19. Paul e Gabriel
Martha lo aveva accolto con uno sguardo intimidatorio. Subito Blaze aveva tentato di comprendere che cosa aveva fatto, quella volta, per guadagnarsi il disappunto della madre, ma lei lo aveva strappato a Drake, lo aveva condotto nella propria camera da letto, e aveva trascorso la successiva mezz'ora seppellendolo di notizie e speculazioni agghiaccianti. «Devi fare qualcosa.»
«Che cosa vuoi che faccia?»
Si batté le mani suoi fianchi, avvilita. «Quel ragazzo nasconde qualcosa, e dopo aver incontrato quel Paxton, sono certa che sia qualcosa di pericoloso.»
«Ho già provato a parlare con Gabriel, te l'ho detto...»
«Non è stato abbastanza!» lo interruppe. «Hai questa incredibile vocazione da salvatore dell'umanità, figlio mio. Prima Paul...»
«Che c'entra lui!» esclamò indignato, ma Martha incombeva sulla sua persona, alternando sguardi omicida a dita accusatorie, mentre lui sedeva sul bordo del letto, percependo il materasso scomodo come mai prima gli era sembrato.
«Era già malato quando vi siete conosciuti, l'hai sposato lo stesso.»
«Amavo Paul. Speravo guarisse.»
«Adesso ti sei scelto uno più incasinato di lui.»
«Non ho scelto proprio nessuno!» tentò di protestare, ma sua madre tornò ad accusarlo con un dito.
«Ho visto come hai iniziato a guardarlo, con quanta dolcezza lo guardi! E il bacio in campeggio? Ti sei messo a sbaciucchiare chiunque, così, all'improvviso, dopo sei anni di celibato?»
Fece una smorfia, si stava pentendo di essersi fatto sfuggire quell'informazione con lei, ma era pure vero che, ancora una volta, era stato il suo istinto a decidere per lui, Altrimenti, col cazzo che mi confidavo con mammina! Manco avessi tredici anni... Dannato istinto. «Qualsiasi cosa ci sia tra me e Gabriel non ti riguarda.»
«E non mi interessa neppure, anzi! Mi piacerebbe concretizzarsi con lui, non ho alcuna voglia di immischiarmi in questa faccenda. Ma oggi ho visto il terrore sul suo viso. Tu devi fare qualcosa, se ci tieni davvero.»
Scosse la testa. Teneva a Gabriel? Si era affezionato a lui, era innegabile, ma forse un po' come a lui si erano affezionati sua madre, i ragazzi e Oscar, non era ancora sicuro ci fosse qualcosa di veramente romantico tra di loro. Tanta insicurezza era, forse, dovuta al muro di omertà con cui Gabriel continuava a respingerlo?
Il suo interesse per lui, più che romantico, era quasi paterno?
La sua fragilità, le sue paure, stavano stimolando il suo istinto protettivo nei confronti del prossimo?
Prese a pizzicarsi la barba, mentre la testa pareva sul punto di esplodere, e Martha continuava a incalzarlo. Smise di ascoltarla, tentando di fare ordine tra i propri pensieri. Un bacio come quello che aveva cercato di ottenere da Gabriel non aveva nulla di casto.
Il fatto che volesse proteggerlo non aveva nulla di “paterno”, era, piuttosto, frutto di un senso del dovere profondo e primordiale su cui non aveva alcun potere – proprio come per l'istinto – e che veniva fuori in modo così preponderante nei confronti di Gabriel perché era anagraficamente più piccolo di lui, certo, ma anche perché continuava a sentire forte l'odore della sua paura.
Si sfiorò il labbro inferiore con un dito, poi tornò subito a pizzicarsi la barba. Era stato così breve, effimero, eppure continuava a ricordare quel bacio con una dolcezza struggente. Perché Gabriel si incastrava troppo bene tra di loro, gli forniva quella deliziosa sensazione di completezza che tanto gli era mancata negli ultimi anni. Si stava aggrappando a lui perché era facile, era comodo, gli era vicino, lo capiva, lo stimolava a livello intellettuale? Grugnì di frustrazione e si grattò con irruenza la cute della testa.
«Blaze?» riportò l'attenzione su sua madre. Il suo sguardo si era fatto carico di consapevolezza, era sicuro che avesse intuito che si era perso più della metà del suo discorso. «Quel Paxton non mi piace. Non ce lo voglio nella vita di Gabriel, perché Gabriel fa parte delle nostre vite, adesso, ed è un pericolo che... pretendo,» disse, marcando la voce sull'ultima parola. «Stia il più lontano possibile da te, dai miei nipotini.»
«Magari hai frainteso...» non ci credeva neppure un po' a questa eventualità, ma doveva avere la certezza assoluta dei perché di sua madre.
«Sai benissimo di avere ereditato il mio sesto senso. Hai mai sbagliato sul conto di qualcuno, partendo dalla prima impressione? No. E io ho molti più anni di esperienza di te a riguardo.» aveva già immaginato che queste sarebbero state le sue argomentazioni e non poteva contraddirla in nessun modo. «Quell'uomo è marcio.» incrociò le braccia sul petto e tornò a rivolgergli uno sguardo di sfida.
Sospirò mesto, annuì. Accettò la sfida.
Uscì dalla camera da letto, si recò in soggiorno, dove Drake stava giocando con Oscar e qualche dinosauro di plastica, sotto la supervisione di Gabriel, che teneva il portatile aperto sulle gambe. «Tutto bene?» chiese e subito il baby-sitter sussultò, chiuse il portatile, lo abbandonò sulla seduta del divano.
«Fa molto caldo.» disse Drake.
Sorrise. «Se continui a fare di Oscar la tua coperta, amore, possiamo impostare l'aria condizionata al massimo, ma sentirai sempre caldo.» il ragazzino ridacchiò e si mise a cavalcioni sul cane.
Gabriel non gli sembrava molto in forma, pallido, teso; continuava a muoversi a scatti, gesti brevi e febbrili, sembravano involontari, privi di senso. Non ricambiava il suo sguardo, non aveva risposto alla sua domanda. Aveva intuito del perché era sparito per una buona mezz'ora con Martha?
Si diresse verso la cucina, prese una birra dal frigo, rimase dietro il bancone, mantenendo una certa distanza dal suo ospite.
Non era ancora riuscito a inquadrarlo bene – e questa, era una cosa a cui non era abituato: la prima impressione che riceveva dagli altri era sempre quella giusta. Peccato che, su Gabriel non avesse neppure una prima impressione sulla quale basarsi. Ricordava benissimo il loro primo incontro: l'istinto aveva taciuto. Non era riuscito a stimare la sua età, chi fosse; non aveva percepito il “pericolo”, né c'era stata un'emozione, soltanto tanta curiosità per quelle risposte prive di logica con cui aveva ribattuto alle sue parole. L'antipatia era subentrata subito dopo, si era alzata all'istante, come uno spesso scudo, nel momento stesso in cui aveva udito il suo nome e lo aveva collegato a quell'amico di Clare, lo stesso che aveva evitato di incontrare per anni.
Aveva scoperto un sacco di cose sul suo conto, ma ancor meno si incastravano nel puzzle che stava tentando di costruire per capirlo. E questo lo aveva affascinato così tanto da sconvolgerlo nel profondo. Era questo quello che lo aveva spinto a tentare di oltrepassare i muri, gli scudi, a sbirciare sotto le maschere. Aveva riscoperto con Gabriel la bellezza della semplicità, delle discussioni semplici, al di là degli argomenti affrontati, dove ognuno diceva quello che gli passava per la testa, confrontandosi in maniera sana con l'altro, senza il timore di ripercussioni. I loro battibecchi si esaurivano in un battito di ciglia, si supportavano a vicenda, erano riusciti pure a trovare una sorta di armonia nel prendere decisioni riguardo Lucy e Drake. Si era abituato a lui.
La birra era ghiacciata, scivolava in gola che era un piacere, ma lui era troppo distratto per gustarsela davvero. Fece una smorfia, abbandonò la bottiglia sul bancone, fece il giro dell'isola e fu di nuovo a pochi passi dal trio. «Drake?» il ragazzino sollevò il volto nella sua direzione. «Ti cercava la nonna, poco fa, ho dimenticato a dirtelo. Voleva parlarti di una cosa.»
Drake reclinò il capo da un lato, rivolse uno sguardo obliquo in direzione di Gabriel, ma poi riportò gli occhi su di lui. Blaze ebbe l'impressione di non essere stato credibile neppure un pochetto, ma il ragazzino annuì, richiamò l'attenzione di Oscar e sparì in direzione della camera da letto della nonna.
Sedette al fianco di Gabriel e percepì il giovane irrigidirsi. Tra di loro restava il portatile, l'ennesimo scudo con cui, forse, stava tentando di tenerlo distante da sé? Blaze lo spostò sulla poltrona e scivolò di più al suo fianco, Gabriel fece altrettanto sul lato opposto, allontanandosi da lui.
Prese a pizzicarsi la barba distrattamente, continuando a studiare i suoi movimenti, sempre più goffi e incerti. «Ti va un gelato?»
Il ragazzo sussultò e, finalmente, ricambiò il suo sguardo. «Non sono mica un bambino di cinque anni.» sembrava indispettito dalla sua proposta.
Pure tu, però, che proposta del cazzo. Non ci aveva ragionato molto, a essere sinceri, come di suo solito, Istinto bastardo, anche stavolta. «A me piace il gelato, e di anni ne ho quarantadue.» si strinse nelle spalle, smise di pizzicarsi la barba.
Gabriel scrollò le spalle. «Fa caldo. Un gelato va bene.»
Bingo. Come volevasi dimostrare... Ma che cosa avrebbe ottenuto, stavolta? Che cosa stava cercando di ottenere? Non lo sapeva, ancora, nemmeno lui.
Era imbarazzante muoversi al fianco di Gabriel, tanto quanto, ogni tanto, gli sembrava imbarazzante camminare al fianco di Lucy: un'adolescente imprevedibile, una personcina in fase di crescita, diversa da lui, con la stessa voglia di coccole di una bambina, ma scontrosa come un'adulta convinta di poter affrontare ogni situazione senza l'ausilio di nessuno. «Non ti impicciare.» era diventata la sua frase di rito, negli ultimi tempi. Eppure, Blaze, non era mai stato un impiccione.
Allora perché ti trovi in questa situazione?
Perché il Periodo è finito, e adesso ti rendi conto che Gabriel ha qualcosa che non va.
Se n'è accorta pure Martha.
Avevi ragione su Paxton, anche se non l'hai mai incontrato.
Vi siete baciati.
Ti ha scaldato il cuore.
Mentre uscivano per strada, senza neanche rivolgersi una parola, di nuovo, gli tornarono alla mente le parole di Martha. Paxton. Aveva una brutta sensazione a riguardo, ma continuava a non sapersi dare una spiegazione. Raramente gli capitava che il suo istinto parlasse pure su persone che non conosceva, di cui aveva soltanto sentito riportare qualcosa da altri, ma di Martha si fidava. Dell'istinto di Martha si fidava molto più del proprio. «Fa davvero caldo.»
«Già.»
Iniziamo alla grande. «È il Santa Ana...»
«Mi sembra presto.» lo interruppe.
«Il clima è impazzito.» discorsi vuoti e privi di senso. Non gli sembrava affatto utile mettersi a parlare dei Venti del Diavolo, non credeva che ciò li avrebbe condotti da nessuna parte.
Gabriel si strinse nelle spalle, i capelli, lunghi fin sotto le orecchie, celavano in parte il suo viso. I colori di fuoco, che colmavano il cielo, glieli riempivano di riflessi oro e rossi, sembravano più chiari, più biondi, più luminosi, crepitanti di un fuoco proprio.
Entrarono nella prima caffetteria che beccarono, e da cui proveniva un getto d'aria gelida che si scontrava con l'afa dell'esterno. Occuparono un tavolino, ordinarono gelato per entrambi.
Trascorsero l'attesa in silenzio, e i nervi di Blaze cominciarono a risentirne. Quando vennero serviti, Gabriel prese a stuzzicare il gelato con il cucchiaino, ne portò alla bocca pochissimo, per poi riprendere a giocherellarci.
«Non ti piace?»
«È buono.» disse e tornò a stringersi nelle spalle. Gli parve completamente assente e distante; i suoi occhi erano grigi, totalmente vuoti.
«Sicuro di stare bene?»
Il ragazzo gli rivolse uno sguardo saturo d'astio. Non voleva che si impicciasse nelle sue cose? «Fa caldo, è questo.»
«Sei pallido, però.»
«Perché non mi abbronzo. Di solito mi brucio, agonizzo per una decina di giorni, e poi l'ustione non diventa abbronzatura, torno bianco cadavere.»
«Menomale che hai messo tanta protezione solare, in campeggio.» rise, fu certo che Gabriel avesse parlato con una vena di ironia istintiva – doveva aver ripetuto quelle poche frasi fino allo sfinimento, in passato – ed era divertente vederlo agire d'istinto: lui che odiava i colpi di pancia. «Io mi abbronzo tantissimo.»
«Carnagione latina,» e lo indicò con una mano, il palmo rivolto verso l'alto. «Non ne dubitavo.»
Blaze tentò di darsi un contegno, di mettere da parte la maschera, non tanto per entrare in empatia con lui, ma con la speranza che ciò aiutasse l'altro a essere sincero, a confidarsi. Dannata curiosità. «Ho saputo che, stamattina, sei andato a fare shopping con Martha.»
La sua maschera di apatia parve creparsi. Trapelò un'emozione, strana, indecifrabile, avvolta da una sorta di diffidenza, tra le cui spire poteva intuire altro, ma a cui non riusciva, ancora, a dare una forma. Reclinò il capo da un lato, assottigliò lo sguardo, ma poi si rese conto che il suo ospite poteva sentirsi preso sotto esame, quindi scrollò le spalle e distolse lo sguardo da lui, portandosi un po' di gelato tra le labbra. Lo fece sciogliere sulla lingua, mentre tentava di recuperare tempo – recuperare tempo per portare avanti una conversazione con Gabriel Wright stava diventando una brutta abitudine.
«Che cosa ti ha detto?» si girò di scatto a guardarlo. Qualcosa stava prendendo forma. «Abbiamo incontrato un mio vecchio amico del liceo...»
«Amico?» lo interruppe e l'altro si irrigidì ancora.
«Non ti devo spiegazioni su chi frequento fuori dal lavoro.» riprese a tormentare il gelato. Ormai si era sciolto intorno al bicchiere, scivolava in rivoletti sottili e colorati sulla parte esterna. Non stava ricambiando il suo sguardo, sembrava aver perso tutta la propria spavalderia. Che cosa gli stava sfuggendo?
«Lo frequenti?»
Sgranò gli occhi e smise di tormentare il gelato, neppure le lenti degli occhiali riuscivano più a essere un buono scudo: era tornato il panico a rendere più scure le sue iridi.
Gli ricordò lo sguardo vuoto di Paul, la notte prima che morisse, quando le sue iridi si erano fatte nere, colme di oscurità. Il suo sguardo assente. Non aveva più seguito i suoi movimenti, gli era sembrato non vederlo affatto. La mattina dopo erano tornate limpide e chiare, di un castano intenso, dalle sfumature dorate e miele, luminose. Paul era tornato a seguire i suoi movimenti, a riconoscerlo, a sorridergli. Aveva sollevato la testa per l'ultima volta, andandogli incontro, depositando un bacio leggero sulle sue labbra, poi si era disteso ancora, sullo stesso letto da cui non si alzava più da mesi, e lo aveva lasciato per sempre.
Come poteva Gabriel avere lo stesso sguardo pieno di morte di Paul? Lui che era così vivo?
«Non frequento nessuno,» rispose con un filo di voce. «È solo un vecchio amico del liceo.»
«Avete avuto una relazione?»
Gabriel batté i pugni sulla superficie del tavolo, attirando spinose attenzioni su di loro da parte degli altri avventori del locale.
Blaze si alzò, pagò la consumazione, tornò al tavolo e lo afferrò per un gomito, invitandolo a seguirlo. Gabriel sembrava così sconvolto e confuso che lo lasciò fare senza protestare, almeno finché non furono all'esterno del locale e il caldo losangelino li investì in pieno, come una coperta data alle fiamme, avvolgendoli, bruciando i respiri. «Non sono affari tuoi!» tuonò e si liberò dalla sua presa.
«C'è qualcosa tra di noi.» l'istinto era tornato a parlare al posto suo. Blaze mise da parte i dubbi e decise di abbracciarlo in pieno, di spingerlo a prendere il sopravvento di sé. «Non puoi negarlo!»
Gabriel fece un passo indietro, si guardò attorno con sgomento. La strada era affollata come sempre, da gente più in corsa del solito, forse intenzionata a rinchiudersi all'interno di un luogo freddo il prima possibile. I clacson riempivano l'aria di un sottofondo musicale disturbante, il sole rifletteva spietato sulle superfici di vetro e metallo dei grattacieli. L'odore di cibo, smog e immondizia si infiltrava nelle narici, disturbando ulteriormente i sensi. «Non capisco...»
Lo afferrò per le spalle, azzerando la distanza tra di loro. «Ci siamo baciati.» sussurrò e l'altro sgranò gli occhi.
«Tu mi hai baciato.»
Lo lasciò andare di colpo come se si fosse scottato. Per questo motivo era scappato, subito dopo? Ma Blaze non si era sentito affatto rifiutato, anzi. Nella sua fuga aveva letto tanta paura e una profonda incertezza ed era assolutamente certo di non essersi sbagliato. «Chi è Paxton?» cavalcò l'istinto, mise da parte il bacio, decidendo di braccarlo dal lato opposto: era quasi certo che sarebbe riuscito a comprendere i perché del suo rifiuto se avesse sbrogliato quell'altra matassa. Non sapeva spiegarsi il perché di tale sicurezza, ma aveva già deciso di smettere di porsi domande a riguardo.
«Te l'ho detto, è soltanto un amico.»
«Quindi non stai ignorando quello che c'è stato tra di noi soltanto perché ti frequenti già con lui?»
Gabriel scosse la testa, assottigliò lo sguardo, soccombendo alla forza impetuosa della luce del sole. Lo afferrò di nuovo per un braccio e lo spinse in direzione dei portici che si aprivano davanti l'ingresso di una boutique di abbigliamento. Il caldo, lì, non era fagocitato dai raggi diretti del sole, ma aggiungeva all'aria l'odore nauseabondo di gomma sciolta, anche se il rivestimento della pavimentazione ancora non si incollava alle suole delle scarpe.
«Che cosa succede?» e il punto di domanda fu così flebile da rendere la frase quasi l'imposizione di un ordine e non una richiesta di delucidazioni.
Gabriel sospirò e si passò una mano tra i capelli. «Non siamo mai stati una coppia. Non sono scappato per via di lui, ma perché...» la sua voce si era fatta incerta. «Non sapevo come comportarmi, come reagire.»
Aggrottò la fronte, qualcosa continuava a sfuggirgli. «Hai già avuto delle relazioni, no?» Gabriel annuì. «Che cosa pensavi che mi aspettassi da te?»
Si strinse nelle spalle e si abbracciò il busto. Un paio di persone passarono loro vicine, dirigendosi verso il negozio di abbigliamento, Blaze prese Gabriel per le spalle e lo allontanò da quel punto. Gli sembrava così fragile e spaventato in quel momento, si pentiva di essere stato così irruento con lui, ma sperava ancora che il suo istinto lo avrebbe ricompensato per la fiducia che vi aveva riposto.
Gabriel compì un passo in avanti e Blaze lo accolse in un abbraccio. Poggiò il mento sul suo capo, poi scese sul suo viso, accarezzandogli una guancia con la propria. Lo aveva attirato a lui come una falena a una luce abbagliante, ma era rimasto così abbagliato da non essere riuscito a darsi risposte soddisfacenti. La sua maschera era impenetrabile, quello che teneva sotto era fatto di un caos oscuro, ancora più incomprensibile.
Batté le palpebre un paio di volte, aggrottò la fronte, poi, iniziò a percepire il familiare pizzicore alla base del collo, nei palmi delle mani, nelle piante dei piedi.
Disperazione, ecco, che cos'era.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro