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23. Il precipizio delle incertezze e nuova speranza

«Secondo te, il fatto che io continui a essere attratto dagli uomini è un'attenuante per Sasha?»

La domanda gli giunse così imprevista che Blaze rimase senza parole. Boccheggiò in cerca di fiato, aggrottò la fronte. «Gabriel...» e agitò una mano per aria, forse nella speranza di riuscire ad afferrare le parole giuste da dire, da pescare da qualche parte fuori dalla mente, perché dentro la mente si era aperto un vuoto immenso.

«Sono serio.»

«Lo so.» balbettò.

Gabriel si volse verso di lui, si strinse di più nella braccia. Aveva uno sguardo timido, incerto, stanco. «Allora, per favore, rispondimi.»

Si avvicinò a lui di un passo, poi ebbe un'esitazione: forse gli si era fatto troppo vicino? Però l'altro non si mosse. Tremava, e Blaze compì un altro passo avanti. «No, non ha nessuna attenuante.» il giovane distolse gli occhi da lui. «È successo altre volte? Dopo quella notte...» deglutì a vuoto.

Non credeva avesse molta importanza quante volte fosse successo, bastava una.

Bastava anche solo l'idea di voler fare qualcosa di tanto orribile a qualcuno.

Era stata una domanda stupida? Ma magari c'erano altre cose che Gabriel non gli aveva detto, altre cose che ricordava, per cui c'erano stati testimoni, oppure, di cui ne erano rimaste delle tracce.

Ma Gabriel scosse la testa. «Quello, no. Non è più successo. Però...» sospirò piano e si premette entrambe le mani sulla fronte. «Te l'ho detto: quando lo contraddico diventa violento. Mi ha tagliato le ruote della macchina, mi ha picchiato. Ha detto cose spiacevoli sul mio conto, anche se non erano vere, a persone che erano entrate nella mia vita e poi non sono rimaste.» la sua voce si tinse di flebili sfumature di rabbia. «E si faceva trovare spesso in casa mia quando non rispondevo alle sue mail, alle sue decine di telefonate e messaggi. Cambiavo la serratura, ma non serviva a niente e ho smesso di cambiarla. Ho smesso di frequentare le persone. Ho smesso di uscire di casa perché spesso mi seguiva. Ho smesso di fare le vacanze perché voleva sempre, a tutti costi, farle insieme.»

«Per questo le lezioni online?»

Annuì. «Se ti convinci che una cosa è anche l'unica soluzione con la quale riesci a sopravvivere, impari a conviverci e te la fai andare bene.»

«Gabriel...»

«Ma io mi affeziono lo stesso.» lo interruppe. «A tutti. E il fatto che mi affezioni a chiunque mi mostri un minimo di gentilezza... credi che sia un'attenuante per i miei genitori?»

Scosse la testa e allungò le mani. Gabriel si girò di scatto a guardare e seguire i suoi movimenti, finché le sue dita gli sfiorarono la pelle degli avambracci. Rabbrividì, ma, anche quella volta, non si allontanò da lui e Blaze tirò un sospiro di sollievo. «No.»

Le dita avevano preso a vagare sulle sue braccia, e il suo sguardo rimase ancorato a quei piccoli movimenti. «Allora... Perché mi sento così... sporco?»

Le mani si chiusero sui suoi gomiti e Blaze fece un ultimo passo, fermandosi a pochi centimetri di distanza da lui. «Non c'è nulla in te che non va bene.»

Gabriel sorrise amaro, procurandogli, ancora, quella stretta dolorosa al petto che pareva essere l'avvisaglia di un infarto. Se Martha lo avesse saputo, probabilmente, avrebbe smesso di fare finta di non immischiarsi tra di loro, e lo avrebbe rinchiuso dentro una gabbia dorata? «Mi sento... rotto. E ho perso le istruzioni per ricompormi.»

«Ti aiuterò io...»

Sbuffò irritato. «E questo come dovrebbe aiutarmi?» lo interruppe. «Diventeresti parte di questa cosa e se non riuscissi più a vederti come...» la voce si spezzò e tornò a distogliere gli occhi da lui.

«Come cosa?»

Si strinse nelle spalle. «Non lo so,» si passò una mano tra i capelli, poggiò la fronte sul suo petto e Blaze riprovò quella stretta dolorosa al cuore. Le braccia tremarono, ma lo strinse a sé – non si era mai sentito tanto titubante e in bilico in vita sua. «Ho la testa piena di domande e possibilità. Nessuna di queste mi piace.»

«Che cosa non ti piace?»

«Sono davvero tante...»

«Inizia.» disse e prese a cullarlo nel proprio abbraccio. Scese piano con una mano, in punta di dita, da una spalla, lungo tutto il braccio, fino alla mano. «Vediamo dove ci porteranno.»

«Mi libererò mai di lui?» la sua voce si fece tesa. «Riuscirò a trovare il mio posto? A sentirmi meno... invisibile? Mi sento come se stessi vivendo la vita di qualcun altro, come se venissi punito per questo. Come se non ci fosse posto per me. E mi basta così poco... Mi sento così stupido. Perché continuo a fidarmi degli altri, nonostante tutto. Ed è un po' come se mi accontentassi, ma anche come se mi imponessi nelle vite degli altri.» sollevò lo sguardo su di lui, i suoi occhi brillarono, assorbirono tutti i riflessi morbidi della luna. «Mi basta il più piccolo spiraglio e mi insinuo nelle vite altrui, anche se loro non hanno spazio per me. Ma questo non fa altro che farmi sentire in difetto, in colpa.»

Intrecciò le dita alla sua mano, la sollevò fino a portarsela all'altezza del cuore, continuando a muoversi piano. «Mi sembra che tu sia esattamente dove devi essere.» sussurrò.

Gabriel sgranò gli occhi. «Dove?» chiese e si guardò attorno, con espressione smarrita e confusa.

Blaze riportò il suo sguardo su di sé, accarezzandogli il volto con un dito. «Qui.» soffiò sulle sue labbra, percependo, di nuovo, immensa, la sensazione di stare annegando in lui. «Qualsiasi cosa accadrà da adesso in poi, non sei in più, non stai vivendo la vita che hai... rubato a qualcun altro.» gli sfiorò la punta del naso con la propria. «Perché io aspettavo te per tornare a respirare.» comprese che cos'era quello strano dolore al petto, che continuava a tormentarlo quando abbatteva gli scudi con lui: il suo cuore stava riprendendo a battere.

Non si trattava di un dolore: aveva trascorso gli ultimi anni senza più sentirlo vivere, adesso che aveva ripreso a battere, ad emozionarsi, a respirare, percepiva il proprio cuore alla stregua di un ingranaggio arrugginito che tentava, con ostinazione, di riprendere a funzionare. E Gabriel era la fonte di quella ostinazione. Quando lo era diventato e perché? Il suo istinto gli suggeriva che rispondere a queste domande non era affatto necessario, non avrebbero cambiato ciò che provava.

Si sentiva capace di affrontare ogni avversità, di tornare a lottare. Il velo era evaporato del tutto ed era pronto per riappropriarsi di se stesso, di chi era stato prima della morte di Paul, ma per Gabriel.

«Non voglio trascinarti dentro tutto questo.»

«Ci sono già dentro.»

Gabriel si morse un labbro e abbassò di nuovo lo sguardo. «Mi dispiace.»

«Non devi scusarti di niente.» disse e gli baciò la sommità del capo, sorridendo tra i suoi capelli.

L'istinto: lo sentiva ribollire in fondo al petto. La mente si svuotò, le parole si fecero silenziose nella logica. Esisteva soltanto il buio, l'imprevedibilità e ciò lo spaventava, perché non voleva commettere errori, ma se l'istinto si stava facendo strada nella ragione, non ne dubitava, come sempre, doveva esserci un motivo. Perciò si trovò sull'orlo del precipizio delle incertezze e tornò a parlare senza più pensare. «Quando Albert mi presentò Paul non avevo idea di tante cose. Non avevo idea che mi sarei innamorato di lui, che lo avrei sposato, che sarei stato felice con lui. Che insieme avremmo progettato il nostro futuro.» scese con le labbra sulla sua fronte e chiuse gli occhi. «Non sapevo ancora che avesse la leucemia, che avremmo trascorso l'ultimo anno del nostro matrimonio facendo pellegrinaggi continui in ospedale, né che non saremmo riusciti a realizzare tutti i nostri progetti.» gli accarezzò il naso con il proprio, finendo per specchiarsi dentro i suoi occhi – e poteva scorgere il proprio riflesso nelle sue iridi, null'altro, perché erano davvero troppo vicini. Completamente immerso in lui. «Quando l'ho scoperto, l'ho sposato lo stesso. Mi dovrei pentire? Ho sofferto davvero in un modo... Non ci sono parole per descriverlo. Ho quasi avuto un collasso il giorno in cui è morto. Però...» si allontanò a sufficienza da lui per poterlo vedere, per leggere le espressioni del suo viso.

Stava demolendo il proprio muro e, forse, aveva sbagliato i tempi e le parole, ma non stava riflettendo molto sulla cosa, non stava neppure prendendo in considerazione i perché e dove questi lo avrebbero condotto. «Però ho avuto il suo amore per me. Ci siamo amati per dieci anni. E mi è rimasto dentro.» Gabriel fece scivolare una mano sul suo petto, seguendo i propri movimenti, fermandosi all'altezza del suo cuore. Blaze annuì. «Le viole erano i suoi fiori preferiti. Era un tipo un po' banale, in effetti.» Gabriel scosse la testa. «Credi che io abbia qualcosa che non va proprio perché mi sono buttato in questa relazione con lui, anche se sapevo fin dal principio come sarebbe andata a finire?» il giovane sgranò gli occhi e si allontanò di un passo da lui.

Lo scrutò per un po' in silenzio, mentre il dubbio, il sollievo, il timore, lo stupore, si inseguivano sul suo viso, mutando le proprie sfumature ad ogni battito di ciglia. «Siamo uguali, in fondo, non credi?» si puntò il petto e poi rivolse il dito verso di lui. «Mi basta così poco... Hai detto così, prima.»

«Voi siete stati insieme per dieci anni.»

«Fai parte delle nostre vite già da circa tre mesi. Chi ti dice che non possa durare nel tempo? Dieci anni? Magari di più. Non puoi saperlo.»

«Nemmeno tu.» si allontanò di un altro passo.

«Colpo di pancia. Di solito, ormai lo avrai capito, su queste cose non mi sbaglio.» aveva gettato troppe cose in ballo, se lo sentiva. Oppure, era la paura a insidiarsi nelle sue percezioni, riempiendogli il petto d'ansia in attesa di una sua reazione, perché aveva, finalmente, demolito il proprio muro e si sentiva così vulnerabile?

«E se io non riuscissi...» lo indicò con entrambe le mani, poi lasciò ricadere le braccia che aveva sollevato nella sua direzione, picchiandosi i fianchi. «E se poi si venisse a sapere, pure? Se iniziassero a guardarmi e a vedere quello che Sasha...» tornò a stringere le braccia intorno al busto. «Non credo che riuscirei a sopportarlo. La gente comincerebbe a guardarmi con occhi diversi...»

«Che ti importa degli altri?»

«Tua madre, tu, i ragazzi! Anche voi siete gli altri. Io volevo essere soltanto io, e sentirmi amato per quello che sono, ma ho capito che non è possibile e quindi...» ansimò e si interruppe. Si portò le mani tra i capelli e gli diede le spalle, dirigendosi verso il lago.

Blaze lo raggiunse col cuore in gola, impaurito, quella volta, dalla direzione che aveva scelto per la sua solita fuga. Gabriel continuava a interrompere le discussioni tra di loro a metà, e quello restava irritante. «Hey,» non gli rispose. «Non ho intenzione di lasciarti scappare, stavolta.»

Gabriel si strinse nelle spalle. «Scapperai tu, prima o poi.»

«Per colpa di Sasha? Non mi fa paura. Sarà pure il figlio del procuratore, ma...»

Gabriel scosse la testa e si tolse la maglietta. «È pericoloso per conto suo, il procuratore lo copre e basta, lo rende intoccabile.» lo interruppe, poi si tolse i pantaloni e le scarpe e prese a entrare in acqua. «Ma non è questo il motivo. Te l'ho detto: a lui sono abituato.» la sua voce perse di consistenza, mentre si allontanava un passo dopo l'altro, e sembrava scivolare dentro i cerchi liquidi che si aprivano sulla superficie del lago ad ogni suo più piccolo movimento.

Non gli era sembrato affatto sicuro delle proprie parole, e, per di più, continuava a sembrargli una follia il fatto che si fosse rassegnato a soccombere alle angherie di quell'uomo. Anche a questo non credeva. Era quasi sicuro che Gabriel si fosse convinto che andasse bene sopportarlo per sopravvivere.

Perché sopportarlo era meno spaventoso che affrontarlo.

Aveva manipolato le proprie paure affinché vivere dentro quella prigione diventasse la cosa migliore per salvaguardarsi, per sentirsi al “sicuro”, nella speranza che non accadessero mai più cose ancora più orribili. Aveva, quindi, “abbellito” la sua prigione, si era convinto di aver fatto l'unica scelta possibile.

«Clare si è allontanata e nessun altro mi ha mai voluto. Non sono mai stato davvero importante per qualcuno, almeno... non abbastanza da permettermi di sentirmi a casa, o parte di qualcosa. Non abbastanza da permettere agli altri di capirmi davvero. Non abbastanza per pensare che potesse durare. Arriverà sempre qualcuno che ha più diritto di me di fare parte di questa vita, e io resterò a guardare.» Blaze si tolse la T-shirt e le scarpe e lo seguì dentro il lago – aveva troppo bisogno di continuare a sentirlo bene, e non voleva neppure che si allontanasse troppo da sé – anche se sembrava che Gabriel stesse fuggendo proprio da lui. «Sarai tu a scappare prima o poi, come tutti gli altri. Ed io farò finta che non mi aspettassi altro per liberarmi di te, per tornare alla mia vita di sempre.» continuò e il suo tono si fece amaro. «E dirò che ero preparato, che lo sapevo, che tanto non c'erano alternative, che mi aveva pure stupito il contrario.» la sua voce si fece ancora più bassa. «Che neanche ci speravo. E andrà esattamente come è sempre andata.»

Posò le mani sui suoi fianchi; l'acqua era bollente, gli aveva bagnato i pantaloncini, rendendoli pesanti, incollandoli alle cosce. Gabriel si girò verso di lui e Blaze non si stupì di scoprire i suoi occhi rossi, i lineamenti del suo volto tremanti, mentre tentava di non soccombere alla commozione. I respiri si erano fatti più brevi. Prese il suo volto tra le mani e subito Gabriel si aggrappò a lui, sollevò il volto verso il suo e lo baciò.

Un bacio morbidissimo, pieno di incertezze, anche quella volta, brevissimo. Ma era stato lui a baciarlo, nonostante tutto – e questo, Blaze non ne dubitava, era importante.

Questo sconvolgeva tutto.

«No, non credo proprio.»

La risata di Gabriel si fece sprezzante. «Ti dico che è così.»

Premette un dito contro la sua fronte. «Ed io dico che sei testardo, ma questo non cambia la situazione. A te basta poco, a me basti tu.» scosse la testa e fece per sfilarsi dalla sua presa, ma Blaze lo trattenne a sé. «Perché quello che sei mi piace. Sei tu. Saccente e presuntuoso. Quando ti ostini nelle cose sai essere davvero esasperante!»

«Te l'ho detto! Ti stancherai.»

Lo vide aggrottare la fronte, la commozione si era dissolta. Gli sembrava più sul punto di arrabbiarsi. Bene. Sorrise e prese il suo volto tra le mani. «No. Perché sei tu, sei insostituibile.» Gabriel sgranò gli occhi e Blaze tornò a specchiarsi nelle sue iridi chiarissime: stava iniziando a diventare una cosa rassicurante. Piacevole. Specchiarsi in lui lo faceva stare bene. «Ho ancora voglia di litigare con te, di scontrarmi con le tue idee,» gli sfiorò le labbra con le proprie. «Di perdermi nei tuoi ragionamenti.»

«A lungo termine...» si interruppe imbarazzato. «Cioè, volevo dire che...»

«L'idea che possa diventare una cosa a lungo termine mi piace, sai?»

Gabriel arrossì. «Potrebbe davvero diventare stancante.»

«No, non credo. Continuerebbe a piacermi anche vedere evaporare la tua rabbia in un battito di ciglia, dopo ogni battibecco, e di vederti tornare a sorridere. Di sentirmi così in pace con me stesso,» e continuò a soffiargli queste parole su una guancia. «Di sentirmi capito così tanto da non sentirmi più solo.» tornò sulla sua bocca. «E mi piacerebbe riuscire a non farti più sentire solo. Mi piacerebbe che trovassi qui, con me, il tuo posto nel mondo.»

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