C a p i t o l o s e s t o
Alyssa
Strinse il bordo del tavolo poco prima di crollare sul pavimento. Il volto era paonazzo per lo sforzo di trattenere le lacrime e sul collo le vene sembravano pulsare impazzite, come dotate di vita propria. Basta! Basta, dannazione! Soffocò un gemito al ricordo delle parole dell'uomo, e delle azioni che aveva compiuto. Nel punto in cui lui l'aveva sfiorata, la pelle si era ritratta fin dentro le ossa, lasciando la carne a sfrigolare di un fumo leggero sopra l'atmosfera. Un conato di vomito l'assalì, e fece appena in tempo a correre in bagno. Le lacrime si unirono alla consapevolezza che quello era lo stesso individuo che aveva visto nel giardino di casa sua solo la notte precedente e rischiarono ancora di farla crollare. Santo cielo, pensò,non può essere vero. Si sciacquò la bocca e rimase a fissare il suo riflesso nello specchio. Due cerchi scuri le ricadevano sotto gli occhi, e il pallore aveva invaso il suo volto. Questo le faceva male. Era stata una specie di visione. Era entrata in salotto per vedere un film e poco prima di raggiungere il divano, i soggetti nella stanza erano svaniti.
Così, in un battito di ciglia.
Così, lontano dalla sua volontà. E poi c'era stata quella musica magnifica e decine e decine di dame e cavalieri su quella pista il cui pavimento sembrava fatto di ghiaccio, tanto era trasparente. Un cielo ovale incorniciava il tutto, e all'esterno dell'enorme Cerchio grigio c'era un bosco. L'unica cosa che Alyssa ricordava era che i tronchi stavano lì, attaccati gli uni agli altri come sardine. E poi, lo sguardo le era caduto sulla sagoma accasciata lungo uno di essi. Quel corpo aveva il volto nascosto da un cappuccio ch ricadeva all'indietro in un lungo mantello nero.
Alyssa aveva socchiuso le palpebre per distinguere meglio e capire perché proprio lui se ne stava in disparte, senza godersi la festa. L'aveva notata dopo, lei. Una figura si era staccata dalla massa al centro della pista, camminato lungo il sentiero che portava al bosco e aveva raggiunto l'uomo accanto al tronco. Aveva sentito ogni parola di ciò che i due si erano detti, ogni minimo respiro che entrambi avevano prodotto. Ogni battito di ciglia. Ogni movimento. E quando l'uomo aveva attratto a sé la piccola, e si era tolto il cappuccio, lei aveva capito. L'aveva riconosciuto all'istante. Era lo stesso. Quell'uomo che le aveva sorriso nel giardino. L'uomo con la cintura d'argento.
Un brivido le era corso lungo la schiena non appena l'aveva notato. E ora aveva potuto sentire la paura della ragazzina, sotto la pelle candida che un secondo dopo era stata squarciata da quelle orribili dita. Aveva cercato di trattenere un urlo. Ma non ce l'aveva fatta. E allora aveva scatenato tutta l'angoscia che covava dentro. Quando la piccola era stata risucchiata dalla terra e il cavaliere si era trasformato in un Diavolo con un enorme paio di ali nere, le stelle nel cielo, così come la luna, era svanite. E la terra si era richiusa. Poi il Diavolo aveva spiccato il volo. E Alyssa aveva udito chiaramente la parola mezzosangue.
Non era possibile. Non aveva senso. Il cuore di Ayssa martellava contro lo sterno e qualcosa le attanagliava le viscere con la forza di un uragano. Avrebbe dovuto parlarne con Luthien, lo sapeva bene, ma per un motivo sconosciuto non ce l'aveva fatta. Raccontare ciò che aveva appena visto unito a ciò che era successo la notte precedente l'avrebbe di sicuro stordita. Luthien non era una persona capace di reggere certe situazioni. Alyssa lo sapeva bene. Senza contare il fatto che probabilmente non le avrebbe creduto. Si rese conto che lo specchio era leggermente impolverato e ne pulì un cerchietto con la manica della maglietta. Quell'uomo era nel giardino di casa mia, l'altra sera, era lì e mi ha sorriso. Poi l'ho visto nel mio incubo con quel dannato fiore rosso; e ora mi sono ritrovata da sola in un mondo che non ho mai visto prima, dove c'erano cavalieri e dame e una bambina e un Diavolo che ha spiccato il volo...
-Alyssa!-
Era la voce di Luthien. Alyssa distolse in fretta lo sguardo dallo specchio e si asciugò le lacrime un attimo prima che la sorella spalancasse la porta del bagno. La sua espressione, quando la vide, non fu delle migliori.
-Che cosa diavolo ti è successo?- esclamò notando le sue profonde occhiaie e i segni rossi lasciati dal tentativo della maglietta di ripulire le lacrime.
-Ehm... va...va tutto bene- mentì Alyssa, piegando gli angoli della bocca in un sorriso.
Lei la fissò scettica, aggrottando la fronte. -No, Aly, è evidente che non va tutto bene- replicò. -Che è successo? Voglio dire, che è successo, oltre al fatto che oggi sei così di cattivo umore?- Alyssa abbassò lo sguardo, mordendosi le labbra. Aveva ricominciato a chiamarla "Aly". Non poteva dirle la verità, non dopo averla trattata in modo tanto brusco quella mattina.
-Senti, Luth, va tutto bene, davvero. Ho solo bisogno di un po' di riposo.- rispose incamminandosi verso di lei e abbracciandola.
Luthien rimase senza fiato. Perché non si decideva a dirle la verità? Forse non si fidava di lei. E ne aveva tutte le ragioni del mondo, in quel caso, ma...
-Non capisco perché non vuoi confidarti- obiettò, dispiaciuta. Alyssa si staccò e la guardò.
-Non è che non voglio confidarmi, Luth. E' che davvero, non c'è assolutamente niente.-
-Alyssa, credi davvero che io sia stupida?- Luthien inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia sul petto.
Alyssa trattene le repliche. Non sarebbe servito a niente farla arrabbiare di più. Ma il sentimento che provava, quello stranissimo impulso di urlare ogni volta che la sorella apriva bocca, la faceva soffrire. Ed era così fin da quando era nata. -Lo so che non sei stupida. Ma ti ho detto che va tutto bene.- -Alyssa, maledizione, non va tutto bene! Dimmi che cosa ti succede!- Senza volerlo, Luthien alzò la voce. E questo non fece altro che contribuire all'incrementarsi dell'istinto inumano di Alyssa. Grosse vene si gonfiarono sul suo collo, e il volto divenne paonazzo. Sentiva il sangue galoppare a una velocità impensabile. -Smettila di starmi sempre col fiato sul collo! Lasciami in pace! Io non ho bisogno di te, non ho bisogno di nessuno!- gridò, oltrepassandola e infilandosi in cucina. Appoggiò le mani sui bordi del tavolo e chiuse gli occhi. Strinse forte il legno, come se fare forza su qualcosa avesse potuto attenuare quell'abominevole sentimento.
Non dovevi parlarle così. Lei ti vuole bene, e non merita che la tratti in quel modo orribile, diceva una voce nella sua testa. Ma a quella se ne aggiungeva un'altra, più potente e violenta.
Hai fatto proprio bene a parlarle così. Deve smetterla di impicciarsi degli affari che non la riguardano. Sei praticamente un'adulta, Aly!
I nervi stavano per esploderle. Una persona sana di mente non avrebbe mai sopportato tutte quelle pressioni. Forse, rifletté mentre la testa gridava le sue proteste volontarie contro le sue decisioni, lei non era propriamente una persona normale. Non si sentiva tale più o meno dal giorno in cui era nata. Dalla prima volta in cui si era guardata allo specchio e aveva notato quegli stupidi occhi.
Uno azzurro, l'altro dorato. L'avevano disgustata fin da subito, e poi, quando i compagni avevano cominciato a prenderla in giro definendola un' aliena, li aveva odiati ancora di più. E a sei anni aveva scoperto di essere davvero poco incline a sopportare le sfuriate degli adulti. Aveva scoperto che la cosa che meglio le riusciva in assoluto in quelle occasioni, era cedere alla rabbia. E non era una rabbia normale: sembrava perlopiù una specie di rancore che nasceva dal profondo e decideva di esplodere quando più gli pareva. E ora c'era stata la visione di quell'uomo maledetto che la stava facendo impazzire. Alyssa non ce la faceva più.
Perché? Perché non era normale come tutti gli altri? Perché sua sorella non era così?Perché si sentiva sempre, irrimediabilmente diversa? Forse erano proprio gli altri che la facevano sentire così. Avrebbe voluto scappare lontano, lontano da tutte quelle ingiustizie e pregiudizi. Cavolo, Alyssa, sembri proprio un mostro... che c'è, ti hanno fatto un lavaggio a 100 gradi e sei uscita fuori con un occhio di un colore e l'altro di un altro? O è perché tua madre e tuo padre erano alieni? E perché hai la pelle così bianca, sembri appena munta! Hai capito l'ironia, vero? Perché se non l'hai capita...
Alyssa si tappò le orecchie per zittire tutti quei ricordi terribili che erano stati la croce della sua infanzia. Tutto nella sua vita le era sempre sembrato un incubo. E poi era arrivata la morte dei suoi genitori. Esattamente tre mesi prima. Il fatto che l'aveva spiazzata, aveva prosciugato la sua anima e l'aveva lasciata senza più voglia di continuare a vivere.
Il fatto che l'aveva marchiata a fuoco. Perdonatemi.
Avrebbe voluto dire ai suoi genitori in quel momento. Ma non sarebbe servito nemmeno se loro fossero stati ancora in vita. Io non sono pazza, non sono pazza. Sono una ragazza normalissima a cui stanno capitando cose brutte. Avvertì il tocco di qualcuno alla spalla e riaprì gli occhi di colpo.
-Ehi- la mano di Luthien giunse fino alla sua guancia e gliela accarezzò, asciugandole piano le lacrime che la deturpavano.
Alyssa singhiozzò, dimostrando in pieno tutta la sua debolezza. Si voltò verso Luthien e si rifugiò fra le sue braccia, dando libero sfogo alle lacrime.
-Mi dispiace...- mormorò fra i gemiti strozzati, -mi dispiace di averti parlato così...-
-Va tutto bene- la tranquillizzò lei, cullandola dolcemente e accarezzandole la schiena. Luthien baciò il suo capo corvino come avrebbe fatto una madre, quella madre che avevano perso troppo presto, e restò insieme a lei per tutto il tempo che le servì per attutire quei singhiozzi.
-Ti v'a di raccontarmi cosa succede?- le chiese dolcemente, cercando il suo sguardo, per lei stupendo, sotto le ciglia appannate dalle lacrime. Alyssa restò in silenzio parecchi secondi prima di rispondere, con un leggero tremulo nella voce. Ormai era inevitabile. Luthien doveva sapere.
-D'accordo-mormorò, chinando il capo in segno di resa.
Luthien sorrise delicatamente, un sorriso che però lei non vide, la prese per mano e la guidò verso la poltrona.
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