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1. Tutto inizia da un proposito

Arriva un momento nella vita in cui capisci che se continui a fare quello che hai sempre fatto, ti restano solo due opzioni. Implodere o esplodere.

È mattina. Di uno di quei martedì in cui non riesci a far altro che contare quanti giorni mancano al weekend. Guardo l'orologio per la dodicesima volta in un minuto. Sbuffo. Fisso la tastiera del computer, quasi sperando che si illuminimo le lettere da digitare per scrivere il maledetto articolo. Alzo gli occhi. Guardo di nuovo l'orologio. Sbuffo. Atina, dall'altra parte della scrivania, non sposta nemmeno lo sguardo. È abituata ai miei sospiri. Devo consegnare un articolo entro mezzogiorno e da due ore sto fissando una pagina bianca su un monitor azzurognolo. Tre giorni e mezzo al week end. Minuto più, minuto meno.

In realtà, non guardo la pagina. Sto fissando il contorno della mia testa al computer. I capelli neri, cortissimi, acconciati, come sempre, dal cuscino. Il profilo famigliare con quel naso un po' grosso e gli occhi azzurri, indistinguibili nella penombra dello schermo.

Il titolo Cammello, il nuovo trend dell'autunno!  fa capolino da un foglio sotto la tastiera. Faccio un respiro profondo e lo riporto sul documento al computer. Le lettere immobili sembrano prendermi in giro, mentre io resto in attesa di un'ispirazione dal cielo. Io, che vivo in jeans e maglietta trecentosessantacinque giorni all'anno, devo parlare di moda.

Come ho fatto a finire qua dentro?, mi chiedo per la milionesima volta. Lo faccio sempre quando mi scontro con la pagina bianca senza riuscire a scrivere una sola riga per più di due ore. E succede spesso. Sospiro, ancora. Mi metto le mani nei capelli.

Fashion World è una piccola rivista mensile – facciamo circa cinquemila copie all'anno – e come dice il titolo, si occupa di moda, argomento per cui non sono molto portata. Quando sono arrivata qui, l'unica cosa che mi importava era ricevere una busta paga regolare. Certo, pensavo di iniziare come giornalista di attualità poi mi sono ritrovata a gestire la rubrica delle virgolette-Nuove tendenze-virgolette, ma ho pensato: che ci vorrà mai per scrivere di moda? Basta inventarsi due cazzate!

Sbagliato!

Esistono eserciti di persone che vivono solo per determinare il colore che sarà nelle vetrine nell'anno a venire. E per anno intendo dire stagione. Primavera/estate. Autunno/inverno. Si ragiona in semestri, anche se li chiamano anni. Forse per darsi importanza, o per i livelli di stress che si raggiungono nelle alte sfere. Atina mi ha detto che assistenti in riviste di moda ben più blasonate della nostra - quelle in cui si fanno girare i miliardi, per intenderci - hanno tentato il suicidio per un commento sbagliato sulla tonalità del momento. In quelle condizioni, è comprensibile che il tempo assuma un valore relativo.

In questi due anni la mia motivazione cardine (ricevere una busta paga regolare), non è cambiata,  per cui stringo i denti e ingoio il rospo, senza fare troppe storie.

Come me la sono cavata nel frattempo?

Semplice. Mia madre ha un negozio di moda e vive per queste baggianate. Capire in anticipo quale sarà il prossimo colore in e perché un pantolone a zampa può essere sinonimo di suicidio mediatico se indossato nel decennio sbagliato, per lei è pura vocazione.

Io scrivo bene e basta. Non è la mia maggiore ambizione, ma mi riesce e soddisfa il mio bisogno di stipendio. Certo, è arduo scrivere di qualcosa che non ti appassiona per niente, ma saltare il pasto è peggio.

"Come sta andando, Viola?" chiede Atina.

Quando sono arrivata in redazione, Atina è stata l'unica a salutarmi. Era il mio primo giorno, e mentre gli altri erano immersi nel loro lavoro come se ne andasse della vita, lei mi ha salutato. Che sono le basi della buona educazione, mica fisica quantistica. Comunque, è stata subito simpatia.

Ho scoperto poi che non era una cosa personale – il fatto che non mi salutassero, intendo. Erano tutti totalmente immersi nei fatti propri, tra social, cose nerd e affini da non riconoscere un'estranea. Uno dei grafici si è accorto di me dopo tre mesi che lavoravo nell'ufficio a fianco al suo. Mi ha chiesto se come primo giorno di lavoro mi stavo trovando bene. Non ho avuto il coraggio di spiegargli la situazione, aveva un'aria molto compiaciuta, come se si stesse dando pacche sulle spalle da solo per l'arguzia dell'osservazione.
"Il titolo è fantastico," rispondo con tono funebre. "Perché va di moda il cammello secondo te?"

Giocherello con la matita, dopo aver digitato tre parole diverse nella stringa di ricerca in Google e aver sbirciato l'ora un altro paio di volte.

"Perché le case di moda hanno ritrovato resti degli anni novanta e non sapevano come sbarazzarsene?", ipotizza Atina, spostandosi la frangia bionda dagli occhi, e continuando a picchiettare sulla tastiera come se niente fosse.
"Questa è una spiegazione plausibile," concedo. Sospetto che stia chattando con qualche sua conquista. "Potrei inserirlo nell'articolo," dico, fingendomi ispirata.

"Certo, e poi avviare un inchiesta sul consumismo e l'impatto della moda sulle economie mondiali negli ultimi cinquant'anni. Il Grinch apprezzerebbe davvero."

"Sarebbe la sua morte, probabilmente. A proposito come si chiama?" chiedo, annoiata.

"Carlo," risponde, senza nemmeno accorgersi che l'ho sgamata in pieno. A quanto pare, Carlo è simpatico, perchè Atina continua a ridere come una scema davanti al monitor.

Il Grinch invece, è il nostro capo e non è simpatico per niente. Capello brizzolato, da cui il nome, occhietto azzurro ghiaccio, orgogliosamente gay e con un umorismo sarcastico, che asfalta persino il mio, anche nel primo giorno di ciclo. Un tiranno dalle idee chiare e inamovibili che non viene mai in ufficio il lunedì mattina. Per principio, si dice. Secondo me si sfonda così tanto nel week-end, da aver bisogno del lunedì mattina per raccogliere i cocci. Quell'uomo non ha mai un pelo fuori posto e a volte il confronto è deprimente.
"Chiama tua madre," mi dice Atina, staccando finalmente gli occhi dal monitor e guardandomi come si guarda un gattino bagnato.

"Credo che lo farò," annuncio sconfitta, dopo aver fissato lo schermo per altri dieci minuti. Ridursi a chiamare la mamma per scrivere un articolo è patetico, lo so, ma catalogandola come fonte, riesco ad annacquare i miei sensi di inadeguatezza.

Proprio mentre sto componendo il numero del negozio, per sentire che ne pensa la mia genitrice del ritorno del cammello e mungere qualche idea per l'articolo, il Grinch in persona fa il suo ingresso nel nostro microscopico spazio vitale. Gli piace tenerci sotto controllo. Comparire all'improvviso, guardarci alle spalle mentre stiamo lavorando, offrire consigli non richiesti e criticare quanto svolto a prescindere.
Atina sorride soave. Con una mossa da ninja chiude la pagina di chat e trasla su un documento di Word lungo tre pagine. Lo vedo riflesso nella finestra alle sue spalle, ma il Grinch è ancora troppo lontano per rendersene conto. Che il documento sia lì  immutato dalla settimana scorsa, non ha bisogno di saperlo.

"La consegna è stasera, ragazze, spero siate a buon punto. Domani siamo in stampa," dice svolazzando a destra e sinistra. Detesto ammetterlo, ma la sua voce mi piace da morire. È quello che dice che solitamente mi sta sul cazzo.

Atina sorride come la prima della classe alla maestra. Io annuisco, con un'espressione - spero - convinta, mentre maschero la pagina bianca con un rapido aggancio a Pinterest. Non so se la cosa sia ortodossa, ma se il Grinch avesse da obiettare saprei già come controbattere.
Come dice sempre mia madre: "La moda ormai la fa anche la gente comune."

Non sarò un esperta di trend, ma siamo nell'era di internet, delle fashion blogger, delle influencer e compagnia bella. La cosa ha senso. Quello che non ha senso, è che la gente senta il bisogno di imbottirsi l'armadio di capi diversi ogni stagione, solo perché qualcuno gli dice di farlo. Ma chi sono io per dire agli altri cosa fare? il fatto è che io e la moda non ci prendiamo. Punto. Non faccio la superiore, anzi. Ognuno è libero di incastrarsi come gli pare. Però devo scriverci dei pezzi e la cosa inizia a pesare.

Faccio passare alcune foto di passerelle e proposte di You Tubers con abbinamenti carini, ma che non reggerebbero la prova della temperatura autunno/inverno nell'emisfero nord, e fingo di essere immersa in un'analisi dettagliata dei particolari. In realtà sto aspettando solo che il Grinch esca, per tornare al mio stato catatonico.

Dopo pochi minuti in cui ha continuato a gironzolare senza portare un valido contributo al lavoro di nessuno, se ne va, soddisfatto per aver esercitato la sua aura di potere su di noi.

"Servono le piume per il servizio di costume," blatera, come se avesse davvero bisogno di una scusa per eclissarsi. Sorvola le postazioni come un falco in ricognizione prima di uscire dalla porta, naturalmente senza salutare. Sempre carino.
Chiudo Pinterest e torno a fissare la mia pagina bianca. Per quante idee interessanti ci siano su quella piattaforma, a volte ho l'impressione di essere ferma a guardare le meravigliose vite degli altri dietro a un doppio vetro antiproiettile.

Che cacchio ci faccio qui? A parte cercare di guadagnare i soldi dell'affitto, intendo. Davvero riuscire a pagare le bollette è la mia unica aspirazione nella vita? Ci deve essere qualcosa di più. Qualcosa che non sia solo un tuffo a intermittenza nelle cose che davvero mi appassionano. Come il disegno, ad esempio. Relegato ai momenti liberi, come un vezzo, non qualcosa che mi fa sentire davvero viva.

"Hai finito di sistemare il tuo appartamento?" mi chiede Atina, quando è chiaro che il campo è libero. Sorrido. Ho finalmente comprato casa. Il solo pensiero in testa suona surreale.

"Ho finalmente realizzato di essere in un posto mio, ed è fantastico," confesso. "Anche se montare la libreria in soggiorno è stato un incubo."

Atina condivide il mio sorriso, poi si rabbuia. "Avresti dovuto chiamarmi, ti ho offerto mille volte di aiutarti e mille volte hai rifiutato," mi dice. Il tono di voce è dolce, ma capisco che ci è rimasta male.

Cerco di non apparire troppo a disagio. "Non volevo approfittarmi di te," ribatto, ridendo.

"Tu sei venuta quando avevo bisogno io," mi ricorda, alzando un sopracciglio che mette come sottotitolo, non propinarmi queste stronzate, per favore. Mi guarda dritta negli occhi e io abbasso lo sguardo.

"Mi ha fatto piacere," ammetto. Giocherello con i foglio che ho sulla scrivania, fingendo di cercare qualcosa.

"Anche a me avrebbe fatto piacere, ma non capisco perché non vuoi mai l'aiuto di nessuno," continua Atina, diretta come una lama affilata.

"Va bhe dai, ormai è fatto. Terrò a mente per la prossima volta, ok?" le dico, cercando di uscire dall'impasse, ben sapendo che quanto sto promettendo non succederà.

"Ok," mi dice lei subito convinta, e sorride contenta.

Mi sento un pò una stronza, ma è così che mi piace fare le cose. Da sola, senza contributi e commenti esterni. Per poi mostrare il lavoro finito, fatto da me, tutto da me, solo da me. Onore e gloria o stroncatura, tutti per me. Ho impostato la mia vita, sull'essere indipendente. Credo che la mia massima aspirazione sia diventare un eremita. Solo che a volte mi sembra di non vivere davvero.

La giornata scorre via tranquilla. Alla fine riesco a evitare di chiamare mia madre per l'articolo. Ho scovato un paio di pezzi sul web che spiegano la nuova tendenza, sempre tra virgolette, e con un paio di ricerche in archivio sull'ultima volta che il cammello è andato di moda, dovrei riuscire a confezionare un pezzo passabile.

"Che fai per il tuo compleanno?" mi chiede Atina, quando smette di fingere di lavorare a metà pomeriggio. Il Grinch, tornato dalla sua commissione dopo tre ore per una breve ricognizione sulle postazioni, è già uscito – all'ora in cui le altre persone di solito rientrano dalla pausa pranzo – e noi siamo quasi sole in un ufficio che conta sette anime compreso il Grinch stesso, ammesso che quell'uomo abbia un anima. Io seguo -con fatica - i trend della moda, Atina tratta dei gossip, basandosi sul lavoro di due fotografi freelance, che ci forniscono le storie più succose disponibili - ovvero i gossip di entità minori scartati dalle testate giornalistiche principali, perché non sufficientemente interessanti da riuscire a ritagliarsi uno spazio nelle loro pagine. Poi c'è Guenda che segue la parte contabile e tre grafici che si occupano dell'impaginazione.

"Sesso", rispondo serafica, mentre con la mano saluto Guenda, che ha la fortuna di finire alle tre.

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