III
Joseph Evans, l'unica guardia della prigione che mi era amica, aveva appena poggiato il cappello sul tavolo e si stava avvicinando per rivolgermi la parola. Se avessi dovuto descriverlo, avrei detto di lui che assomigliava al tipico ragazzo della porta accanto. Quello tutto precisino che nella foto dell'annuario veniva sempre perfetto, senza neanche un ciuffo ribelle fuori posto. Solo che, anziché giocare a football faceva la guardia carceraria. E non era il più figo della scuola, ma aveva una pistola, e questo bastava per portargli rispetto.
«Jane, sei sveglia finalmente, come ti senti?»
chiese il poliziotto.
«Secondo te? Credo di avere due costole rotte e, considerate le bende sulla testa, un trauma cranico, ma sai che ti dico sto benissimo, credo di poter correre in una maratona» esordii sarcasticamente alzando il braccio ancora legato alla flebo.
Il sarcasmo faceva da sempre parte della mia personalità, era il mio modo di vedere il mondo. C'era chi vedeva il bicchiere mezzo pieno, chi mezzo vuoto, le persone che vedevano solo un bicchiere, e le persone
-come me- che necessitavano di scherzare sul bicchiere.
«Vedo che il sarcasmo non ti manca, come al solito, credevo che questa volta avresti smesso.»
«Divertente, bella battuta. Comunque, potrei sapere cos'è successo?»
«Olga. Le hai dato della grassona e altri begli aggettivi, il tuo solito insomma. Magari la prossima volta eviterai di provocarla...»
E in un attimo la memoria mi investì come un fiume in piena e ricordai tutto quello che era successo nelle ultime ore. Avrebbe dovuto essere un pranzo come gli altri, se non fosse stato per Olga.
Olga Sokolov, quarantenne russa, accusata di pluri-omicidio, spaccio, rapimento di minori e sequestro di persona. Voci di corridoio sostenevano che fosse affiliata a qualche agenzia segreta di mafia russa e che stesse architettando di uccidere il presidente insieme a un altro gruppo di persone prima di essere stata catturata e arrestata. Ovviamente non ci avevo mai creduto. Qui dentro eravamo tutti uguali, indipendentemente dalle nostre colpe e dal motivo per cui ci trovavamo in questo luogo.
In ogni caso, potevano sembrare sciocchezze se avessimo tralasciato il fatto che era una donna particolarmente irascibile, che mi odiava a tal punto da aver provato a infilzarmi il braccio con una forchetta di plastica.
Ma torniamo a quel giorno: il momento del pranzo era sempre una grande confusione. Una lotta per arrivare a prendere il proprio vassoio, una giungla dove prevaleva la legge del più forte, per non parlare del problema dei posti. Quando misi piede in quel posto, segnai la mia condanna e inavvertitamente decisi di sedermi sulla sedia di Olga.
Da quel giorno cercava in tutte le maniera di infastidirmi. E non avrebbe certamente perso nessuna occasione per farlo. Tipico di Olga, sentirsi realizzata per avermi dato fastidio era scritto nel suo codice genetico. Così, quel giorno aveva deciso di dovermi rubare il pasto.
Allora le avevo gentilmente intimato di lasciarmi in pace per un giorno, ma lei si era rifiutata di farlo. Allea le rispose scherzosamente, dicendole che non le avrebbe fatto male restare a digiuno, considerati i chili di troppo. Lei ribatté a sua volta e, una cosa tira l'altra, la situazione ci sfuggì di mano, o almeno a me, considerato che lei sognava quel momento da anni, e incominciammo a picchiarci.
Avrei pure vinto, se solo non avessi usato i miei poteri. Mi ero accasciata così al centro della mensa, dopo aver appiccato fuoco a una sedia, travolta dalle scosse elettriche e utilizzata come sacco da boxe dalle amiche di Olga. Maledetto bracciale.
Ripensando a tutto ciò mi veniva quasi da ridere.
«Ma certo, possibilmente le regalo un bigliettino di scuse fatto con le mie manine e tanto amore» obiettai con un sorriso sornione ritratto sul volto.
Evans mi guardò con un ghigno ritratto sul volto, i suoi occhi luccicavano di gioia, come quando un bambino poteva finalmente comprare le caramelle che tanto desiderava.
«Hai qualcosa da dirmi? Continuo a non spiegarmi quel sorrisetto, oggi non me la racconti giusta...»
«Si dà il caso che, mentre tu ti prendevi a botte con Olga, un uomo, che dice di essere un agente o qualcosa del genere è venuto a cercarti, ha detto che voleva parlarti. Cinquantina, benda sull'occhio, cappotto stile Matrix, sembra un tipo a posto!»
Iniziai a riflettere sull'identità di quest'uomo misterioso. In vita mia nessuno era mai venuto a cercarmi, e dalla descrizione fatta da Evans non corrispondeva a nessun uomo a me familiare. Insomma, da quando un uomo con una benda al posto dell'occhio può essere definito un "tipo a posto"?
«Pianeta Terra chiama Jane, ripeto Pianeta Terra chiama Jane» affermò Evans passando una mano davanti agli occhi con lo scopo di attirare la mia attenzione.
«Non voglio parlarci, non conosco nessun tipo che assomigli a un pirata, e non mi sembra neanche un tipo a posto» sbottai chiudendo le braccia al petto.
«Ma sei impazzita?! Senti Jane, ti conosco da quando sei qui e non potrò proteggerti per sempre da quella pazza russa, prima o poi ci resti secca e io non potrò aiutarti. Non puoi lasciare che la vita scorra via dalle tue mani senza cercare di opporti. Ciò che è successo quella notte non è colpa tua, chiunque sia quel tipo vuole aiutarti. Ho cercato tra alcune scartoffie e sembra essere un agente di qualche super gruppo di spie appoggiato dal governo o roba simile quindi adesso sarai cordiale e farai in modo di andartene da questa prigione, perché io non ho più intenzione di vederti, chiaro?»
Non avevo mai visto Evans così severo e deciso prima d'ora. Si alzò dall'angolo del letto che stava occupando dall'inizio della discussione e lo osservai allontanarsi fino alla porta.
«Una volta fuori, che dovrei fare secondo te?» domandai all'uomo.
«Potresti fare tante cose sai» rispose con noncuranza.
«Certo, potrei ricominciare a fare l'accendino umano per qualcuno, magari in un circo come fenomeno da baraccone» affermai sbuffando.
«Non intendo questo, potresti fare del bene» esclamò sicuro di sé.
«E cosa ti fa pensare che io voglia fare, o che, semplicemente, io riesca a fare del bene come una spia modello?»
«Dubito che tu voglia tornare qui dentro. Anche se magari non lo vuoi ammettere, si capisce che cerchi in ogni maniera di uscire da questo posto» sorrisi senza ribattere.
«Ci vediamo tra dieci minuti, non di più» concluse risoluto.
«Grazie, sei stato il mio unico amico, non ti dimenticherò!»
«Ma davvero, non mi sarei mai aspettato qualcosa del genere detto da te, ti prego ridillo che ti registro...»
«Evans, posso sapere perché sei sempre stato così gentile con me? Insomma, ti ho sempre insultato da quando ti conosco...»
«Vali più di quanto credi, hai più potenziale di quanto pensi, e non sono l'unico a vederlo. Fatti trovare nella stanza degli interrogatori, sarò lì ad aspettarti.»
Gli feci il saluto militare e lo guardai uscire da quella porta, preparandomi all'incontro con quell'uomo misterioso.
Con delicatezza sfilai la flebo dal braccio e tamponai la ferita con una garza, coprendola poi con un cerotto. Solo in quel momento decisi di alzarmi, accorgendomi di avere ancora addosso la classica tuta arancione da carcerata.
Mi avvicinai a uno specchio e osservai il mio volto dopo anni di prigionia. I miei occhi marroni erano circondati da gigantesche occhiaie violacee, le pupille erano dilatate, forse a causa dei tranquillizzanti che mi avevano somministrato. I capelli rossi erano disordinati e formavano una massa informe, le trecce che avevo fatto la mattina precedente si erano sciolte formando un groviglio.
Più mi guardavo e più cercavo di ricordare la ragazza che ero prima.
Ma era sparita totalmente. Gli anni di prigione mi avevano cambiata, non ero più la donna violenta che scaricava rabbia sul mondo per colpa della sua vita. Ma non ero neanche più la giovane adolescente di qualche anno fa. Erano passati ben quattro anni dalla strage che mi coinvolse quella sera di luglio. E, a causa di quello che era successo, portavo il peso delle mie colpe sulle mie spalle. Ed ero da sola a farlo.
Il ticchettio delle lancette dell'orologio appeso al muro sanciva lo scorrere del tempo.
Ero così distratta dai miei pensieri che dimenticai l'appuntamento, così decisi di affrettarmi per raggiungere la sala interrogatori.
Odiavo quel posto più di molti altri, era una stanza tetra e decisamente inquietante, con un tavolino al centro e una vetrata antiproiettile alla sua destra. Il resto della stanza era dipinto di un nero pece. Di quel luogo non ho mai avuto ricordi felici, ogni volta che mi recavo lì era solo per cattive notizie.
Mi feci accompagnare da una guardia che mi aveva aspettato fuori l'infermeria e, arrivata nella stanza, mi sedetti al tavolino e iniziai ad aspettare.
«Evans, possibile che non arrivi?», urlai verso l'altra stanza, «Non ho tempo da perdere!»
In realtà non era vero, ma non avevo nessuna voglia di vedere qualcuno.
Le dita giocherellavano tra di loro con le manette. Un passatempo stupido, ma d'altronde avrei dovuto occupare il tempo facendo qualcosa, odiavo aspettare. D'un tratto un uomo di colore si fece avanti dalla porta teatralmente.
Quello era totalmente vestito di nero e portava una benda su un occhio, anch'essa nera, e un cappotto di pelle che svolazzava al suo passaggio.
«Complimenti per l'abbinamento dei colori! Sta andando a un funerale per caso?» affermai con il solito ghigno sul mio volto, ma purtroppo il tipo, oltre a mancare di vitalità, non comprese la mia battuta.
L'uomo tirò fuori un fascicolo dall'impermeabile, prese una sedia e si sedette di fronte a me, e, rimanendo totalmente impassibile, iniziò a osservarmi. Mi scrutava di sottecchi, da dietro il fascicolo, con quel suo unico occhio buono, con fare severo e vigoroso, ma anche con un pizzico di curiosità. Sospettavo sapesse già tutto di me, nonostante questo sembrava stesse cercando di entrarmi dentro e fare un tour della mia anima. Mi era impossibile non sentire la voglia di potermi difendere, desideravo solo una lotta alla pari, sapere soltanto qualcosa in più sul misterioso interlocutore che mi ritrovavo davanti e che insistentemente stava infrangendo ogni barriera che mi creavo con gli estranei.
«Siete dei servizi segreti? Dell'FBI? Sa, ho già avuto a che fare con voi federali.»
«Jane Amelie Winters» affermò iniziando a leggere il fascicolo.
«21 anni. Madre chimica, prematuramente deceduta, padre geologo, latitante dal 2000»
Voltai la testa verso Evans, fuori dalla finestra, quel tizio non mi piaceva per niente.
«Ex-studentessa alla "University of Oslo" e frequentatrice dei laboratori criminali del Technology Empire of Human Mutation...»
In risposta tossii, per attirare la sua attenzione.
«Se per "frequentatrice"», feci dei gesti con le dita per indicare le virgolette, «intendete "esperimento umano", allora sì, sono una "frequentatrice"!» sbottai irritata. Scese il silenzio nella stanza, interrotto dopo un po' dall'uomo che riprese a leggere.
«Categoria: Mutante. Il soggetto presenta completa padronanza del fuoco e dei suoi derivati, è in grado di creare armi o bruciare con un semplice tocco qualsiasi cosa. Precedenti penali: incendio doloso di uno dei centri del T.E.O.H.M, sparatoria all'interno di un casinò, esplosione di un camion blindato, con l'aggravante di omicidio e furto in diversi negozi. Tendenze autodistruttive e totale incapacità nel tenere a bada gli istinti, ma anche intelligente, indipendente e brillante...»
«Colpevole!» esclamai alzando le mani in alto con gesto teatrale.
«Adesso che ha smesso di ricordarmi ciò che ho fatto della mia inutile vita», ribattei avvicinando il mio volto verso il suo e alzando un sopracciglio in maniera sarcastica, «potrebbe spiegarmi chi è e perché ha monitorato la mia esistenza da quando sono nata, e il perché di questa sua descrizione così accurata della mia persona?»
Egli estrasse un distintivo dalla tasca interna del giaccone dove, accanto alla placca lucente con una sua foto, era raffigurata una maestosa aquila. Sotto era scritta a caratteri cubitali la parola "S.H.I.E.L.D".
«Sono Nick Fury», affermò chiudendo il fascicolo e spostandolo verso di me con la mano, «ex-presidente della Stategic Homeland Intervetion, Enforcement and Logistic Division».
«Un po' lunghetto come nome, mi dica, ha mai pensato a un nomignolo? Come dovrei chiamarla? Agente Fury? Nick? Monocolo?...»
«Siamo un'associazione anti-terroristica, e analizziamo da anni casi come il suo...»
«E come sarebbe il mio caso?»
«Speciale, cara Jane. Il governo la monitora da quella notte di luglio. Conosciamo bene le sue doti ma controlli che non diventino una minaccia per altre persone. Noi non vogliamo che pensi che l'abbiamo spiata, ma diciamo solo che abbiamo preso delle precauzioni. È un semplice studio quello che abbiamo condotto su di lei. Sono venuto qui a darle una seconda chance, una sorta di possibilità di redimersi, se dobbiamo dirla tutta...»
«A cosa devo tutta questa benevolenza?»
«Puro interesse, tutto ciò che voglio è valorizzare le sue doti, far vedere al mondo di che pasta è fatta. Ovviamente solo se lei è d'accordo. Vada all'ultima pagina del fascicolo.»
Aprii e sfogliai il fascicolo guardandolo con uno cipiglio di sfida.
«Mi chiedo come mai abbia scelto una persona come me, insomma, non ha paura che io possa torcere un capello a qualcuno dei suoi beniamini superdotati?»
«Non credo che lei abbia scelte migliori qua dentro. Mi faccia indovinare, quella sul polso è una benda relativamente recente, il sangue sembra fresco, è facile dedurre che lei qui dentro abbia dei problemi a relazionarsi con le altre carcerate. Le assicuro che se accettasse questo accordo non rischierebbe più di venire massacrata di botte perché deve nascondersi. Le sue doti verrebbero apprezzate, non intrappolate» rispose. Nascosi il polso coprendolo con l'altra mano.
«Un semplice taglio non mi farà cambiare idea. Cosa crede potrà pensare la società nel sapere che ha un'evasa nella sua squadra, dove sarebbe il suo vantaggio?» supposi stizzita. Volevo metterlo in difficoltà, desideravo solo sapere quale fosse il motivo reale per cui fosse venuto. Di certo non per convenienza.
«Le basti sapere che ha le qualità idonee, e un briciolo di imprevedibilità che a me piace. Inoltre ha già fatto parte di qualche organizzazione: conoscerà il mestiere. Mi sono già rapportato con persone lei, vuole una redenzione per i suoi peccati. Una chance per ritornare indietro nel tempo e rifare tutto daccapo. Le sto dando questa possibilità. Sarò il suo angelo redentore. Basta solo una firma.»
«Se ha monitorato la mia vita da quella notte, perché non mi ha contattato prima? Anziché farmi finire in questo tugurio?» domandai con un filo di sarcasmo e tanta stizza.
«Perché non era il momento giusto» decretò sorridendo.
«Cosa le farà pensare che io accetti l'accordo e decida di prendere parte al progetto... al progetto Avengers? Se mi rivelassi non all'altezza di questo ruolo, se coinvolgessi persone innocenti?»
«Dubito che getterebbe al vento l'unica possibilità che ha per andarsene facendo gli stessi errori di una volta, e dubito anche che lei voglia tornare qui.»
«Mi trovo bene qui dentro» strinsi le braccia al busto sostenendo il suo sguardo.
«Mi dispiace per lei ma non vi rimarrà per molto. Se non accetta in alternativa verrà trasferita in un carcere di massima sicurezza in vibranio, sott'acqua. Conosciamo i problemi con cui è venuta a rapportarsi qui dentro, lo facciamo unicamente per il suo bene, sarebbe troppo rischioso per lei rimanere qui.»
Un sorriso molesto accentuò l'ultima frase, un gesto di sfida, come se l'agente sapesse già che avrei firmato, nel profondo aspettava una risposta positiva.
«Le sto facendo un favore signorina Winters, una persona con i poteri di cui lei è dotata potrebbe diventare una minaccia per tutta la terra. Un altro l'avrebbe lasciata marcire in cella. La lascerò pensare, ritengo abbia molte domande a cui rispondere e poco tempo per farlo. Domani un elicottero verrà a prenderla, spero che ci sia anche lei domani alla Torre, altrimenti buona permanenza nella sua nuova cella» concluse dirigendosi verso la porta.
L'idea di entrare a far parte di un gruppo di fanatici non mi esaltava. Per niente. Ma mi esaltava ancora meno l'idea di andare a vivere con i pesci. Presi un gran respiro e afferrai la penna.
«Aspetti, va bene!», con un veloce movimento firmai il foglio di carta, gettando poi la penna con rabbia sul tavolo, «Mi consideri parte di questo progetto, ora se ne vada prima che cambi idea».
«Ottima scelta, benvenuta nel progetto Avengers, signorina Winters.»
Salve a tutti miei cari lettori!
Volevo ringraziarvi per il sostegno che mi state dando, grazie per tutti i commenti positivi e per tutte le stelle che mi donate. Sto raggiungendo dei traguardi che non mi aspettavo davvero di ottenere, grazie mille!❤️
Spero che il capitolo vi piaccia, personalmente lo adoro! Buona lettura❤️
xoxo
Revisionato: 1/07/2019
JaneMargotValdez
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