129: Un dejà vu... per qualcun altro
"Massimo, ma che ci fai qui?"
"Devo distrarmi, Laura... versami qualcosa da bere, ti prego!" disse il Conte, con un viso da bambino.
"Va bene, va bene... calmati" disse Laura, mettendogli tra le mani un calice. Massimo prese un lungo respiro, poi si attaccò al calice e lo vuotò in un sorso.
"Un altro" disse Massimo.
"Non sei abituato, vacci piano, Massimo" lo rimbeccò Laura, ma gli versò ugualmente un altro bicchiere di birra. Massimo lo vuotò e poi ne prese un altro, un altro e un altro ancora.
"Adesso basta!"
"Dammene un altro... per... per..." balbettò Massimo.
"Ho detto basta!" ripeté Laura. "Vieni con me, coraggio!"
Lo afferrò di forza dal braccio e dovette fare il doppio della fatica per trascinarlo fuori dalla taverna. Massimo praticamente non era in sé: aveva la mente annebbiata dai fumi dell'alcool e le guance imporporate. Sentiva le gambe leggere, così leggere che stentava a reggervisi sopra, e la testa galleggiava nell'aria. Il braccio forte e sottile della donna che lo teneva aveva preso a tremare.
"Grazie..." biascicò Massimo, mentre una bruttissima sensazione gli saliva alle labbra. "Oh no..."
"Su, muoviti!" disse Laura, spingendolo verso un mucchio di sterpaglie strappate dall'erba. "Abbassati." Non ci fu bisogno che glielo ripetesse: Massimo era crollato sulle ginocchia. "Su la testa, coraggio!" disse Laura. S'inginocchiò vicino a lui e gli tenne su i capelli, mentre lui si riduceva in uno stato a dir poco pietoso.
"Bene... finito?" gli chiese Laura, e il silenzio prolungato fu una risposta affermativa.
Arrivarono fino a casa Fritzenwalden: Laura piegata in due per lo sforzo e Massimo con la testa sulla sua spalla, mezzo addormentato, che biascicava un nome che lei conosceva bene... "Evaristo... Evaristo..."
Emma, che in quel momento era in giardino, sentì dei passi.
"Oh... mamma..." balbettò Emma, riconoscendo i gemiti di dolore di sua madre e i versi quasi incomprensibili del Conte. "Signor Conte... ma che le è successo?"
"Tesoro, sii brava... portalo in casa, sta molto male... ce la fai?"
La piccola Emma, pur essendo piccola e gracile, prese il posto di sua madre. Si mise il braccio dell'uomo attorno al collo e lo sostenne. Pur essendo minuta sembrava decisamente forte. "Oh, ecco qua... resista, signor Conte... ci siamo quasi" lo rassicurò Emma, cercando di tirarlo in casa.
"Oh santo cielo!" Alberto raggiunse la ragazza e la vide o il peso di un Massimo totalmente privo di autonomia. Lo prese dall'altra parte e lo fece appoggiare alla sua schiena. "Va meglio, adesso?" chiese amorevole Alberto. La piccola si limitò ad annuire, poi si voltò lentamente e disse semplicemente: "Grazie, Alberto."
"Niente, stai tranquilla. Sono forte, sai?" le disse ridendo Alberto. "Ma come l'hai trovato?"
"Mia madre.. l'ha piantato lì fuori, in giardino, e l'ha affidato a me."
"Capisco" disse calmo Alberto.
"Evaristo... Evaristo..." biascicò il Conte. "Come ho potuto essere così sciocco? Io ti..."
Ma non poté finire la frase, perché la testa prese a vorticargli e gli salì alla gola un altro conato.
"Lascia che faccia io, tesoro" disse Alberto rivolgendosi ad Emma.
"Alberto, sei sicuro?"
"Sì, certo! Va' a chiamare qualcuno, va bene?"
"Sì, va... Oh, Evaristo, grazie al cielo!" esclamò Emma, riconoscendo la camminata frettolosa del valletto. Quest'ultimo aveva sentito le voci ed era accorso all'esterno.
"Signor Conte, ma che ha fatto?" chiese preoccupato, mentre Alberto lo sorreggeva. Gli sentì la fronte e le guance, ma gli bastò sentire la sua voce impastata per capire che era completamente ubriaco.
"Portiamolo dentro" disse Alberto, e così fecero. Raggiunsero il salotto e misero il Conte sul divano.
"Grazie, signorina Emma. Grazie, signor Alberto." disse Evaristo.
"Non è nulla, ragazzo" disse affettuoso Alberto, posandogli una mano su un braccio. "Se vuoi possiamo rimanere con te. Tu cosa ne dici, piccola?"
"Sono d'accordo" disse Emma. "Magari gli metto su un po' di caffè... quello lo facevo per mio padre... ricordo come si fa... posso aiutarti."
"No, non dovete preoccuparvi... ci penso io" disse Evaristo.
Si mise a sedere vicino al divano e rimase lì a fissare il viso stravolto del suo signore.
"Sei un idiota" sospirò Evaristo. "Perché l'hai fatto?"
"Perché era l'unico modo per dirti che ti amo... sì, ti amo!" disse Massimo, afferrando un polso del ragazzo e attirandolo verso di sé.
"Smettila! Tu non mi ami affatto! Sei semplicemente ubriaco fradicio!" disse Evaristo, facendo leva sulle braccia per allontanarsi da lui... anche perché, ubriaco o no, desiderava più che mai baciare ancora quelle labbra, e non poteva permettergli di calpestare il suo cuore un'altra volta. Due volte nello stesso giorno sarebbero state decisamente troppe.
"Io ti amo, ti amo! Perché non mi credi?" disse il Conte.
"Smettila!" disse Evaristo.
"Perché non mi credi? Perché?"
"Perché non me lo posso permettere, Massimo!" disse con pazienza Evaristo. "Ora sei ubriaco, ma domani negherai tutto quanto... dirai che hai sbagliato, di dimenticarmi di te, e ricominceremo da capo... e io non posso permettermelo un'altra volta!"
"Dammi la mano, per favore" supplicò Massimo, tenendo Evaristo per il braccio.
"Mi stai già stringendo... che vuoi fare?" chiese Evaristo.
Massimo gli appoggiò la mano sul suo petto ed Evaristo fu pervaso da una sorta di scossa elettrica che gli pizzicò tutto il braccio quando sentì il cuore del Conte martellare sotto il suo tocco. "Senti che effetto mi fai?"
Il maggiordomo trasalì e chiuse gli occhi... poi prese la mano del Conte.
Portò quella mano al suo sterno e sussurrò: "Anche tu mi fai lo stesso effetto... ma non posso farlo, non posso permettermelo!"
Massimo strinse la mano di Evaristo. Rimasero così, con le dita intrecciate e i cuori martellanti per qualche secondo.
Poi, lentamente, Massimo biascicò: "Facciamo così. Scrivimelo sulla maglietta. Domani non ricorderò nulla, ma se avrò il coraggio di ripeterti quello che provo, allora resteremo insieme... altrimenti sarai libero di scegliere tu cosa fare."
Evaristo si alzò dalla sedia, con le gambe che gli tremavano, e prese un pennarello di quelli che i ragazzi sparpagliavano in giro. Si chinò sull'uomo che gli aveva rubato il cuore, stavolta proprio rubato, e scrisse: "Il mio signore, la notte tra il 13 e il 14 di settembre, mi ha detto che mi ama. Mi ha detto che se avrà il coraggio di ripetermelo domani staremo insieme per sempre, altrimenti potrò decidere io. Evaristo."
Scrisse tutto, per essere certo di non lasciare niente al caso.
"Ora però baciami" disse Massimo, mettendo la bocca a cuoricino, ma Evaristo scosse la testa.
"Niente baci, Conte Minimo!"
"Come? Anche tu?"
"Sì... è carino come soprannome... e non ti bacerò, altrimenti non riuscirò più a staccarmi da te. Niente gioco facile, con me!"
"Oh, ma dai! Sei cattivo!" disse il Conte.
"Facciamo così: ti terrò la mano. Mi troverai ancora do ti sveglierai... va bene?"
"Va bene" sospirò il Conte. Evaristo rimase seduto su quella sedia un po' scomoda, con la mano intrecciata a quella di Massimo, e chinò la testa sul petto, sorridendo. Si addormentarono così, placidamente, forse sognandosi l'un l'altro... forse amandosi nei sogni o forse chiedendosi cosa li attendesse il giorno dopo.
(Nota Autrice: un'altra coppietta ha vissuto un momento molto romantico durante il quale uno dei due era completamente ubriaco... indovinate chi?)
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