2. Un piano ben congegnato
Le mie parole hanno lo stesso effetto di una bomba
"Davvero? Con chi? Spara", dice Atina, sgranando gli occhi e scattando sull'attenti. Come sempre ignora Guenda. Quelle sue si tollerano solo se non si vedono, non ne ho mai capito il motivo. "Hai già qualcuno in mente?"
Atina sembra sul punto di saltare sulla scrivania per ascoltare da vicino.
Sospiro. Anche qui altra pagina bianca della mia vita, nonostante la fantasia non manchi. Ma lei pende dalle mie labbra e non resisto all'impulso di prenderla un po' in giro.
"Ho deciso che perderò la verginità con Jaime degli Stakes," dico, buttando lì la prima cosa che mi viene in mente. Sto sfogliando la pagina di gossip di una rivista, in cui compare il soggetto incriminato, attorcigliato alla modella di turno. Alzo le spalle con finta indifferenza. "Se non posso avere l'amore per la mia prima volta, il minimo che mi spetta, è di farlo almeno con uno strafigo."
Atina mi guarda con occhi a tazza. E no, non è perché a quasi trentaquattro anni sono ancora vergine. Questo lo sa da tempo, anche se riuscire ad accettarlo ha richiesto una serie di interrogatori che CIA e MI-6, scansatevi. Dire che non riusciva a capacitarsene è un eufemismo. Mi ha quasi fatto sentire sotto accusa, inadeguata addirittura.
Ricordo ancora le sue obiezioni. La maggior parte non particolarmente creative.
"Ma sei una bella ragazza, intelligente, come è possibile che non sia mai capitato? Nessuno ci ha mai provato?" continuava a chiedermi, come se la cosa la offendesse personalmente. Ho provato più volte a farle notare che questa domanda non andava fatta a me, ma a un qualunque soggetto portatore di pene, ma non ha mai colto.
"Sei lesbica?" mi ha chiesto una sera, in cui aveva in corpo più alcol che sangue.
Devo averle riso in faccia.
"No, Atina, le mie preferenze sono abbastanza tradizionali, anche se non capisco il nesso tra l'essere lesbica e l'essere vergine."
Ha farfugliato qualcosa sul non riuscire ad accettarsi, e vivere una doppia vita, più altre cose sbiascicate e inintellegibili. Alla fine ho dovuto dirle di darci un taglio. La situazione era quella che era, io non me ne vergognavo e che cazzo, la smettesse anche lei con tutte queste domande, come se essere vergine fosse moralmente sbagliato e darla via a gratis cosa buona e giusta.
Alla fine ha desistito. Non so se ha capito la mia posizione al riguardo - visto che non sono mai entrata in dettagli - ma almeno ha avuto la decenza di smettere di fare domande. Per un certo periodo però, ha insistito per trascinarmi agli aperitivi con lei e per presentarmi chiunque le capitasse a tiro. E siccome Atina è una che parla anche con le sedie, più che aperitivi sembravano tour de force. Quando ho notato il ripetersi di un certo schema, le ho detto che si stava comportando come mia madre, che ha la stessa tendenza a rastrellare casi umani a mio beneficio, pur non sapendo della mia illibatezza. Non ha gradito per nulla il paragone (amo mia madre, ma quella donna è di una pesantezza biblica) e ha desistito, con mio smisurato sollievo.
La guardo ora, mentre sta soppesando quanto ho appena detto. Possibile che creda davvero alle boiate che sparo? Ha gli occhi fissi con la bocca aperta e la stessa aria di un cane da punta. Sta aspettando che io parli.
A quanto pare mi crede davvero. O forse no?
"La smetti di dire stronzate?" mi dice con un tono di stizza che non maschera del tutto l'indecisione.
Vediamo quanto riesco a sostenere la farsa, penso. "Non sarebbe una cattiva idea, no?" dico. "Ho quasi trentaquattro anni, nessuno mi ha mai sfilato le mutande e io non ho voglia di aspettare più." Poi distolgo lo sguardo e guardo lo schermo del pc come se stessi lavorando ancora all'articolo. In realtà rimango all'erta per carpire la reazione di Atina.
"Ci sono cose peggiori, credimi," mormora lei, completamente sviata. Il suo tono mi sorprende. La guardo, abbandonando ogni pretesa di occupazione.
"Dice una che pratica da più di dieci anni," mormoro e la frase esce ben più amara di quanto fosse mia intenzione. "Sono vecchia, cazzo. E sono stufa di aspettare qualcosa che nemmeno so cos'è".
"Non sei vecchia! E dimostri almeno otto anni in meno!" mi dice Atina. Poi però torna alla sua sedia a fissare lo schermo in silenzio con le braccia incrociate al petto.
Sbuffo, stupita dai miei stessi pensieri. Quella che è iniziata come una farsa, si è presto trasformata in qualcosa di diverso. Io ho voglia di fare sesso e Jaime degli Stakes, non è nemmeno una brutta idea.
Apro la pagina di Wikipedia che lo riguarda. Nato in America, genitori separati, madre italiana. È tornato in Italia a poco più di vent'anni, ha partecipato ad X-Factor e ha vinto, ma a differenza dei suoi predecessori, invece di fare il prezzemolino in Tv e sfornare canzoni idiote, è scomparso per un anno, per tornare poi con una band di amici di infanzia, americani e non. Leggo la lista dei singoli, sforzandomi di ricordarli. Non sono una fan dell'hard rock, e non ne riconosco nemmeno uno. Ma, cazzo, mi dico guardando la foto fornita a corredo della biografia, il ragazzo fa sangue, non so se mi spiego.
Nella foto sul sito deve essere ad un concerto, perché è scatenato sul palco, con una canottiera fradicia addosso, i capelli neri e corti, scompigliati dalla foga del movimento, le braccia sagomate piene di tatuaggi e gli occhi scuri, sorridenti. Si sta divertendo e si vede.
Guardandolo mi trovo a sorridere come il gatto del Cheshire, con l'acquolina in bocca.
L'idea, per quanto stramba, e irrealizzabile mi si attacca al cervello. Continuo a rigirarmela in testa per il resto del pomeriggio, mentre mi scervello per riuscire a pescare gli articoli che mi servono.
L'archivio sembra una casa svaligiata e il tempo stringe. Arraffo pagine a caso, le ripongo, le riprendo. La polvere è di casa e in breve mi trovo inzaccherata, con la spiacevole sensazione di avere le mani luride e appicicaticce. Urto dei fascicoli, facendoli cadere. Merda! L'articolo è ancora zoppo. Devo trovare qualcosa!
Tra una ricerca e l'altra, avanti e indietro dall'archivio, mentre Atina chatta a più non posso, scrivo una mail al Grinch per contrattare quattro ore di proroga, con la scusa di ulteriori verifiche. Accetta, a patto che invii l'articolo non alla redazione, come succede di solito, ma direttamente al tipografo, che ho già provveduto ad allertare, e che mi odierà, non potendo chiudere il file di stampa prima di domani, a causa mia.
Sto per gettare la spugna, quando alle quattro meno cinque arriva Diva, così soprannominata perché si crede la Beyonce del gossip internazionale, non fosse che lavora come noi in una rivista da cinquemila copie l'anno.
"Allora bellezze, come va?" dice, apostrofandoci con il suo accento posh sbiascicato e traballando su tacchi finto Loubotin - che, cazzo, li so riconoscere anche io, da quanto sono fasulli.
Atina la saluta con tre baci sulle guance e le allunga una sedia.
Ci prepariamo ad ascoltare i racconti del bel mondo - così li abbiamo battezzati - ovvero le pseudo interviste che Diva, il cui vero nome è un banalissimo Laura, fa a personaggi, forse famosi. Si ostina a chiamarli con il nome di battesimo, come se fossero amici e non celebrità di terza categoria che farebbero qualsiasi cosa pur di non annegare nell'anonimato. Diva lavora da casa, per quello non la vediamo spesso, e non la consideriamo una collega in senso stretto. Questo non ci frena dal prenderla bonariamente per i fondelli ogni volta che la vediamo.
Una volta ci parlò dell'autista di Madonna che aveva lanciato una collezione di calzature ed era in visita a Milano per la promozione della sua linea. Roba così tremenda da far sanguinare gli occhi; eppure lui e Diva avevano passato un pomeriggio a parlare della sua visione creativa, dei suoi progetti per il futuro, che probabilmente includevano anche un'incursione nelle parte basse di Diva, o così ci ha fatto intendere lei.
"Allora, che si dice nel bel mondo?" chiede Atina per darle il la.
Diva accavalla le gambe e si prende le ginocchia con le mani. Deve avere visto dei film anni '40, mi dico, riconoscendo la posa da principessa, che le riesce solo a metà perchè continua a dondolare la schiena come se non trovasse l'equilibrio.
"Diciamo che ho passato un week end interessante."
Ammicca, con il chiaro intento di indurci a fare domande, mentre continua ad annuire con il mento. Intento che riesce, visto che siamo curiose come i gatti. E poi le sue storie hanno sempre un lato trash che ci fa sbellicare dalle risate e a cui è difficile resistere. Però vorrei metterle le mani sulla faccia per farla smettere di annuire. Mi sta facendo venire il mal di mare.
"Che hai combinato?" chiede Atina, che si stacca dal monitor e dalla adorata chat per rivolgerle tutta la sua attenzione.
"Ho fatto incontri interessanti," dice la Diva per fare la misteriosa. Interessante è una delle sue parole preferite. E ha un debole per il melodramma, per questo, pur morendo dalla voglia di raccontare, bisogna cavargli le cose ad una ad una, procedura che alla terza domanda ti lascia perplessa a chiederti se valga davvero la pena fare lo sforzo.
"Dai, Laura, dacci un taglio e sputa il rospo," le dico io, distogliendo a mia volta gli occhi dal computer.
Le fa un sospiro profondissimo e si lancia nel racconto, alzando una mano per accompagnare la narrazione e lasciandola sospesa a mezz'aria.
"Bhé vi ricordate i Kalisperas?" dice, con gli occhi che brillano.
"Chi?" dice Atina, come se Diva avesse detto una parolaccia.
Diva alza gli occhi al cielo, infastidita. Chiaramente aspettava una reazione diversa. Anche la mano sospesa sembra irrigidirsi.
"Oddio," esclamo io, portando una mano alla fronte, mentre un'immagine di un gruppo di tamarri unti in tute di acetato si risveglia nella mia mente.
"Esatto," esclama Diva, cogliendo la mia espressione di disgusto e scambiandola per invidia. Il suo sguardo torna a brillare.
"Chi cacchio sono?" chiede di nuovo Atina, che ancora non capisce.
"Boyband italiana anni novanta, rivestita di tute in acetato, devo continuare?" le chiedo e vedo il mio stesso disgusto invadere i suoi occhi.
"Oh mio Dio, erano quei bellocci lampadatissimi e unti di Voglio il tuo amore?"
"Esatto!" esclama Diva, che finalmente ci vede reattive. Io e Atina ci mettiamo a canticchiare con voce stridula
"Voglio il tuo amore, il tuo amore o niente,
voglio il tuo amore non essere assente"
"Erano dei fighi pazzeschi" esclama Diva con sguardo sognante. La mano sospesa vibra. Deve avere dei muscoli delle braccia davvero tonici.
"Se ti piace il genere unto," puntualizzo io, interrompendo la mia performance canora, ma lei mi lancia un'occhiata al vetriolo che mi zittisce all'istante.
"Comunque, io ho incontrato Brad-"
"Brad? Ma non erano italiani?" s'intromette Atina.
"Si, ma avevano nome d'arte americani, per fare più presa sul pubblico," spiega lei, paziente. Oggi siamo più dispettose del solito, ma forse pensa di conquistarci con maggiori dettagli.
"Oh sì, ha funzionato benissimo, infatti. Cos'hanno fatto, un disco e mezzo prima di scoppiare?" dico io, sfottendola. Atina mi da il cinque.
Diva alza gli occhi al cielo. "L'Italia non era ancora pronta per loro," sentenzia in tono petulante. Sembra che stia parlando di suo cugino invece che di un tizio che ha visto una volta nella sua vita. "Comunque – continua parlando sopra ogni ulteriore interruzione – ha aperto un club delizioso, il White Horse –"
E qui di nuovo io e Atina non riusciamo a trattenerci.
"Il White Horse, intendi quel White Horse che tre mesi fa è stato chiuso per due settimane per il sospetto di spaccio di stupefacenti?" chiede Atina tra le risate.
Diva sputa fuoco dal naso e ritira la mano sospesa portandola al fianco come se ci volesse sgridare. "Non era colpa sua," esclama con voce stridula.
"Scusa, scusa," le dico io, conciliante. "Continua, per favore."
Diva mi guarda con sospetto, prima di riprendere. E ha ragione. Infatti non toglie la mano dal fianco.
"Mi ha invitato nella sua villa a noleggio – e di nuovo io e Atina con un solo sguardo, rischiamo di scoppiare, ma riusciamo miracolosamente a trattenerci – "e abbiamo preso un meraviglioso aperitivo a bordo piscina. Devo dire che è stato molto galante," esclama orgogliosa, lasciando intendere che il soggetto in questione ci abbia spudoratamente provato - e che molto probabilmente ci sia anche riuscito, concludo tra me e me.
Ammetto che Diva sia una bella donna, anche se mantiene il segreto di stato sulla sua età - sospetto non aspetti più i quaranta e azzarderei anche un quarantacinque - ma possibile che tutti, e intendo proprio tutti, quelli con cui entra in contatto, ci provino? Ha un'immaginazione estremamente fervida o la fame nel mondo è arrivata ai livelli di guardia anche da noi? E no, la mia non è solo invidia.
"Conosci qualcuno dell'entourage degli Stakes?", chiede improvvisamente Atina e per un attimo non cado dalla sedia.
Che cosa le salta in mente? Le lancio un'occhiataccia che lei ignora di proposito.
In questo istante capisco perché, nonostante tutte le pomposità e gli atteggiamenti di contorno, Diva è brava nel suo lavoro. Alla domanda di Atina sembra un cane che fiuta l'osso. Tutto il suo atteggiamento cambia in un nanosecondo, dalla posa lasciva sulla sedia a un stato di allerta, quasi avesse sentito la terra tremarle sotto i piedi. È sconcertante.
"Perchè?" chiede con tono mellifluo.
Atina esita un attimo a risponderle, cercando il mio sguardo per capire come continuare. Diva fiutando la debolezza affonda il colpo come uno spadaccino esperto cui è stato esposto il fianco.
"Ragazze, qui c'è sotto qualcosa. Raccontatemi, dove risiedono i vostri interessi per questa band? So che c'è un giovanotto alquanto indaffarato a capo. Un bel bocconcino, se volete il parere di un'esperta."
E si adagia ancora più comoda sulla sedia. Sembra disposta ad aspettare ore, pur di ottenere un'informazione che la soddisfi.
Valuto la situazione. Dicono che la miglior difesa sia l'attacco. E mettere in battuta le tue reali intenzioni è il modo migliore per uscire da questa situazione, penso in fretta. La gente crede sempre che scherzi anche quando le esponi la nuda verità, se lo fai con il tono giusto.
"Ho tanta voglia di fare sesso con lui visto che sono vergine," dico e scoppio in una risata liberatoria. Atina reagisce con un microsecondo di ritardo, poi anche lei sghignazza, come se avessi detto la battuta del secolo.
"Oh ragazze, siete così spassose," esclama Diva, che sta ridendo fino alle lacrime. "Come se esistessero ancora delle vergini al giorno d'oggi. Dai siate serie, come mai vi interessa tanto?"
Di nuovo quella voce melliflua da incantatrice.
Cazzo, ci sa fare. Ma a mali estremi, estremi rimedi, no?, mi dico, mettendo in moto l'immaginazione. E così parto in quarta.
"La verità è che mia cugina è invasata con quel gruppo, e siccome pensa che io, lavorando in un giornale abbia tutti gli agganci del mondo, mi ha chiesto se riesco a portarla in un locale dove ci sono i ragazzi della band, giusto per vederli. Ho pensato di chiedere a te, visto che io le celebrità le vedo solo sul giornale."
Diva mi scruta con il sopracciglio alzato, come se stesse mi stesse scannerizzando per verificare la veridicità della mia affermazione. Ma io non batto ciglio. Sono abituata ai test di mia madre, che sente le balle a naso.
I minuti di silenzio scorrono. Sto pensando forse le abbiamo dato più credito del dovuto e in realtà lei non sappia una mazza della suddetta band, ma Diva, da parte sua, sembra convincersi che sono sincera e finalmente sbottona qualche informazione.
"Diciamo, che potrei avere sentito che il cantante, il bocconcino per intenderci, è un frequentatore abituale del The Hole, a cui purtroppo si accede solo su invito," dice. Mentre parla mi scruta con l'occhio di lince, come a voler decifrare qualsiasi espressione facciale che potrebbe tradirmi.
Alzo le spalle. "Era solo per sapere. Dirò a Tania che non se ne fa niente," dico, sistemando fogli a caso sulla scrivania. Atina trattiene il fiato. Diva è ancora in osservazione.
Dopo qualche minuto di impasse, Atina finalmente si riscuote e chiede a Diva della sua prossima intervista. "Si vocifera di un pezzo con uno dell'entourage di Lady Gaga, è vero?" chiede Atina con fare cospiratorio.
Diva è nuovamente risucchiata nella sua fantastichezza, risponde con frasi sibilline, come a lasciar intendere che la cosa è possibile, ma non può assolutamente rivelare nulla. Con questo tira e molla, tra noi che la incalziamo per maggiori dettagli e lei che fa sempre più la preziosa, arrivano le cinque e mezza.
Quando collega spegne il Pc e fa per andarsene, torno bruscamente alla realtà della mia pagina mezza bianca.
"Cazzo", esclamo sottovoce. Dovrò stare qui un'altra volta oltre l'orario di lavoro.
"Diciamo che è possibile che io riesca a ottenere un paio di biglietti per quel club," butta lì, Diva mentre si appresta a uscire con Atina.
"Quale club?" chiedo io, distratta dall'urgenza di produrre un pezzo decente entro mezz'ora al massimo.
Diva, alza di nuovo il sopracciglio. "Tua cugina, gli Stakes?" mi ricorda, con tono interrogativo.
Ci metto un attimo a registrare l'aggancio.
"Ah si," esclamo, picchiandomi la mano sulla fronte. "Scusa, me n'ero già dimenticata. Se riesci, te ne sono grata, ma non stare a diventare matta. A questo punto credo che anche una foto autografata andrebbe bene," le dico sempre distratta.
Atina e Diva se ne vanno giulive e io resto incastrata qui, col buio che avanza fuori, a fare quello che avrei dovuto fare nelle otto ore precedenti.
Alle cinque e tre quarti finalmente ripesco dall'archivio i pezzi che mi servono e metto assieme due idee accettabili sul ritorno del cammello e del perché tutte le donne hanno bisogno di un capo di abbigliamento simile nel loro guardaroba. Spero di essere riuscita a tenere per me quanto poco sia convinta di tale affermazione, anche se ho ancora qualche ragionevole dubbio.
Alle sei e trentacinque, appena spedito l'articolo, con tutte le indicazioni per la stampa, spengo il
PC e scappo dall'ufficio alla velocità della luce.
Jaime del Stakes non sei per niente una brutta idea. Potresti essere il regalo perfetto per i miei prossimi trentaquattro anni. Esattamente tra una settimana. Sorrido ai miei pensieri, mentre salgo sull'autobus che mi porta a casa. L'unico inghippo, è che mia cugina Tania – che ha ventun anni – stravede davvero per quel gruppo. O almeno così mi ha raccontato mia madre qualche anno fa.
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