6. Assurdo e inconcepibile
Aveva deciso che l'era del cibo da asporto sarebbe finita. Morante – non solo non lo aveva licenziato – gli aveva, persino, lasciato una carta di credito con la quale poter provvedere ai bisogni dei suoi figli, e Gab aveva deciso che in cima alla lista dei bisogni di Drake e Lucy c'era la necessità di mangiare cibi sani.
Era appena uscito dal supermercato, carico di buste della spesa, quando il cellulare prese a squillare. Imprecò, si districò a fatica, tentando di liberare qualche dita, almeno, ma con scarso successo. Sbuffò irritato, il cellulare smise di squillare, imprecò ancora. Riuscì a individuare un basso muretto, che fungeva da base per un lampione traballante, in fase di ripristino, e vi poggiò le buste. Recuperò il cellulare e lesse il nome della persona che lo aveva contattato invano.
La pelle del viso si fece immediatamente tesa, sgranò un po' gli occhi, stupito, e il cuore perse un battito. Non ebbe tempo di tornare a ragionare in maniera lucida, ché il cellulare riprese a squillare e quel nome ricomparve sullo schermo. Trasse un respiro profondo, socchiuse appena gli occhi, tentando di ignorare il sole cocente che gli bruciava la pelle. Per fortuna, si era deciso a non acquistare surgelati. «Pronto.»
«Se non ti cerco io, tu non ti fai proprio sentire, eh?»
Assolutamente no. Fissò le buste della spesa, mentre tentava di fuggire da quel momento, concentrandosi sui suoi acquisti – non servì a molto, riusciva a rammentare di aver acquistato parecchie cose dal reparto ortofrutta, ma non ricordava che cosa, di specifico, aveva comprato. Si guardò attorno: la gente scivolava intorno a lui come un fiume in piena, il caldo crepitava in un alone di fuoco intorno ad ogni cosa. A nulla servivano i deumidificatori sparsi per la strada, c'era troppo caldo, e l'estate losangelina in tutto il suo fervore gli stava arrostendo anche i pensieri. «Sono stato molto impegnato, scusami.» calibrare le parole, con la mente che galoppava in cerca di soluzioni, e l'aria che lo soffocava con l'aroma di inquinamento bollente, rischiava di diventare un'impresa impossibile.
Incastrò il cellulare tra un orecchio e una spalla, recuperò le buste, si avviò verso casa dei Morante.
«Sempre lavoro, eh?»
«Prima o poi diventerò miliardario e smetterò di lavorare.» la battuta stupida, super abusata, facile da rifilare, l'unica che gli fosse venuta in mente. Entrò nel palazzo e lo sbalzo termico gli fece gelare il sudore sulla pelle all'istante.
Rabbrividì, rivolse un cenno in direzione del portiere e si diresse verso gli ascensori, iniziando a patire un principio di artrosi ai muscoli di collo e spalla.
«Non credo proprio. Anche da miliardario continueresti a lavorare come un folle. Sei sempre stato strano.»
Entrare in Casa Morante mentre era impegnato in quella conversazione non lo entusiasmava affatto: i ragazzi erano a scuola, a breve sarebbe dovuto, anzi, andare a recuperarli insieme a Maurice, l'autista, ma, nel frattempo, avrebbe potuto beccare Martha e la cosa gli suscitava una certa ansia. Non voleva che diventasse testimone di quella conversazione. Sapeva già che quando l'interlocutore era lui non era in grado di fingere. Le sue emozioni finivano per trapelare dagli occhi, dalle espressioni, da ogni poro della pelle, lasciando per nulla spazio a interpretazioni fantasiose e distanti dalla realtà.
Erano le conseguenze della paura, dell'ansia, del panico.
La sua vita, di solito, scorreva così piatta da permettergli di plasmarla col minimo sforzo a proprio piacimento – ma non quando si trovava in quello stato d'animo.
Non voleva assolutamente trovarsi bersaglio delle possibili domande di Martha Morante, curiosa come una bambina capricciosa di due anni.
Gli sfuggì un sospiro e i sensi si posero subito all'erta: il suo interlocutore lo aveva sentito? Come lo avrebbe interpretato? «Grazie a Clare sono riuscito a snellire un po' i miei impegni.» non era certo che fosse saggio coinvolgere Clare in quella conversazione, ma non gli venne in mente altro per tentare di spostare la sua attenzione lontano da sé – non aveva altro.
«Ah, sì?»
Il tono che utilizzò gli fece venire i brividi, ma non di freddo – il panico gli serrò la gola. Aveva commesso un errore? «Già. Faccio il baby-sitter.»
«Per chi?»
Si morse le labbra. L'ascensore si aprì sul corridoio dell'ultimo piano, portandolo sempre più vicino alla destinazione, ma continuava a percepire il pericolo soffiargli sulla pelle le sue macabre promesse. «I figli di un avvocato.» si morse la lingua subito dopo, maledicendosi.
Poggiò un paio di buste sul pavimento e recuperò le chiavi.
«Oh, un collega di mio padre, magari lo conosco.»
Non voleva dargli il suo nome, per niente. Non voleva permettergli di indagare sui Morante, non voleva che riuscisse a trovarlo anche lì, in casa loro. Quel lavoro non era proprio ciò che più lo entusiasmava, ma gli aveva fornito una valida scusa per passare più tempo fuori casa propria, anche se detestava uscire di casa. Era per questo motivo che lo aveva contattato? Forse, aveva voluto fargli una qualche sorpresa, era andato al suo appartamento per fargli visita e non lo aveva trovato? Era davanti casa sua, in quel momento?
Il panico si fece soffocante. Non si erano sentiti per quasi tre mesi: non gli era mancato affatto. «Non penso. È un divorzista.»
«Ah, feccia.» ci fu un attimo di silenzio teso, che pesò sui suoi nervi come un macigno. «E come ci sei arrivato a lavorare per lui?»
Si morse un labbro. «Tramite Clare, intendevo questo, prima...»
«Non sarà il coglione per cui lavora lei?» lo interruppe.
Si irrigidì. La porta si aprì, scivolando verso l'interno e il pavimento tremò. Oscar comparve sulla soglia due istanti dopo, e lo travolse con la sua mole, spalmandolo sul pavimento. Il cellulare gli sfuggì di mano, tentò di recuperarlo subito, mentre alcuni degli acquisti che aveva fatto si rovesciarono fuori dalle buste, rotolando per il corridoio del pianerottolo. «Sasha?!» esclamò, recuperando il cellulare.
«Che cazzo è successo?»
Oscar abbaiò più volte, leccandogli, di tanto in tanto, le guance, le braccia, strofinando l'enorme muso sul suo petto, facendogli sfuggire, di nuovo, il cellulare di mano. «Lavoro.»
«Sembra un cazzo di cane!»
«Hai indovinato.» Oscar rischiò di infilargli la lingua in bocca. «Faccio il baby-sitter anche a lui.» e gli premette una mano sul muso, nel vano tentativo di smetterla di condividere i suoi respiri. «Devo andare, scusa.» e chiuse la conversazione.
Il cuore gli esplose tra le tempie, il panico defluì subito dal corpo, lasciandolo stordito e confuso, gelido. Oscar continuava a strusciarsi contro di lui e, d'istinto, Gab gli abbracciò il collo villoso, ricambiando le sue coccole con le lacrime agli occhi. «Grazie.» mormorò in un suo orecchio.
Si alzò da terra e sulla soglia comparve Martha. Tentò di ricomporsi alla velocità della luce, ripescando la solita maschera di indifferenza.
«Hai già fatto conquiste.» disse la donna, le braccia incrociate sul petto, un'espressione di sfida dipinta sul viso. Indicò con un cenno del capo il corridoio, Gab scrollò le spalle e ne approfittò per sfuggire dal suo sguardo indagatore, recuperando la spesa dal pavimento.
•
Il caos dolce che lo impegnò nel preparare la cena, in compagnia di due ragazzini e di una donna poco adulta, riuscì a distrarlo abbastanza dalla telefonata che aveva ricevuto nel primo pomeriggio. Non pensarci, e impiegò tutto se stesso per riuscire nell'intento, anche se la faccia di Sasha continuava a infiltrarsi facile nella sua visione delle cose, distraendolo.
Erano trascorsi mesi dall'ultima volta che si erano incontrati, ma l'aver rivisto il suo volto poche sere prima, in quella fotografia spiaccicata a tradimento sullo schermo del portatile dal suo stesso screensaver, facilitava le allucinazioni.
Rischiò più volte di affettarsi un dito mentre tagliava le cipolle, e riuscì a schizzarsi addosso un po' di acqua bollente nel mettere la pasta a cuocere. Per sua fortuna, nessuno dei presenti sembrò accorgersi di quanto fosse sconvolto e si congratulò con se stesso per essere diventato così bravo a fingere.
«Sai pure cucinare! Grandioso!» trillò Martha entusiasta, battendo le mani tra di loro e sporgendosi sopra la pentola che conteneva la pasta. «Italiano, per giunta! Se è buona tanto quanto quella che mi preparava il mio caro marito, potrei pensare di adottarti!»
Come no. Tutte quelle attenzioni gli davano fastidio, odiava ricevere tante attenzioni. Non era abituato, neppure ad Oscar che continuava a strusciarsi contro di lui alla minima occasione, o che finiva per acciambellarsi tra i suoi piedi, rischiando pure di farlo inciampare, nonostante gli fosse grato per averlo “salvato” da Sasha. Troppo caos, un tipo di caos che lo metteva a disagio e che si sommava a quell'angoscia che continuava ad appesantirgli il petto, rendendo i suoi movimenti sempre più brevi e goffi. Esasperato. Si era già quasi pentito di aver voluto cucinare per cena – quasi: non avrebbe sopportato altro cibo da asporto, non per due giorni di seguito. «Grazie, ma so cucinare proprio perché ho imparato a cavarmela da solo già da diverso tempo.»
Martha gli rivolse uno sguardo diffidente – quegli sguardi stavano cominciando a irritarlo. «Sei impegnato?»
Trasalì stupito per la domanda, comprendendo subito a che cosa si stava riferendo, poi intercettò Drake recuperare un coltello sporco e accostarlo al viso. Prima che il ragazzino riuscisse a leccarne la lama, glielo sfilò di mano, e lo ammonì con un'occhiataccia di rimprovero. Si guardò attorno e scoprì che Lucy li aveva già abbandonati, sedeva sul divano e stava trafficando col cellulare. «Signorina!» la richiamò, invitandola a tornare da loro con il cenno di un dito. La ragazza fece roteare gli occhi e lo raggiunse con decisamente poco entusiasmo. «Controlla la cottura della pasta.»
Lucy fissò la pentola per qualche istante, poi riportò gli occhi scuri su di lui. «Cuoce.»
«Fantastico. Assicurati che continui a cuocere e stai attenta che in pentola non ci finisca pure il tuo cellulare.»
La ragazza grugnì, incrociò le braccia sul petto, ma rimase ferma a sorvegliare la pentola.
«Allora?» lo incalzò Martha, anche se lui aveva davvero sperato che si fosse distratta abbastanza da dimenticare di non aver ricevuto risposta alla sua ultima domanda.
«Sto cucinando.» disse, anche se si rese subito conto di essere stato infantile tanto quanto Lucy nel risponderle. Recuperò un mestolo e lo passò a Drake. «Mescola qui, di tanto in tanto.» il ragazzino annuì con un sorriso e Gab ne approfittò per recuperare tutte le stoviglie sporche, iniziando a caricare la lavastoviglie.
«Come sei divertente, tesoro! Volevo sapere se hai qualcuno per cui cucinare!» e accostò il calice di vino alle labbra, sorridendo maliziosa. L'avrebbe volentieri spostata di peso dal punto che occupava, liberando il passaggio tra i mobili della cucina e i fuochi, ma, soprattutto, per porre fine al supplizio di averla lì di vedetta ad ogni suo movimento. Scrollò le spalle e non le rispose. «Sei impegnato, quindi? Meglio! Da quando il mio caro marito è morto, preferisco uomini impegnati, così da non dovermi più impegnare!»
Grosso errore. Non darle risposte esaustive si stava rivelando un'arma a doppio taglio: riusciva a insinuarsi negli spiragli e a metterlo lo stesso in imbarazzo. Rivolse un breve sguardo verso i ragazzi: Lucy aveva ripreso a trafficare con il cellulare, dando le spalle alla pentola. La afferrò per un gomito.
«Hey!» protestò la ragazza, e la allontanò dal fuoco, lasciandola a ridosso di un pilastro, al sicuro.
Drake stava leccando il mestolo intriso di ragù, ma i suoi gesti gli parvero subito meno frizzanti rispetto a poco prima. Aggrottò la fronte, riportò lo sguardo su Martha. «Non mi interessano le donne.» tagliò corto. Soprattutto, quelle che potrebbero venirmi nonne.
La donna prese un altro sorso di vino e gli rifilò l'ennesimo sorriso malizioso. «Oh! Blaze è single! Lo sapevi? È sempre allegro e con la testa tra le nuvole, ma è solo da così tanto tempo!» esclamò, aggiungendo un sacco di vocali di troppo alla parola “così”.
Assurdo e inconcepibile. Come osava fare allusioni di quel tipo davanti ai suoi nipoti? Lucy sembrava ancora prigioniera del proprio mondo, ma Drake aveva irrigidito le spalle e smesso di sorvegliare il ragù. Gab spense i fornelli, cominciò a impiattare la cena, tenendo sott'occhio il ragazzino che neanche più si spostava per lasciargli libertà di movimento. Troppo rigido.
«E poi non lo trovi tanto sexy? Certo, non è più un ragazzino, ma è dagli uomini come lui che devi farti sedurre! A letto hanno più esperienza e...»
Drake trasalì e fuggì dalla cucina, in direzione della propria stanza da letto.
Lucy scivolò con le spalle contro il pilastro, fino a nascondersi dietro di esso, poi la vide dirigersi verso il divano, sul quale si lasciò cadere a pancia in giù.
L'insensibilità di Martha rischiava di farlo incazzare seriamente. Smise di ascoltarla, «Se è solo da così tanto significa che ci vuole stare, no?» la interruppe, battendo le mani sul ripiano da lavoro. Colpì per sbaglio una forchetta, che cadde sul pavimento con un agghiacciante suono metallico. La recuperò, la lanciò dentro il lavandino, e seguì Drake nella sua stanza.
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