ti condannerà per questo, Evaristo" disse Flor con tenerezza. "Gli vuoi bene, ed è giusto così. Va' pure con lui... ma mi raccomando: sta' attento a te e a lui, va bene?"
"Signorina Florencia... signor Fritzenwalden... siete così buoni!" singhiozzò Evaristo. "E sappiate che nemmeno io vi condanno per aver allontanato il mio signore. La sua anima è fragile, magari quella donna l'ha spinto a comportarsi così con qualche promessa... potrebbe mettervi ancora in pericolo... e io lo capisco."
Detto questo, senza aggiungere altro, il maggiordomo entrò in casa per prendere le sue cose e quelle del suo signore. Fatto questo tornò all'esterno e si allontanò a testa china, senza voltarsi a guardare.
I Fritzenwalden, rimasti fuori, rimasero a guardare la villa. Il cancello era stato quasi divelto dalla potenza di quello strano terremoto, alcune travi del tetto avevano ceduto e c'erano vetri sparsi dappertutto. L'unica cosa che fosse rimasta in piedi era l'albero di Flor, che probabilmente era stato anche l'unica cosa che in grado impedire alla casa di crollare. Il portone della casa era stato per metà divelto anch'esso e bastava avvicinarsi per vedere sedie rovesciate, vetri sparsi dappertutto e giocattoli, libri e chi più ne ha più ne metta sparsi sul pavimento. Per fortuna erano usciti tutti in poco tempo dalla casa, per quanto numerosi fossero, altrimenti probabilmente sarebbero crollati sotto il peso del soffitto del soggiorno, distrutto anch'esso.
"Fede..." sussurrò incerta Flor. "Dobbiamo andare a vedere in che condizioni sono le stanze al piano di sopra."
"Sì, ma potrebbe essere pericoloso." disse Fede, con esitazione.
"Lasci che venga anch'io, signore" disse Pedro.
"No... no, per l'amor del cielo, no! Devo andarci io!" disse Fede.
"Vengo anch'io" gli disse Flor. "Non protestare, signor Freezer! Stiamo insieme e condividiamo tutto, nel bene e nel male. Per favore... fammi venire con te!"
Fede, non potendo fare altrimenti, entrò in casa insieme a Flor.
Arrivati ai piedi della scala, dopo aver schivato libri e cuscini, si scambiarono uno sguardo: la scala era pericolante.
"Aggrappati a me" disse Fede.
Flor non gli fece domande: si attaccò alle sue spalle e lui si mutò in fantasma. Salirono in cima senza toccar terra. Le porte della camera si erano parzialmente piegate, i letti erano rovesciati, gli armadi distrutti e gli abiti ammassati per terra. Sembrava che ci fosse stato un terremoto vero.
In qualche modo riuscirono a prendere tutto quello che le stanze contenevano e portarlo fuori con dei carrelli improvvisati posti accanto alla porta. Spinsero tutto fuori e misero su dei letti in giardino e nella parte agibile del pianterreno.
"Pedro, tu te ne intendi di riparazioni?" chiese Fede.
"Sì... ma dovremo procurarci molto materiale" rispose Pedro, "e temo che facendo da solo ci metterò un bel po'. Ma non possiamo contattare degli operai, perché... dall'esterno sembra che la casa non abbia problemi... venga a vedere!"
Fede corse all'esterno e con sua grande sorpresa vide che era proprio vero: agli occhi di chi non abitava in casa Fritzenwalden, per qualche strano motivo, la casa sembrava in perfetto stato, come se nulla fosse successo.
"Bene... senti, fammi una lista di tutto quello che occorre per rimettere a posto la casa... cercheremo d'impegnarci tutti per rimetterla a nuovo." disse Fede. "Se c'impegneremo tutti dovremmo farcela in tempi molto più ristretti... non possiamo fare altrimenti."
"Certo, signore. Ho trovato un foglio di carta e una matita" disse Pedro. "Ora le scrivo tutto, poi un gruppo di noi dovrà andare ad acquistare il materiale e dopo dovremo metterci all'opera."
Nel frattempo, Flor, che aveva sentito tutto, prese in mano un'altra parte dell'organizzazione, mettendo su una tabella di turni, con l'aiuto di Martin, in modo che i gemellini fossero costantemente sorvegliati, ci fosse abbastanza mano d'opera e tutti potessero riposare per qualche ora, e si occupò della distribuzione dei posti-letto.
"Ragazzi, mi raccomando. Dovete fare in modo da memorizzare quello che ci siamo detti. La casa dev'essere di nuovo agibile il prima possibile... purtroppo non possiamo chiedere aiuto a nessuno, da fuori non sembra che la situazione sia così disastrosa. Solo noi che siamo coinvolti possiamo vedere tutto questo..."
"Non ti preoccupare, Flor" disse Emma, che stava aiutando la ragazza a cambiare i gemellini, decisamente irrequieti. "Saremo la famiglia Orologio Svizzero!"
"Molto bene! Dovremo essere... no, non un orologio svizzero: un branco di laboriose formichine... solo così la nostra casa tornerà ad essere come prima... anzi: forse persino più bella!"
I ragazzi applaudirono. Un uragano si era appena abbattuto su di loro, ma ne avevano passate così tante che avevano imparato che rimanere lì a piangere era perfettamente inutile.
Mentre Pedro, Sandra, Sofia, Bata, Ariel e Rosita andavano ad acquistare il materiale, Titina, Oscar e Antonio raccattarono pentole e fornelli, li pulirono, li rimisero insieme e si misero a preparare qualcosa. Greta e Beba, pur soffrendo con la schiena che faceva loro un male tremendo a causa degli urti violenti dovuti alla scossa, si chinarono per raccogliere i cuscini, li pulirono a dovere e ricomposero i divani, che per fortuna non si erano rotti. Amalia si occupò di lavare il pavimento del salotto. I gemelli, insieme alle rispettive ragazze, misero su un accampamento in giardino, mentre i bambini, aiutati da Amélie e Gonzalo, si occupavano di metterne su un altro nella playroom. Matias, con l'aiuto di Eduardo ed Alberto, si occupò invece delle quattro culle, che per fortuna non avevano subito grossi danni, mentre Flor, che sentiva un sempre crescente senso d'inadeguatezza, si occupava dei gemellini, camminando avanti e indietro per dare il latte all'uno o all'altro, cullarne un paio, trattenere gli altri che non volevano saperne di dormire. Reina e Lorenzo l'aiutavano molto, ma lei si sentiva incredibilmente frustrata. I suoi figli erano appena nati e si trovavano già in una situazione a dir poco orrenda.
Alberto le andò alle spalle e si mise a sedere per terra, vicino a lei.
"Queste ferite fanno pietà, sai? Mi hanno estromesso dal compito della riparazione delle culle, per adesso." disse ridendo... poi vide il volto pallido di sua figlia. "Che cos'hai, piccola?"
"Sono un disastro come madre, papà" rispose cupamente la ragazza. "I miei bambini sono appena nati e guarda cos'è successo! E Agostina, poi... già da sola fa fatica a parlare per i suoi traumi, figurati quanto le costerà dopo stanotte! E poi Tiago, povero piccolo... l'ho trascurato, capisci? E Tommy, Roberta, Dominick, Martin... e Pas, e Ramiro.. tutti loro sono rimasti da soli, vulnerabili! E poi c'è la piccola Emma... poverina: si ritrova un padre terribile, che ha una relazione con una strega, e quella carogna potrebbe piombarci in casa in qualunque momento. Certo, c'è Bella, ma anche lei ne soffre: è una ragazzina, dovrebbe vivere la sua vita, senza angosciarsi per sua sorella, per suo padre, per una madre assente..."
La sua voce tremava mentre lei cercava di parlare. Il cuore le batteva forte e gli occhi le bruciavano da impazzire.
"Flor... tesoro, tutto questo non è colpa tua" disse amorevole Alberto, mentre allentava un po' la mantellina di Eduardo, che sembrava avere un po' caldo.
"Tu ti senti in colpa per colpe che non hai, papà... per questo dici così... o forse perché mi vuoi bene... ma i ragazzi sono in pericolo, ed è colpa mia! Avevo promesso al mio Fede di prendermi cura di loro, ma ora che è tornato non ci sono riuscita, accidenti!"
"Se vogliamo parlare di disastri, nessuno può battere me!" rise di gusto Alberto. "Sposato con una strega... che ho anche amato, ma lei non era dello stesso avviso... con due figlie: una... plagiata dalla madre, per un po', e un'altra incredibilmente insicura... anzi: le figlie sono tre... perché poi ho amato una persona speciale... molto speciale."
"La mamma..." balbettò Flor, avvicinandosi ad Aurora, che aveva allungato il collo verso di lei per chiedere il latte. La ragazza alzò la maglia e si coprì con un asciugamano per allattare la bambina.
"Sì... la tua mamma..." rispose Alberto. "Se vuoi ti racconto di lei... del prima... così saprai che sei figlia di un angelo e di un disastro... figlia biologica, perché il tuo papà adottivo è meraviglioso..."
"Si parlava di me?" chiese Eduardo, raggiungendoli. "Dai, Alberto. Dimmi: come vi siete conosciuti tu e Margarita? Lei non me l'ha mai spiegato..."
"Se non sei geloso, con piacere..."
Eduardo sorrise ed Alberto tornò indietro nel tempo...
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