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IX


«Notte insonne anche per te?» esordì una voce femminile alle mie spalle.

Mi voltai e trovai lei, Jane. Si stava avvicinando al bancone degli alcolici con addosso una maglietta lunga bianca che arrivava a metà coscia e il volto impastato dal sonno.

«Purtroppo sì,» risposi avvicinandomi al bancone facendo segno con la testa alla ragazza di versare anche a me qualcosa, «tu invece?»

«Sono perseguitata dal passato, non riesco a dormire» affermò rammaricata. Versò un liquido ambrato in un bicchierino e me lo passò.

«Allora sei un buona compagnia» conclusi con un sorriso malinconico. Avevo sognato Peggy: eravamo in una trattoria e lei stava parlando con un uomo ignorandomi. Poi si voltava e mi confessava che l'avevo delusa e che non sarei mai riuscito a vivere felice con lei, come entrambi avremmo voluto. Che non sarei mai riuscito ad avere quel famigerato ballo. Nella mia vita quello era il mio unico rimpianto. L'unico ricordo malinconico del mio passato. L'unica macchia indelebile sulla mia coscienza. Avevo un assoluto bisogno di affogare le mie sofferenze nei fumi dell'alcool. Rimasi qualche istante a fissare il bicchiere sul tavolo. Se avessi potuto sarei tornato indietro nel tempo solo per poterla riavere indietro.

«Steve, non puoi tirarti indietro proprio adesso» affermò la ragazza alzando il bicchiere in alto, «dov'è andato a finire tutto il tuo coraggio da super soldato?», aggiunse poi ridendo.

«CIN CIN» alzai il bicchiere in alto brindando al futuro, mentre i suoi occhi squadrarono insistentemente i miei. Quello sguardo così penetrante e misterioso, sembrava quasi che cercasse di entrare nella mia mente. Mi sarei potuto perdere nelle sue pupille.

«Lo conosci Molière?» mi domandò tracannando l'ultimo sorso della bevanda.

Negai con un cenno della testa, poggiando il bicchierino sul bancone.

«Era uno dei più grandi commediografi francesi. Diceva: "Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro e un buon amico" credo mi sia rimasta solo la bottiglia, e neanche visto che è proprietario di Stark. I miei libri sono stati bruciati per colpa mia. Il mio migliore amico è morto per colpa mia. Semino disgrazie ovunque» confessò scolando un altro bicchierino.

Abbassai lo sguardo in imbarazzo, non sapendo cosa fosse più opportuno dire. Non ero mai riuscito a trovare le parole giuste per tutte le situazioni, soprattutto se dovevo rapportarmi con una ragazza.
«Sai, ho riflettuto molto su quello che mi hai detto e sono giunta alla conclusione che non mi sono ancora presentata come si deve» aggiunse lei porgendomi la mano e facendomi sorridere di gioia.

«Jane Winters,» disse mentre strinsi la mano,  «è un piacere conoscerla!»

«Steve Rogers, e il piacere è mio» risposi per poi scoppiare a ridere con lei. Nonostante avessi passato molto tempo con lei nelle ultime ventiquattro ore non mi ero ancora accorto della particolare bellezza del suo volto, che ora risaltava grazie alla luce della luna proiettata su di lei.

Zigomi molto pronunciati facevano da contorno a una carnagione bianca come la porcellana senza imperfezioni nessun tipo, a eccezione di un lieve rossore sulle guance, imperlate poi da una pioggia di lentiggini. Gli occhi erano di color marrone cioccolato profondissimi e sembrava quasi che ridessero. I capelli rossi le incorniciavano il viso arrivando fino alle spalle. Non mi sarei stupito se avesse avuto milioni di uomini al suo seguito.

La ragazza appoggiò i gomiti sul bancone, chiuse i pugni e vi appoggiò il mento, con lo sguardo perso nella riflessione.

«Io, Captain America e un bicchiere di Bourbon. Chissà quante donne sognano questo momento. Dovrei ritenermi fortunata?» schioccò la lingua e alzò un sopracciglio.

«Dipende se è di tuo piacere la compagnia» risposi reggendo la palla al gioco. Continuammo a guardarci negli occhi con un'aria di sfida e di curiosità.

«Raccontami qualcosa di te. Che non sia però su supereroi o sul nostro passato, qualcosa sulla vera Jane,» proferii guardandola negli occhi, «qualcosa di solo tuo».

«Quando sarai più grande» rispose ridacchiando con fare illusorio.

«Ho già novant'anni. Quanto ancora dovrò aspettare?» affermai ridendo. La ragazza si picchettò l'indice sulle labbra.

Restammo a guardarci per qualche secondo, che sembrò un'eternità, poi lei spostò la vista verso la vetrata.

«Le stelle. Sono una grande appassionata di astronomia, mi ha sempre affascinato sapere che c'è qualcosa oltre a noi nello spazio. Insomma, è impossibile che la Terra sia l'unico pianeta abitato in mezzo a tutta quella immensità del cosmo. Qualcosa di incredibile, di immortale. Mia madre diceva che semmai durante la mia vita fossi stata in difficoltà, di alzare lo sguardo alle stelle. Di aggrappare a loro i miei problemi e le mie sofferenze e di non offuscare la mia vita, anzi di renderla spettacolare» spiegò avvicinandosi alla finestra.

«Da qua si vedono benissimo, per esempio quella,» decretò indicando sopra il Chrysler Building, «è la costellazione di Cassiopea, la vedi?»

«Credo di sì, è quella a zig-zag?»

«Esatto, se sposti lo sguardo verso est troverai quella di Andromeda, ha la forma di una W, trovata?»

Mossi la testa in segno di disapprovazione. Lei si mise accanto a me, prese il mio braccio e lo spostò nella posizione giusta. Era così vicina che potevo sentire il suo respiro sul mio collo. Quel contatto provocò in me milioni di formicolii.

«La... la vedi?» chiese quasi sussurrando.

«Sì... la vedo» risposi titubante, voltai il
mio volto e ci guardammo negli occhi, un
istante dopo si staccò da me imbarazzata, con le guance velate da un lieve rossore.

«Sono così misteriose le stelle. Affascinanti. La sera passavo il mio tempo con gli occhi rivolti verso il cielo. Stavo coricata in mezzo alle campagne a guardarle. Dalla Norvegia si vedeva tutto perfettamente. Ogni costellazioni brillava e risplendeva. Da qui è tutta un'altra storia. Per colpa delle luci a volte vi perdete uno spettacolo unico» raccontò la rossa sospirando, bloccata davanti alla vetrata.

«Sono cambiati i tempi, questa non è più la New York di una volta, quando ero ancora un ragazzino le stelle ricordo si vedessero...» narrai a voce alta con una certa malinconia.

«Sta parlando lo stesso Steve severo di stamattina? Non ti immaginavo così malinconico» domandò provocandomi una risata.

«Non sono solo cosa si vede dalla maschera» esclamai voltandomi verso di lei. Entrambi eravamo davanti alla vetrata, i volti illuminati dalla luce delle stelle.

«Quindi sotto sotto esiste ancora il gracile ragazzo di Brooklyn con qualche muscolo in meno.»

Sorrisi e abbassai la fronte accarezzandomi la testa. Jane si voltò di nuovo verso fuori.

«Cos'altro ti insegnarono durante il tuo addestramento?» chiesi mosso da una pura curiosità.

«Il nemico non rivela mai i suoi assi nella manica, dovresti saperlo» declamò sorridendo.

«Dovrei quindi supporre che siamo ancora nemici

Stavolta fu lei a ridere, rivolgendo poi uno sguardo ai grattacieli di fronte a noi.

«Non ho detto questo, ma considera che ci sara sempre qualcosa che non scoprirai su di me, mi piace tenere certe cose nascoste. Cosa vorresti sapere?»

«Oggi hai parlato di un addestramento, cosa ti facevano fare?»

«Non c'era un vero e proprio programma. Più cose potevo sapere meglio era. Più ero competente più probabilità di riuscita avevo nelle missioni. La cultura è la vera meretrice, è la madre delle meretrici. Avevo libero accesso alla biblioteca, ricordo fosse immensa. Poi ovviamente avevo da seguire delle lezioni: combattimento, lingue, dialettica...» iniziò a spiegare.

«Per svago mi divertivo a passare ore a leggere, quando non ero utilizzata per gli esperimenti. Passavo dai libri di filosofia alla psicologia, dall'anatomia alle lezioni di combattimento. D'altronde avevo una copertura da mantenere come studentessa dell'Università di Oslo, necessitavo avere una cultura da universitaria. Per esempio, tu sei un ottimo oggetto d'osservazione socio-psicologico.»

«A dirla tutta, nessuno mi ha mai detto che sono un "oggetto d'osservazione socio-psicologico"» dissi, lei ridacchiò.

«Quando divenni più grande iniziarono a sottopormi anche a lezioni di Psicologia e Psichiatria. Era importante per loro che riuscissi a comprendere nel minor tempo la mente di una persona per estorcere prima le informazioni utili. Quale modo migliore che scavare nell'anima e trovare i punti deboli delle persone per ottenere le informazioni?
Mi sottoponevano prototipi di individui, mi raccontavano le loro abitudini, mi mostravano le loro giornate, e dovevo psicoanalizzare la loro persona. Ho già visto prototipi come il tuo»

«E che tipo di persona sarei?» domandai attento appoggiando una spalla alla vetrata. La ragazza si voltò anche lei, i fianchi gravavano sul vetro, dove aveva anche poggiato la mano destra.

«Sei uno di quelli che tenta di proteggere gli altri dal proprio passato, fai del bene perché pensi di poter aiutare tutti quanti, ma chi aiuterà te? Il senso del dovere ti calza a pennello come la tuta che indossi eppure a volte lo trovi quasi asfissiante, come se prima o poi tutta questa vita possa inghiottirti dentro, ma anche se accadesse riusciresti a riprendere il controllo. Saresti un soggetto complicato se solo la tua mente non fosse ancora abituata ai ritmi e ai tempi degli anni 40', come se la storia fosse andata avanti ma la tua mente avesse bisogno di restare appigliata alle poche certezze che aveva. Ti fidi troppo degli altri quando forse dovresti prestare più attenzione a quello che ti succede intorno. La gente non è più quella di una volta, Steve. È ammirevole, ma ti rende debole a volte. E non ci si può permettere di essere deboli» spiegò tutto d'un fiato. Rimasi a bocca aperta per le sue parole. Mi conosceva da poco eppure sembrava conoscermi da sempre.

«Mi sarebbe piaciuto avere una vita come la tua in fondo, non sarà filata sempre come l'olio, ma di certo meglio della mia. Non so neanche cosa ci faccio qui...»
Aggrottai confuso le sopracciglia.

«Perché dici questo, sei un ottimo acquisto alla squadra. Ci servono elementi come te»

«Io non ho la stoffa dell'eroina. Non sono fatta per fare cose buone, anche se mi impegno causo solo caos. Fa parte della mia indole dubitare delle persone. Lo Stato mi sta stretto, le regole mi stanno strette» scherzò mentre con il dito spostava lo scollo della maglia lontano dal collo, come per far capire che le regole gli stessero strette come la sua maglia.

«Ognuno fa cose cattive ed errori ma non significa che non riesca a cambiare nel corso della sua vita, me lo hai detto tu»

«E se non ci riuscissi?» domandò Jane con un sospiro malinconico.

«Vorrà dire che ti aiuteremo, ma nessuno stabilisce chi siamo, io non ti vedo così»

La ragazza sorrise, tornando a guardare fuori.

«Le altre persone a differenza tua continuano a vedere solo questo...» scherzò, giocherellando con una sfera di fuoco che ruotava intorno alle dita della mano destra che ergeva accanto al suo volto, «E continueranno ad averne paura.»

«Vorrà dire che gli faremo cambiare idea» esclamai facendo l'occhiolino alla ragazza.

«C'è altro sotto la maschera, è vero» sussurrò lei.

Sorrisi «Lo stesso vale per te».

«Ho letto il programma di domani, ma non mi è chiara una cosa, cosa sarebbe la "Simulazione di lotta in campo di guerra"?» domandò con tono interrogativo.

«È un'idea di Tony, serve a testare le nostre doti su un vero campo di battaglia, simulandone lo scenario. Sono basate sulle nostre abilità di combattimento e su questa prova basiamo diversi tipi di allenamenti» affermai spiegandole tutto, eliminando così l'imbarazzo creatosi poco prima.

«Come ti è sembrato Tony?» domandai curioso di conoscere l'opinione che avesse la ragazza del milionario.

«Egocentrico» ammise di getto ridacchiando.

«Lo so, è fatto così, ma alla fin fine ha un cuore d'oro.»

«Grazie mille Steve, sono commosso e piacevolmente sorpreso, Capitan Ghiacciolo prova dei sentimenti?» disse Tony mentre entrava con la sua vestaglia di seta e il suo pigiama che saranno costati più di tutto il mio armadio.

«Scusate, ho interrotto qualcosa?» domandò riferendosi poi a me e Jane.

«Nulla!» dicemmo io e la ragazza in coro.

«Farò finta di crederci» concluse con un sorriso ammiccante.

«Che ci facevate svegli?» domandò accingendosi verso di noi.

«Cosa ci fai tu sveglio?» rispose con
prontezza Jane alzando il sopracciglio

«Touchè» rispose osservando la rossa.

«Comunque avevo fame» aggiunse poi mentre si avvicinava al bancone.

«Voi due avete osato aprire il mio Bourbon senza dirmelo, vale più di ciò che indossate lo sapete?» affermò indicando la bottiglia aperta.

«Mi dispiace Tony, non credevo ci fosse scritto il tuo nome su quelle bottiglie» affermò Jane con tono provocatorio mentre io me la ridacchiavo sotto i baffi.

«Comunque anche io sto morendo di fame, quindi mi dispiace Tony ma dovrai sopportarmi ancora per un po', ci vediamo domani Steve» aggiunse poi salutandomi con la mano.

«Un'ultima cosa, mi devi raccontare qualcosa su di te, Capitano. La prossima volta non me ne dimenticherò, quindi preparati» continuò Jane, ammiccando un sorriso provocatorio.

I due uscirono dalla stanza, Tony osservava Jane contrariato, mentre io mi dirigevo verso la mia ancora più confuso di prima.

Quella ragazza era... interessante.
Mi attirava come il miele attira gli orsi, come le falene a una lucerna. Non mi spiegavo questo magnetico interesse. Insomma, fino a qualche ora fa avevamo litigato, eppure.
Quel suo mistero. Quella sua aria così fredda, quel suo muro che la protegge dalle minacce.
Probabilmente per colpa sua mi cacciarò in un grosso guaio, eppure non potevo evitare di pensare a lei e a quanto avessi voglia di riverderla il giorno successivo.

***

Salve a tutti, miei cari lettori!
Spero abbiate passato un buon Carnevale!

Questo credo sia uno dei capitoli che in assoluto preferisco. Jane ha perdonato Steve, chissà cos'accadrà adesso!

Spero di pubblicare al più presto il prossimo, sarà difficile revisionarlo ma sono sicura di riuscirci! Cos'accadrà secondo voi durante la simulazione?

Mi auguro che il capitolo possa piacere anche a voi!

xoxo

JaneMargotValdez

Revisionato: 20/07/2019

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