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Dire che Tony fosse egocentrico era fargli un complimento.

Non avevo mai conosciuto una persona più chiacchierona, sarcastica e con modi più stravaganti di lui.

Se avesse potuto si sarebbe offerto per sostituire il sole nel sistema solare e diventare lui la stella che illumina l'universo. In fondo, era quello che riteneva di essere: un astro che rischiarava il mondo con la sua conoscenza.

Il fatto che il sarcasmo fosse uno dei nostri segni contraddistinti facilitava le cose. Faceva piacere sapere che ci fosse qualcuno nel globo in grado di capire le tue battute, con cui poter ridere e scherzare.

Passammo insieme tutta la serata fino all'alba. Io lui e una, o forse due, bottiglie di alcool. Insomma, doveva terminare la bottiglia aperta da me e Steve, o sarebbe stato uno spreco.
Era questo ciò che mi aveva detto, ma io non ci credevo. Se da sobrio era un chiacchierone, da ubriaco era a dir poco uno spettacolo. A volte borbottava parole senza senso compiuto per poi mettersi a fissare il muro o a ridere freneticamente.

A un certo punto aveva pure provato a richiamare la sua armatura perché aveva scambiato la sagoma di una statua alle mie spalle per Loki e quindi, pur di proteggermi, si stava già preparando all'attacco.

Mi raccontò della sua fidanzata Pepper Potts, del primo incontro degli Avengers e della loro prima battaglia fino ad arrivare a oggi. All'alba, Tony decise di tornare a dormire e di prendere qualcosa per tentare di alleviare la sbornia mentre io decisi di andare ad allenarmi fino all'orario in cui io e lui avevamo deciso di incontrarci per andare alla simulazione. Diceva che aveva qualcosa da darmi, o almeno era questo quello che avevo capito. Non era molto facile comprendere ciò che farfugliava mentre era ubriaco.


«Dai!» imprecai a denti stretti mentre cercavo di accendere la macchinetta del caffè a pugni. Mi sentivo un cavernicolo mentre aggredivo quell'aggeggio metallico con tutte le mie forze, ma avevo davvero i nervi a fior di pelle.

La mia lotta contro il macchinario era iniziata da più o meno cinque minuti. Ero arrivata nella cucina dopo notte in bianco e avevo un estremo bisogno di bere, ma la macchinetta aveva deciso di andarmi contro. Quindi eccomi qui, a litigare con la caffettiera.

«Accenditi!» borbottai spostando la mia mano destra sul lato della macchina tastando ogni possibile pulsante.

«Vuoi una mano?» domandò una voce femminile alle mie spalle. Mi voltai e vidi una ragazza sulla ventina bionda con un sorriso guardingo dirigersi verso di me. Con una camminata molto fiera, squadrandomi da testa a piedi, fece il giro della penisola. Un istante dopo, con un colpo, fece partire macchina.

«La presa era staccata. Piacere, Sharon Carter» affermò mentre mi avvicinava la sua mano.

«Jane Winters» risposi. Velocemente la sua espressione mutò e potei facilmente notare un pizzico di gelosia nel suo sguardo.

«Sei quella nuova quindi. Steve mi ha parlato solo di te al telefono mentre venivo. Sai, ci frequentiamo da un paio di giorni» spiegò mentre diminuiva le distanze tra i nostri volti.

«Interessante... Vi auguro il meglio!» mormorai reggendo il suo sguardo.

«Buona fortuna per la simulazione, ne avrai bisogno» borbottò uscendo stizzita dalla sala.

Avrei tanto voluto risponderle, ma il mio caffè mi chiamava quindi decisi di ignorarla e di mettermi a bere.

«E comunque non avevo bisogno del tuo aiuto!» urlai sperando che mi sentisse, se solo fosse stato vero.


Dopo dieci minuti passati davanti all'ascensore ad aspettare arrivò Tony e dovetti mantenere il controllo per evitare di scoppiare a ridere. Sembrava che fosse stato ripetutamente investito da un TIR.

«Non dire niente e andiamo, ho preparato un prototipo della tua tuta, seguimi» affermò quasi stufo mentre entravamo nel vano, che velocemente raggiunse la sua meta.

Non ero ancora entrata nei laboratori e devo dire che rimasi piacevolmente stupita. Erano davvero magnifici, un paradiso per un patito della scienza come Stark.

«Buongiorno Tony!» esordì un uomo sulla quarantina dai capelli grigi che stava lavorando al computer, prima di scoppiare a ridere a crepapelle provocando anche la mia risata.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese turbato e leggermente confuso Tony, guardandoci sbellicare dalle risate.

«Tony, non offenderti ma sembra che tu ti sia schiantato addosso a un muro» farfugliò Bruce tra le risate, posando poi gli occhiali sulla scrivania. Ed effettivamente aveva ragione: le occhiaie rivestivano l'intero contorno occhi, la carnagione era più chiara del solito, i capelli terribilmente disordinati, così come il pizzetto.

«La colpa non è mia, bensì della signorina qui presente che mi ha tenuto sveglio fino all'alba» spiegò Tony svogliato mentre ravanava tra le scartoffie sulla sua scrivania, facendo precipitare alcuni fogli a terra.

«Ma davvero? A me non sembrerebbe, sei voluto restare tu a bere, io sarei rimasta comodamente da sola!» decretai mentre recuperavo le carte che erano cadute a terra.

«Certo, così saresti rimasta con il Capitano, capisco!» obbiettò Tony con un ghigno scaltro sulle labbra. Abbassai la testa arrossendo dalla cute dei capelli fino ai piedi.

«Aspettate, mi sono perso qualcosa?» chiese imbarazzato Bruce, quasi mi ero dimenticata della sua presenza.

«Niente, sta tranquillo. Tony si diverte a immaginare una fantomatica relazione tra me e il Capitano Rogers, probabilmente perché la sua di relazione non è sufficientemente appagante, o sbaglio?» ribattei arcuando un sopracciglio sarcastica. Con piacere notai come il corpo di Tony si fosse visibilmente irrigidito.

«Questa me la pagherai, ragazzina!» commentò Stark lanciandomi un occhiolino.

«Staremo a vedere...» risposi abbassando le spalle.

«Suvvia, presentatevi. Jane, lui è il mostro verde sempre incazzato. Bruce, lei è la Torcia Umana di cui ti ho parlato» aggiunse il milionario, ricominciando a ravanare tra i fogli.

«Piacere, Bruce Banner o Hulk» rispose l'uomo rivolgendomi un sorriso caloroso e la sua mano.

«Jane Winters, e mi chiamavano Flamestorm» decretai afferrandola.

«Uguale» concluse Tony con uno sbuffo, forse a causa della scocciatura. Non aveva ancora terminato la sua ricerca tra le carte deposte sua scrivania, continuando a ravanare senza sosta.

«Bingo!» urlò il milionario qualche istante dopo con un'aria particolarmente soddisfatta, afferrando una cartella e aprendola. Sfogliando velocemente le pagine si soffermò sull'ultima, leggendone velocemente il contenuto. Poi si diresse verso un muro aprendo un armadio.

«Tony, se posso permettermi, non è ancora finita, dubito che...» affermò Bruce rivolgendosi a Tony, che nel frattempo aveva uscito una gruccia coperta da un telo dal mobile e l'aveva poggiata a una sbarra.

«Ci abbiamo lavorato un po', diciamo che non è stato facile congiungere le tue necessità con la tua fisionomia, ma questo dovrebbe essere un abbozzo della tua tuta. Speriamo che le misure corrispondano, abbiamo usato come base una tuta di Natasha» proclamò fiero di sé, togliendo il telo dalla gruccia e ignorando le raccomandazioni di Bruce.

Restai a bocca aperta ammirando quella meravigliosa tuta nera con venature rosse sulle braccia e sulle gambe, con allegato una cintura e dei guanti a metà mano che ora si trovava appesa davanti ai miei occhi. Al centro del petto si trovava il simbolo di una fiammella argentata, che luccicava sotto il bagliore della luce.

«Nanotecnologia, giusto?» domandai osservando attentamente la tuta. Tony annuì stupito e soddisfatto.

Mi avvicinai lentamente al capo e con delicatezza ne afferrai una manica. Ne tastai il tessuto con attenzione, come se potesse rompersi da un momento all'altro. Era sottilissima, sembrava quasi seta.

«Creata con fibra di vibranio, elastica e resistente. Funziona come un grande giubbotto antiproiettile e, se la temperatura si dovesse abbassare drasticamente, la tuta diffonderà il calore necessario al tuo corpo affinché tu non possa diventare Capitan Ghiacciolo al femminile. Inoltre... » iniziò a spiegare Tony.

«... È più sottile e aerodinamica di una normale tuta, il vibranio la rende persino più leggera!» interruppi completando la frase di Tony, che saltellava entusiasta. Bruce mi scrutava stupito.

«Incredibile...» esclamò Bruce quasi con un sussurro.

«Cosa? Non avete mai visto una donna parlare di questi argomenti con un certo interesse?» ribattei sarcastica. In realtà non ero mai riuscita a coltivare un vero e proprio interesse per questa branca della tecnologia. Mi aveva da sempre affascinato, ma ero più propensa allo studio di materie letterarie.

Quel poco che sapevo lo avevo sentito dire dagli scienziati dei laboratori, e il vibranio era uno dei loro argomenti più a cuore. Avevano provato più e più volte a cercarlo, ma non erano mai riusciti a trovarne.

«L'ho già detto che ti adoro? Visto che ci siamo te lo dico ora» affermò Tony euforico, sviando il discorso.

Risi «Grazie, ne ero consapevole».

«Ora valla a indossare, io mi vado a prendere un medicinale per questo dannato mal di testa. Ci vediamo qui tra poco» concluse Tony uscendo dai laboratori.


La tuta era particolarmente aderente, sembrava quasi una seconda pelle, mi sentivo come un rettile durante il periodo di muta. Appena finii di prepararmi il dottor Banner mi portò in un'aula bianca e mi attaccò delle ventose sulle tempie, sulle braccia e sulle gambe. Poi uscì dalla stanza e mi disse di indossare nell'orecchio una cimice che avrei trovato nella tuta.

«Jane, sei pronta?» chiese Tony. Provai a voltarmi per trovarlo ma non vidi nessuno, solo bianco. L'intera stanza era formata da delle candide pareti bianche e non riuscii nemmeno a individuare dove si trovasse la maniglia della porta da cui ero entrata.

«Jane, non puoi vederci, ma noi vediamo te. Possiamo comunicare solo attraverso la cimice, e ancora per poco», la stanza iniziò a prendere gradualmente colore, « Sei pronta, diamo dunque il via alla simulazione tra: tre... due... uno... VIA

Il bianco delle pareti si tramutò in grattacieli mezzi distrutti, cosparsi da polvere e detriti. Macchine ribaltate, fumo e navicelle designavano lo spazio catastrofico in cui mi trovavo. Gente che correva all'impazzata e rumori magnetici che si tramutano in urla umane aleggiavano nell'aria. Decisamente uno spettacolo poco confortevole, sembrava quasi post-apocalittico.

«Jane, benvenuta nella battaglia di New York. Per farla breve, il fratello cattivo del nostro amico Thor voleva invadere la terra e allora...»

«Tony mi hai già raccontato tutto stasera, eri ubriaco, ricordi?» risposi correndo stupita dietro una macchina per proteggermi da un serpente robotico che stava passando sopra la mia testa.

Alzai gli occhi verso l'alto: da un buco in mezzo al cielo fuoriuscivano milioni di navicelle dalle sembianze aliene, mentre per le strade bazzicavano mostri giganti. Mi ersi in piedi quando quel serpente gigante cambiò isolato. Con la lunga coda si era schiantato contro un angolo di un palazzo, facendo capitolare sulla carrozzeria di un automobile un'intera vetrata. Tirai un respiro di sollievo quando quel robot lasciò la strada libera, e ancora sconvolta iniziai ad aggirarmi per la strada.

«Io... veramente... in ogni caso, vedi la Torre degli Avengers?» continuò imbarazzato Tony.

«Affermativo!» ribattei incominciando a correre cambiando isolato, dirigendomi a nord, verso la Torre.

«Bene, lì troverai una pietra. Si trova nella cima del palazzo, ti basta recuperarla e hai vinto. Una cosa importante, devi farlo entro il tempo prestabilito. Buon divertimento!» decretò l'uomo quasi stizzito.

Provai a controbattere, ma la cimice aveva smesso di dare segnale, zittendosi del tutto. Sollevai lo sguardo: all'interno del pertugio al centro del cielo si era appena materializzato un timer. Quest'ultimo aveva appena incominciato un conto alla rovescia: avevo tre ore per attraversare metà New York.

Ora ero sola, ufficialmente. La Torre distava almeno dieci isolati e io non sapevo come arrivarci, certamente non di corsa.

New York sarebbe stata una gran bella città, se solo non ci fossero stati chitauri che assediavano ogni angolo. Colpii alcuni robot con delle sfere di fuoco ma la priorità era trovare un mezzo per raggiungere la meta.

Attraversati due isolati scorsi davanti ai miei occhi un palazzo. Si ergeva per almeno dieci metri e, da come si prospettava, doveva sicuramente avere una buona visuale della città. Era perfetta per cercare di capire quanto fossi distanza dalla Torre e provare a comprendere come arrivarvici in tempo.

Con cautela mi accinsi a entrare al suo interno, cercando di non attirare l'attenzione di nessuno.

Il palazzo era totalmente disabitato, probabilmente quando sarà incominciata la battaglia avranno evacuato l'intero isolato. Quello che, molto probabilmente, doveva essere un ufficio di comunicazioni adesso era totalmente sottosopra: computer scaraventati per terra, fogli sparsi sul pavimento e sulle scale, sedie capovolte. Era terrificante sapere come una battaglia potesse ridurre in cenere il lavoro di altre persone. Come se fosse svanito nel nulla, in uno schiocco di dita.

Salii una decina di piani in fretta e furia, per poi arrivare nella terrazza. Il vento sferzava violentemente e si poteva ammirare tutta New York. Riuscii a scorgere per la prima volta la città, e lo spettacolo non era piacevole. Ogni angolo era teatro di distruzione a causa di quei milioni di chitauri che ora scorrazzavano per la città.

Mi affacciai verso il bordo e osservai con calma l'orizzonte, chiudendo gli occhi per prendere un po' d'aria.

Poi avvertii il cuore ruzzolarmi in gola, il battito aumentare e l'aria sferzare violentemente sulla pelle del mio volto.

Spalancai le palpebre e mi resi conto di stare precipitando dritta verso il suolo. I capelli si incresparono sulla fronte, mentre le mani ravanavano furiose la cintura della mia tuta, tentando di afferrare il rampino.

In preda al panico chiamai aiuto, ma per fortuna riuscii ad aggrapparmi alla ringhiera di un balcone. Levando verso l'alto il ciglio, realizzai di essere stata buttata giù da una mandria di chitauri che avevano appena colonizzato la terrazza dove mi trovavo fino a qualche minuto fa.

Appoggiai l'altra mano e, con le gambe che bazzicavano nel vuoto, feci perno con le braccia risalendo nella balconata, buttandomi poi per terra per riprendere il respiro.

Abbassai lo sguardo, distavo minimo tre metri dal terreno. Qualche istante ancora e mi sarei schiantata sul pavimento, diventando un tutt'uno con l'asfalto. Deglutii per la paura mentre strofinavo le mani sulla tuta per togliere il sudore.

L'accesso verso l'abitacolo era bloccato: la serratura era stata chiusa dall'interno. Appoggiai le mani sopra le estremità della maniglia e immaginai il vetro sciogliersi. Contrassi la mandibola e mi concentrai maggiormente ma la serratura continuava a non scalfirsi.

Tentai di concentrarmi maggiormente: avvertivo il fluire del fuoco nelle mie vene. Quella forza meschina e scaltra che mi dominava e allo stesso tempo nutriva.

Adagiai nuovamente le mani sul vetro e concepii la forza di un incendio nel mio palmo. Sentii lo sfrigolare del calore sulla cute della mano, che pian piano si tingeva di colori più caldi e iniziava a emanare vapore. Di botto, la mano destra attraversò il vetro. Esultai e, con cautela, mi addentrai per il piano, tenendomi più vicino possibile al muro. Avvertii rumori metallici muoversi per le scale, così aumentai il passo tentando di non fare rumore.

Sceso un piano, scorsi sul pavimento uno specchio rotto. Mi avvicinai ai frammenti e, da uno di questi, potei notare un'ombra muoversi nel buio. Acciuffai il pezzo di vetro più appuntito e appena la figura fuoriuscì dalle tenebre gliela scagliai addosso. Quello la schivò, lanciando verso di me l'asta in acciaio appuntita che teneva tra le mani.

Sgranai gli occhi e in un attimo mi gettai con tutte le mie forze verso destra, nascondendomi dietro una scrivania. L'essere deforme doveva provenire sicuramente da qualche pianeta nello spazio perché non avevo mai visto una roba così terrificante in vita mia. Sapevo che fossero delle creature spaventose, ma non mi aspettavo avessero quest'aspetto.

La creatura continuò a muoversi per la stanza, cercando di capire dove fossi rintanata. Con le mani tremanti estrassi una delle bombe fumogene di cui era dotata la tuta e l'accesi, per poi farla rotolare per qualche metro, pregando che il mostro non si accorgesse di quel aggeggio.

Quella lampeggiò qualche istante, poi iniziò a emanare il fumo. Il mostro iniziò a dimenarsi cercando di capire da dove provenisse il vapore, mentre iniziai strisciare per arrivare alla sbarra che si era conficcata nel muro qualche istante prima.

Lentamente mi avvicinai all'asta e ne tirai l'estremo con forza. Contrassi i muscoli della faccia e delle mani, appoggiai i piedi sul muro così che potessero fungere da perno e tirai con più forza. Avvertii le mani arrossarsi per il dolore, ma finalmente riuscii a scollarla dal muro. Mi alzai in piedi con la sbarra in mano e correndo saltai sulle spalle del mostro, incagliando le gambe nell'incavo del suo collo. La creatura si contorceva senza sosta, cercando di farmi cadere.

«Sta buono!» imprecai a denti stretti, infilzando l'asta appuntita nel suo collo e conficcandola all'interno della sua carne. Il suo corpo si irrigidì per poi accasciarsi al suolo.

Mi alzai in piedi, strusciando le mani sulla tuta. Ripresi un attimo a respirare cercando di calmare il battito cardiaco ma, dopo qualche istante, capii che ne stavano arrivando altri. Difatti, dalla scala provenivano rumori sordi simili a dei passi.

Di fretta tentai di staccare la sbarra dal corpo del mostro. Ruotai la punta provando a estrarla dalla sua carne. Dalla ferita uscì un rivolo di sangue di un colore diverso dal nostro, più fosco e oscuro. Poggiai il piede sulla sua fredda carne, facendo da perno e tirando con più forza. Rizzai i peli sulla schiena quando, sull'uscio delle scale, arrivò un chitauro che urlò una sorta di richiamo nella sua lingua. Con le mani tremanti per la fretta tirai fuori l'asta, perdendo per qualche secondo l'equilibrio.

Il chitauro iniziò a correre dopo essere stato raggiunto dai suoi simili. Come feci poco prima, immaginai una fiamma propagarsi sulla punta della lancia e la scagliai verso il gruppo di chitauri che stava arrivando verso di me, infilzandoli al muro. Le fiamme si espansero verso l'alto, consentendomi di scappare senza essere seguita.

Feci gli ultimi piani correndo, controllando di tanto in tanto l'orologio sul mio braccio, che mi aveva appena avvertito di aver perso mezz'ora del mio tempo.

Varcai la soglia del palazzo piantando i piedi per terra appena mi accorsi di cosa fosse successo in quei pochi istanti in cui mi trovavo al suo interno: mandrie di robot si stavano muovendo davanti al palazzo, come se aspettassero da tempo il mio arrivo.

Molti si stavano già ammassando contro di me. Arrancai con le gambe arretrando, sbattendo poi la schiena sul muro: ero arrivata alla base del palazzo, non potevo più scappare. Mi rimaneva solo lottare.

Presi due coltelli e li lanciai nell'incavo del collo di due robot che esplosero distruggendone altri.

Mi aggrappai al collo di un altro e mentre lo scioglievo grazie ai miei poteri lo usai come perno per prenderne a calci altri. Staccai la testa che era rimasta intatta e la utilizzai come sfera di fuoco lanciandola lontano verso un'altra mandria.

Iniziai a correre, o almeno provai, sia da destra che da sinistra arrivavano mandrie di robot. Attesi che arrivassero il più vicino possibile, per poi spostarmi all'ultimo e, con un gesto della mano, gli gettai addosso una fiammata, appiccandogli fuoco. Il getto carbonizzò all'istante la loro carne e disintegrò gli inserti d'acciaio.

Ogni qual volta mi capitava di ammirare ciò che riuscivo a fare con il fuoco un senso di gratitudine e adrenalina scorreva nelle mie vene, fino a giungere nel mio cervello. Come un bacio per un innamorato. Ero succube di quell'elemento rovente e distruttivo, ma allo stesso tempo ne traevo piacere. Provavo benessere nell'avvertire il suo calore sfrigolare sulla cute della mia mano. Avevo bisogno di quella sensazione di appagamento e di godimento che mi recava.

Mi rizzai in piedi e feci ciò che non avevo fatto prima: una perlustrazione della piazza. Dovevo trovare una via di fuga, un rifugio, o qualcosa che mi potesse aiutare a scappare. Aguzzai la vista e notai vari negozi a sud della piazza, come un ferramenta e un supermercato. A est si intersecava un viale, che proseguiva verso la Torre.

Colta di sorpresa venni schiantata per terra da un chitauro che mi si era lanciato di corsa addosso. Rotolammo per qualche metro e avvertii un leggero pizzicore sulla gamba destra che in poco tempo si tramutò in bruciore. Strinsi i denti: che mi fossi tagliata?

Tentai di distogliere l'attenzione dal dolore che avvertivo alla mia gamba cercando di capire come staccarmi di dosso il robot. Quello iniziò a stringere con le sue mani metalliche il mio collo. Possedeva una forza abnorme, il respiro mi mancava e aveva bloccato le mie gambe con il suo corpo, rendendomi impotente.

Iniziai così a vagare con le mani alla ricerca di qualcosa di appuntito sul pavimento. La mancanza di ossigeno iniziava a farsi sentire e cominciai a vedere sfocato.

Riuscii a trovare una scheggia di vetro, le feci prendere fuoco e la incastrai nel collo della macchina che cadde di lato accasciandosi sulla strada. Buttai il braccio verso il terreno riprendendo fiato. Rotolai poi verso destra, avvicinai le gambe al petto e mi rialzai in piedi con un salto. Ansimavo con la bocca e sul collo erano rimasti i segni della lotta.

Il robot iniziò a fremere di colpo in prenda agli spasmi, gli staccai la testa che divenne una sfera di fuoco tra le mie mani per poi lanciarla addosso a un gruppo di chitauri. Non avrei mai potuto ucciderli tutti. Erano in netta maggioranza e continuavano ad atterrare altre navicelle.

Accostai la mano alla gamba e con disturbo constatai di essermi ferita. Sulle dita, insieme alla sporcizia, si era incrostato del sangue fresco, che doveva per forza provenire da lì. Più tempo passava, più continuava a bruciare. Dovevo medicarla al più presto per evitare di contrarre un infezione.

Mi aggrappai a un chitauro prendendo a calci un altro e subito dopo iniziai a correre. I chitauri incominciarono a seguirmi, moltiplicandosi man mano. Mancavano ancora una decina di metri per arrivare dentro il primo negozio utile, ma più facevo pressione sulla gamba ferita più la sensazione di bruciore e dolore aumentava. Strinsi i denti e cominciai a correre zoppicando, trascinando la gamba in avanti. Mi gettai di scatto, lanciandomi con forza dentro il ferramenta sfondando il vetro della finestra. Eressi una barriera con il fuoco che, come se fosse una parete, andò a formare una muraglia indistruttibile.

Appoggiai la schiena contro il muro sfinita e ripresi a respirare normalmente. Con la mano destra pressavo sulla ferita che continuava a perdere sangue in grandi quantità.

In poco tempo e con non poca difficoltà riuscii a trovare un po' di tintura di iodio, ago e filo. Immersi un batuffolo di cotone nel liquido e poi tamponai la ferita, cercando di non prestare molta attenzione al bruciore che stavo avvertendo. Per mia fortuna il taglio non era troppo profondo, quindi non avrei avuto bisogno di cucirlo.

Coprii la ferita con della garza trovata per caso nel negozio e poi ricucii la stoffa con l'ago e il filo. Con la coda dell'occhio mi misi a osservare l'orologio di cui era dotato la tuta. Mancavano due ore in totale. Dovevo muovermi, e in fretta.

Con tutte le mie forze mi misi in piedi, riflettendo su cosa fare. Incominciai a girare per il negozio, confondendomi tra gli scaffali, notando poi delle taniche di benzina messe in rilievo. Mi avvicinai incuriosita, poi venne l'idea.

Entusiasta afferrai quattro taniche di benzina di discrete dimensioni e le infilai in un borsone. Poi, in fretta e furia, uscii dalla porta del retro, nascondendomi in un vicolo cieco. Svitai il tappo di una delle taniche e ne riversai il contenuto su entrambi i palmi delle mie mani. Vi soffiai sopra e ammirai stupefatta la grandezza delle fiamme che provocai, ritornando nella piazza, iniziando a correre sul perimetro e spargendo liquido centimetro per centimetro per terra, inseguita dai numerosi chitauri.

Ovunque sarei andata mi avrebbero seguito, dovevo bloccarli in un luogo e assicurarmi che per nessuna ragione al mondo potessero uscire. L'adrenalina mi scorreva nelle vene e chiunque avrebbe trovato da folli ciò che avrei voluto fare, ma non io.

Ritornai così al punto di partenza, poi appoggiai le mani sul pavimento coperto di benzina, e mi concentrai sul fuoco che scorreva nelle mie vene, mentre i chitauri tentavano di raggiungermi correndo. In un attimo tutto prese fuoco e io mi ritrovai al centro delle fiamme. Le mani emanavano vapore e scintille come tutto il mio corpo. I chitauri inizialmente stupiti si bloccarono all'istante, rimanendo al centro della piazza. Poi infuriati iniziarono a perdere fumo dalle narici correndomi incontro. Uscii via dalle fiamme lasciandoli in trappola nella loro gabbia di fuoco.

Ricominciai così a correre per altri due isolati, osservando l'orizzonte cercando qualcosa che potesse fare al caso mio.

Mi appoggiai sfinita addosso a un auto mezza distrutta cercando di respirare a pieni polmoni per recuperare le forze. Ero davvero sfinita. Non riuscivo più a muovermi, sopraffatta dalla fatica. Non ero certo un Dio, né tantomeno avevo la forza di Hulk. Come potevo pretendere di arrivare fino alla Torre in meno di un'ora e mezza con una gamba ferita? Aveva dannatamente ragione quella Sharon, avevo bisogno di un miracolo in quel momento.

Con il piede scalciai frustrata un cumulo di polvere che ora si innalzava nel cielo, dando poi una manata alla macchina dietro di me. La carrozzeria si piegò sotto al mio tocco, lasciando il segno della mia mano impressa sopra.

«Tony, se mi senti, posso chiedere l'aiuto da casa?» domandai, cosciente del fatto che non mi avrebbe mai sentito, né tantomeno aiutato.

Lentamente mi alzai in piedi iniziando a camminare nel viale dove mi trovavo, scalciando frustrata i calcinacci che si trovavano agli angoli della strada.  Di botto un suono raccapricciante si propagò per alle mie spalle facendomi rizzare i peli sul collo. Mi voltai e spalancai gli occhi non appena vidi un serpente gigante, come quello che vidi a inizio prova, venirmi incontro.

«Cazzo...» biascicai sbalordita iniziando a correre all'indietro. Che Tony mi avesse mandato realmente aiuto?

Mi affrettai a raggiungere il primo condominio utile, distante qualche decina di metro dal chitauro, che lentamente stava procedendo il suo cammino. In fretta e furia salii al secondo piano, sfondando la porta di una casa che si affacciava verso il corso principale e uscendo il rampino dalla mia cintura. Srotolai bene la fune d'acciaio cui era attaccato il raffio, preparandomi a pigliare la rincorsa.

Appena il mostro si avvicinò presi la rincorsa saltando dal balcone e attaccando il rampino in un inserto metallico della sua coda. La serpe gigante cominciò a dimenarsi terrorizzata, sballottandomi di qua e di là. Saldai la presa sulla corda e iniziai ad arrampicarmici sopra, arrivando fino a toccare l'estremità della sua coda. Continuai a risalire per il corpo del serpente, che nel frattempo, pur di farmi cadere, si stava schiantando su numerosi edifici, sventrando le vetrate e le facciate di interi palazzi. Tentò in tutte maniera di farmi precipitare nel vuoto e più si dimenava più causava danni intorno a sé, mentre milioni di navicelle gli si schiantavano addosso a causa dei cambi di rotta del tutto inaspettati.

Lentamente proseguii la mia scalata, incastrando i piedi tra gli inserti metallici così da non dover correre il rischio di precipitare nel vuoto. Quando raggiunsi la diramazione che portava al suo cranio, strinsi le gambe agganciando i piedi in due rientranze e infilai le mani in due insenature. Mi concentrai sull'energia che fluiva sotto il manto d'acciaio del serpente e cercai di impormi sui suoi pensieri, ordinandogli di proseguire fino alla Torre. Avvertivo il tipico formicolio che l'uso intenso dei miei poteri mi provocava, ma continuai a controllare lo scorrere del fuoco vitale del serpente, mantenendo così il controllo su di lui e assoggettandolo al mio volere.

Giunti nelle vicinanze della Torre gli ordinai di avvicinarsi alla terrazza così da farmi scendere. Da lì si alzava una colonna di luce azzurra che si ergeva fino al pertugio al centro. La luce era provocata da un sfera cristallina che ruotava al centro del fascio luminoso. Era quello il Tesseract di cui mi aveva parlato Stark fino a qualche ora fa? Poco importava, avevo finalmente terminato quella estenuante prova.

Lentamente mi avvicinai alla gemma, e avvicinai la mano la punta delle dita alla pietra luminosa. La luce investì il mio volto e per qualche istante ebbi la sensazione che una folata di vento mi avesse scompigliato i capelli. Quella pietra, attraversata dal bagliore del sole, rifletteva i colori dell'arcobaleno, creando un effetto a dir poco magnetico.

Nel momento in cui afferrai la pietra in mano una strana sensazione mi stravolse, come se stessi viaggiando con la mente e fossi stata catapultata in un mondo parallelo. Davanti ai miei occhi erano come proiettati frammenti dei miei ricordi, e infine mi ritrovai in una Terra primordiale e davanti a me sei corpi luminosi brillavano senza sosta. Aguzzai la vista e potei finalmente comprendere la natura dei corpi, davanti ai miei occhi si ritraevano delle gemme che emanavano dei raggi di luce del loro medesimo colore. Provai ad avvicinarmi ma le gambe rimasero inchiodate al suolo e non riuscii a compiere un passo, mentre invece quelle tanto misteriose entità adesso si stavano allontanando, svanendo poi nel buio.

Un attimo dopo spalancai gli occhi, ritrovandomi nella terrazza di Stark con la gemma in mano. Presi una boccata d'aria, come se fossi rimasta in apnea per molto tempo e avessi ripreso solo in quell'istante a respirare e mi aggrappai al primo sostegno che potessi trovare per evitare di cadere. Piano piano lo scenario accanto a me cominciò a svanire, sinonimo della fine della simulazione. Storsi le sopracciglia quando capii che non ero rimasta nemmeno tanto tempo in quella sorta di visione.

Qualche istante dopo anche il supporto d'acciaio a cui mi ero aggrappata svanì nel nulla e per poco non rischiai di precipitare per terra, ma fortunatamente qualcuno riuscì a reggermi, ritrovandomi così tra le braccia muscolose del Capitano.

«Sei stata grandiosa...» sussurrò a qualche centimetro dal mio volto. I suoi occhi, illuminati dalla luce bianca della stanza, assomigliavano al colore dell'acqua cristallina.

«Grazie... per avermi salvata» risposi leggermente imbarazzata e allontanandomi dalla sua stretta.

Subito dopo, tutti gli Avengers si recarono nella stanza per farmi i complimenti, e per ultimo Stark, che mi squadrava con un sorrisino soddisfatto.

Osservai per qualche istante la famigerata pietra che ora stringevo tra le mia esili dita.

«Stark, credo che questa sia tua» urlai lanciandogli l'oggetto, che lui afferrò al volo.

«Oh, questa? È solo una pietra di plastica», strillò accantonando di lato la gemma e lanciandola nel cestino, «Mi serviva solo per dare uno scopo alla tua finta missione, che hai affrontato con successo».

Guardai Tony avvicinarsi verso di me «Quindi complimenti, ora ci toccherà festeggiare!» aggiunse dandomi una pacca sulla spalla e dirigendosi poi verso l'uscita della stanza.

«Ah, quasi dimenticavo, benvenuta negli Avengers!» concluse facendomi un occhiolino e uscendo di scena. Per la prima volta sul mio volto si tinse un sorriso di gratitudine. Gli altri presenti in sala continuarono ad applaudire, dandomi pacche sulle spalle prima di dirigersi anche loro verso l'uscita.

«Andiamo?» mi chiese il Capitano che era rimasto presente nella sala. Annuii vagamente, seguendolo poi verso l'uscio della sala.


Buongiorno, miei cari lettori!

Sono tornata con un nuovo capitolo, e direi anche finalmente. Non pubblicavo da un sacco di tempo, a causa dei numerosi impegni con la scuola e anche per via dell'assenza di ispirazione. Ho dovuto riscrivere questo capitolo da zero, mantenendo gli eventi in grandi linee, e devo dire che mi ritengo soddisfatta. Adesso potrò finalmente iniziare a scrivere il capitolo successivo, e devo dire che mi ritengo abbastanza pronta!

Colgo l'occasione per consigliarvi di rivolgervi a Theblackcatshadow per fan art dei vostri personaggi. Offre un servizio davvero interessante a cui io mi sono rivolta per una fan art di Jane, ed ecco il risultato:

Non è bellissima, vero?

Devo dire che la immaginavo così, ma ognuno può continuare a immaginare la mia Jane come preferisce. E voi, come la immaginate? Fatemelo sapere nei commenti.

P.S
Mi fa molto strano scrivere di Tony dopo Endgame, ma spero di rendere onore a lui e a Nat nel migliore dei modi.

Ci vediamo al prossimo capitolo!

xoxo

JaneMargotValdez

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