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3. La quiete prima della tempesta


Il martedì sera, di solito lo dedico a me stessa. Nessun impegno, nessun obbligo. Ci siamo io, il mio appartamento, la TV e una tazza di tè. Non è un mistero che sia diventato il mio momento preferito.
Finito di cenare, sistemo le cose in cucina e mi preparo per la serata. Estraggo l'album degli schizzi, accendo la TV e il bollitore. Le matite sono già in fila, dalla H alla 9B, la mia preferita in assoluto.
Disegnare è la mia passione segreta. Se ho un foglio e una penna a disposizione non riesco a non scarabocchiare. In redazione ne sanno qualcosa. Il Grinch ha minacciato più volte di detrarmi l'inchiostro che spreco - questo è stato il termine esatto, spreco. Ma non posso farne a meno. Adoro disegnare. Ma farlo con metodo e disciplina è tutto un altro paio di maniche.
Non sono un'artista. I miei schizzi non sono superbi, né speciali e non li mostro mai a nessuno. O meglio, non l'ho più fatto da quando mi hanno buttato fuori dall'accademia d'arte, prima che riuscissi a finire il terzo anno. Non voglio pensare troppo a quel particolare periodo della mia vita. Ogni volta che ritorno a quanto è successo, mi sale un odio dentro e va a finire che rompo qualcosa.

  L'unica eccezione al veto sugli occhi indiscreti è la nonna, ma solo perché la sua memoria è talmente fragile che praticamente non fa testo. Gli altri sono rumore di fondo, che si insuinua nella testa come se ne avesse diritto. E non ce l'ha. Non ce l'ha, cazzo.

La nonna si limita a dire che sono belli e il suo commento mi fa tenerezza. Vede gli stessi disegni ogni volta che vado a trovarla, cioè più o meno una volta al mese, e per lei è come se fossero sempre nuovi. A volte quando sono da lei all'ospizio, mi metto a disegnare. Lei mi guarda, e sorride. Devo stare attenta che nessuna delle infermiere mi veda, perché potrebbe lasciarsi sfuggire la cosa con mia madre. E allora sarebbe la fine, perché inizierebbe a tempestarmi di richieste per visionare il materiale e a pensare in grande. Lei non sa nemmeno dell'accademia. Che mi sono iscritta intendo. Non sa del casino che è successo, di quei mesi in cui mi sono trascinata per case di amici a cercare di dare una direzione alla mia vita, dopo che tutto quello che avevo sognato fin da bambina era stato estirpato dal mio futuro come la gramigna. Lei sa solo della laurea in Lettere. Quella che ho preso dopo, con calma secondo la versione ufficiale, anche se l'ho fintia un anno in anticipo, perchè ero brava a scrivere, ma a quel punto una cosa valeva l'altra.

Accarezzo le matite, indecisa su quale scegliere.

Prendo una 3B, poi cambio idea e la riappoggio, e scelgo una B. Per il mio disegno dal vivo ho allestito una composizione improvvisata con una caffettiera, il barattolo dello zucchero e un astuccio di orecchini. Se non perdo la pazienza prima, potrei tirare fuori qualcosa di passabile. Inizio a prendere le misure, con la matita in pugno e il braccio steso. Stropiccio gli occhi come un miope che legge i cartelli stradali. Ho sempre odiato prendere le misure e quando mi hanno buttato fuori dall'accademia ho smesso subito di farlo. Ovviamente sono peggiorata tantissimo, considerando che mi sono rifiutata di disegnare per tutta la durata dell'università. L'altra, intendo. Ho ripreso solo da qualche anno, non mi ricordo nemmeno come, e mi sono ritrovata non fuori forma, peggio. Però lo trovo catartico, e se mia madre lo scoprisse, non lo sarebbe più.

A volte penso che la mamma sia convinta di avere come figlia la versione femminile di Gesù Cristo. Il che è una stronzata colossale.

Porto spesso un taccuino in borsa. Non mi fido a disegnare in pubblico, per i motivi già esposti, ma non si sa mai. Se mi sento sufficientemente rilassata e lontano da occhi indiscreti, ogni tanto mi capita di abbozzare due forme a caso. La cosa noiosa sono gli sguardi dei passanti che si aspettano sempre Picasso e vedono sole cose indistinte. L'espressione sulle loro facce è fastidiosa. Perché credono di dover dare un'opinione per forza? E poi cazzo, lo so da me che non sono il fottuto Picasso.

Respiro, completamente rilassata.
 
Alla Tv danno una commedia romantica che ho visto già mille volte, quindi è perfetta come sottofondo, perché la storia non mi distrarrà troppo dal mio lavoro. Un volta entrata nel mood, lavoro in fretta, tracciando la linea del piano, poi le forme base e gli ingombri. Il tempo sembra eterno mentre la matita segna il foglio e l'attore protagonista dichiara il suo amore alla bella con una canzone sdolcinata, davanti ad un miliardo di persone.
Per favore, mi trovo a pensare con uno sbuffo del naso. Prima che abbia modo di elaborare oltre i miei pensieri riguardo alle dichiarazioni d'amore pubbliche, il film viene messo in pausa per la pubblicità e chi mi trovo sullo schermo?

Jaime degli Stakes. Il bad boy del rock. Alcol, sesso e Rock'n roll, non necessariamente in quest'ordine. Ovviamente fa pubblicità alla nuova edizione di X Factor. I miei ormoni si mettono tutti in fila sull'attenti, mentre lui continua a guardare in camera con quel suo ghigno da stronzo che sa di esserlo.

Praticamente è sesso che cammina, mi ritrovo a pensare, mentre le parti basse si attivano, giusto per confermare, che sì, non saranno mai state usate, ma questo non significa che non siano perfettamente funzionanti. I pensieri immersi fino ad ora in proporzioni e prospettiva vengono scardinati alla radice e l'idea di questo pomeriggio, ritorna prepotente in pole position.
E perché no?
Jaime è diventato negli anni una superstar mondiale che ha venduto milioni e milioni di dischi.

Ma di nuovo, perché no?
Non esistono forse un triliardo di motivational quote che dicono in mille salse, volere è potere?

Si, voglio fare sesso con Jaime e cercherò di fare in modo che accada.

Domani dovrò testare la veridicità delle conoscenze e delle promesse di Diva.

Game on.

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