Fire Extinguisher
Phoebe camminava nel paddock deserto, con il cappuccio della felpa nera calato sul volto.
Erano quasi le sei del mattino e c'erano ben poche persone già al lavoro. Era sua abitudine arrivare al circuito così presto, in modo da evitare la folla che normalmente riempiva l'autodromo. Concedeva autografi e fotografie solo la sera, quando usciva per tornare all'hotel dove alloggiava. Non era questione di arroganza questa volta, ma di sincerità. C'erano piloti che si fermavano ogni istante per firmare cappellini e bandiere, con il risultato di apparire simpatici ai tifosi, ma diventando sempre più finti. Un sorriso forzato non sarà mai uguale ad un sorriso sincero. Phoebe preferiva dedicare ai fan un tempo più ridotto, ma assicurando a tutti loro un contatto più genuino. Era una delle poche volte che si lasciava andare alla spensieratezza, scherzando con qualcuno di loro e cercando di lasciare ad ognuno un motivo per ricordarsi quell'incontro. Certo, poi c'erano anche piloti che invece si gettavano nel bagno di folla solo per conquistarsi l'amore incondizionato della gente per scopi politici, ma quella era un'altra vicenda. E di politica del motorsport Phoebe non ne voleva sapere niente, anche se era ben consapevole che regolasse tutta la vita del Circus.
Come ogni mattina quindi si concedeva una piccola passeggiata in solitaria, con la musica dei Fall Out Boy che esplodeva dalle cuffiette indossate. Era solo venerdì, il primo giorno del weekend di gara, ma si trovava a Monza, ragion per cui era più nervosa del solito. Phoebe era inglese, ma era cresciuta in Italia, motivo per cui la città lombarda le era molto più familiare di Silverstone. E il gran premio di casa rappresentava sempre una responsabilità maggiore per lei. Le accadeva anche nelle formule minori ed era una parte di sé che doveva assolutamente modificare. Non poteva permettersi di essere vulnerabile.
Per stemperare la tensione, aveva selezionato la sua canzone preferita, The Phoenix, che sembrava scritta proprio su di lei. Doveva caricarsi al massimo. Accennò un riscaldamento muscolare mentre il timido sole di settembre spuntava lento, riscaldando l'aria.
Put on your war paint!
Strike a match and I'll burn you to the ground
We are the jack-o-lanterns in July setting fire to the sky
Here comes this rising tide
So come on
Lasciò che le parole della canzone fluissero in lei, dandole tutta l'energia di cui aveva bisogno. Ogni gran premio era una guerra a cui lei si doveva preparare al massimo delle sue capacità. Attese il ritornello, quello che le piaceva di più perché era dipinto esattamente su di lei
I'm gonna change you like a remix
Then I'll raise you like a phoenix
Si levò le cuffiette, spegnendo anche la musica dal suo cellulare. C'era solo un dettaglio che la turbava in quelle parole così perfette. A differenza di quanto affermato nella canzone, era lei che aveva cambiato la sua vita, come un remix improvviso. Ed era sempre e solo lei che si era innalzata come una fenice. Non c'era stato nessuno che lo avesse fatto al posto suo, che l'avesse aiutata a risorgere dalle sue ceneri, dai dubbi e da tutte le preoccupazioni. Phoebe era rinata solo con le sue forze e questo le aveva costruito attorno uno scudo protettivo rendendola totalmente inavvicinabile dagli altri. Phoebe era stata la sua stessa salvezza. Era pienamente convinta che nessun altro avrebbe mai voluto aiutarla.
Per qualche strana ragione, il percorso dei suoi pensieri la condusse ad Aidan. Le parole di Mick ancora le risuonavano nella mente. Certo, lei seguiva unicamente la sua strada, viaggiando in solitaria ed ignorando chi la circondava. Ma aver causato il licenziamento di una persona le procurava un fastidio che non immaginava nemmeno di poter provare. Forse era riconducibile al fatto che la fenice fosse un animale mitologico puro. E arrecare volontariamente del danno a qualcuno non era poi così puro, soprattutto a chi impiegava in quel modo il proprio tempo al totale servizio del motorsport.
Phoebe si guardò attorno. I cancelli non erano ancora stati aperti ovviamente, di conseguenza poteva permettersi di uscire dal paddock senza essere assalita. Conosceva la posizione dell'hospitality CEA, ma non vi era mai entrata. Non lo aveva mai ritenuto interessante od opportuno, ma ora sentiva di avere una ragione in più.
Si strinse maggiormente nella sua felpa oversize, uscendo dai tornelli. Se si fosse fermata a ragionare di certo non avrebbe mai compiuto una pazzia simile. Ma ben poche volte nella sua vita era stata razionale nelle scelte. Agiva sempre spinta dall'impulso, sulla base di ciò che le diceva il suo cuore ardente. Altrimenti non avrebbe avuto mai il coraggio di diventare pilota e non sarebbe stata nemmeno così sfrontata. Essere freddi non significava essere razionali, ma essere talmente tanto preda dell'emotività da esserne stati scottati. E dopo una scottatura, ciò che rimaneva era solo un cumulo di fredde braci.
Phoebe varcò l'entrata dell'hospitality CEA con molta più sicurezza di quella che avrebbe dovuto dimostrare. Era ancora molto presto e i commissari iniziavano a lavorare attorno alle sei di mattina. Aveva ancora qualche minuto a suo vantaggio. Appena fece il suo ingresso abbassandosi il cappuccio della felpa, nella stanza calò il silenzio. Phoebe scorse con lo sguardo tutti i tavoli dov'erano seduti uomini vestiti di rosso, intenti a terminare rapidamente la loro colazione. Ognuno la guardava allibito, qualcuno addirittura con il boccone fermo a mezz'aria. La ragazza non vedeva Aidan tra di loro, concretizzando le parole di Mick. Lo avevano davvero licenziato?
Nel silenzio incredibile che si era creato, l'udito allenato di Phoebe colse un rumore proveniente da sinistra. Si voltò immediatamente con uno scatto degno di un serpente che individua la preda, notando semplicemente un ragazzo pelato che continuava a sgranocchiare la sua mela con apparente indifferenza. Al contrario di tutti gli altri, aveva la tuta abbassata come consuetudine dei piloti ed era appoggiato al muro in modo sfrontato. Nel volto di Phoebe sorse un piccolo sorriso quasi impercettibile. Anche quel ragazzo si distingueva come lei, il che lo poneva quasi al suo stesso livello. Decise che era a lui che si doveva rivolgere.
"Posso parlare con il vostro responsabile?" chiese. Lui la fissò, scrollando le spalle. Nei suoi occhi scuri Phoebe poteva scorgere un bagliore di rancore. Era diventata brava a capire le persone. Succede così quando si sta in disparte. Rimanere in silenzio permette di studiare meglio l'avversario.
Non riuscì nemmeno a ripetere la richiesta al ragazzo, perché nella sala irruppe una donna, probabilmente allarmata dall'improvviso e strano silenzio calato in una grande sala di soli uomini. "Cosa succede qui?" esclamò rumorosamente, ma le parole le si fermarono in gola vedendo la pilota in piedi in mezzo alla stanza.
"Phoebe Evans! -mormorò come se stesse vedendo un'apparizione divina- a cosa dobbiamo il piacere della sua visita?". "Probabilmente ci vuole licenziare tutti" sibilò il ragazzo gettando la mela in un cestino. Lo sguardo di Phoebe saettò verso di lui, incenerendolo sul colpo. Sguardi simili in genere ti congelavano, ma trattandosi della figlia del fuoco per eccellenza, ti bruciavano all'istante.
"Vorrei parlare in privato" proseguì la pilota, mantenendo tutta la calma possibile. La donna annuì con il capo, indicandole di seguirla. Phoebe attraversò tutta la sala sostenendo lo sguardo sempre fisso e alto. Era abituata a essere fissata dalla gente e aveva smesso di sentirsi imbarazzata. Aveva terminato anche di preoccuparsi di ciò che pensavano o dicevano di lei. Non le interessava affatto.
Entrò in una piccola stanza, dove la donna si apprestò a chiudere la porta per mantenere l'intimità. "A cosa è dovuta questa visita improvvisa? -chiese poi, non riuscendo a celare la sua apprensione mista a gioia- non capita mai che qualche pilota venga nella nostra hospitality". Phoebe non trovò nessuna traccia di rimprovero nella voce della donna, ma probabilmente avrebbe dovuto esserci. Nessun pilota entrava lì, nemmeno per ringraziarli. Probabilmente essendo egoista Phoebe non poteva concepire come per i commissari fosse gratificante anche solo sapere di aver svolto il loro lavoro al meglio, senza che nessuno rendesse loro merito e onore. Si rese conto che anche lei era troppo concentrata su sé stessa per ampliare i suoi orizzonti e notare quante persone lavorassero per garantire la sua sicurezza. Semplicemente dava tutto per scontato. Anche perché se si fosse soffermata a ragionare su tutto sarebbe impazzita e non poteva permetterselo. Ottimizzare le energie in ogni modo possibile era il suo motto, no?
"Dov'è Aidan Serafini?" chiese Phoebe, puntando dritta al motivo della sua visita. Non avrebbe mai girato attorno ad un argomento, non era il suo stile. Non ne possedeva la capacità e nemmeno il tatto. E meno ancora aveva tempo da perdere in inutili convenevoli. Vide la mascella della donna contrarsi, segno evidente di come quell'argomento l'avesse messa a disagio "Ci scusiamo ancora molto per lo spiacevole avvenimento. Non capiamo come sia potuto accadere, Aidan era uno dei nostri migliori commissari antincendio, uno tra i più motivati ed addestrati. Ma ovviamente è stato prontamente allontanato. Non è più parte della nostra società".
Phoebe ringraziò gli anni e anni di allenamento che l'avevano aiutata a sviluppare una perfetta 'poker face' anche nei momenti più difficili, altrimenti sarebbe impallidita di colpo. Trovava assurdo tutto ciò. Era furiosa per la gara appena terminata e si era sfogata con il primo malcapitato che le era capitato davanti. Questo era solita farlo, ragion per cui tutti la evitavano soprattutto dopo un pessimo risultato, ma lui aveva reagito, dando vita ad una vera e propria discussione. Era vero che lei si sentiva potente, ma trovava oltremodo fastidioso che quel suo potere potesse essere additato per aver rovinato qualcuno.
"Avete commesso un grave errore- mormorò Phoebe senza espressione, fissando la donna negli occhi- quando sono entrata, tutti si sono zittiti improvvisamente. Vi siete lasciati scappare invece l'unico che valesse qualcosa, che non si è fatto intimidire da me. L'unico che aveva un po' di carattere".
Aprì la porta ed uscì, furente. Si avviò a passi pesanti verso l'uscita dell'hospitality, attraversando la stanza senza quasi nemmeno vederla. Aveva utilizzato parole forti, ma servivano per giustificarsi con sé stessa. Doveva convincersi che l'errore lo avessero commesso gli altri e non lei. Perché Phoebe non sbagliava mai. E non aveva tempo di soffermarsi su questi dettagli inutili, nonostante le rodesse dentro senza un apparente motivo logico. Ma cosa era logico nel mondo delle corse?
"Aspetta un attimo!"
Phoebe si voltò, con le fiamme che ardevano nei suoi occhi. Quando vide che si trattava del ragazzo pelato, la sua insofferenza crebbe. "Per l'autografo sei in ritardo, la sessione in pit lane era ieri pomeriggio. Nessun favoritismo, tesoro" gli sibilò con un sorrisetto arrogante. Poi si voltò e si allontanò di qualche metro.
"Cercavi Aidan, vero?" continuò imperterrito il ragazzo. Phoebe si bloccò sul posto, poi si voltò verso di lui con una lentezza pericolosa "Hai per caso spiato la mia conversazione con la tua responsabile?". Il ragazzo scosse la testa, quasi divertito "No, ma non ci voleva molto per intuirlo". Phoebe incrociò le braccia al petto "Bene, quindi cosa vuoi da me?". Lui le si avvicinò, per non farsi sentire dagli altri "Aidan è il mio migliore amico" "E cosa mi dovrebbe interessare? Vi scambiate opinioni sui piloti con cui litigate?".
Il ragazzo rise "Se ti interessa sei la prima con cui accade una cosa simile. Ma il punto è che Aidan si trova qui. Non è più un commissario antincendio, è vero. Ma è un appassionato. E non si perderebbe il gran premio di Monza per nulla al mondo. In questo momento si trova nella sua tribuna preferita, l'Ascari. Se vuoi parlarci non credo ci sia molta gente attorno" "Ma che dici, -ribatté lei- i cancelli dell'autodromo sono ancora chiusi".
Lui ammiccò "Questi sono dettagli segreti. Non porre domande, ok? Aidan è già dentro al circuito. Ed è lì". Phoebe alzò le braccia "Va bene, va bene. Non voglio immischiarmi nei vostri loschi traffici. Appena lo vedi porta tanti saluti da parte mia al tuo amico. Ora devo andare".
"Sicura che non ti viene nemmeno la minima tentazione di andare all'Ascari?" continuò lui. Phoebe lo guardò infastidita. Si prendeva gioco di lei? Gli si avvicinò sibilando "Ma si può sapere chi sei e come ti permetti di parlarmi così? Sei identico a quell'idiota del tuo amico" "Mi chiamo Mattia, -replicò lui sorridendo – e per tua informazione la tribuna Ascari è da quella parte". "Ma smettila!" sbottò Phoebe, alzando la voce. La infastidiva il modo in cui lui continuava ad insistere. Doveva ammettere con sé stessa che per qualche istante aveva riflettuto se andare o meno a confrontarsi con Aidan, anche solo per tranquillizzare la sua coscienza. Ma parlare con quel Mattia le aveva tolto ogni voglia. Non voleva dare l'impressione di obbedire a qualcuno e meno ancora desiderava apparire prevedibile. Il fuoco non è mai prevedibile.
"Senti, facciamo così- riprese Mattia, accorgendosi probabilmente di aver esagerato- ti consiglio vivamente di non andare per nessun motivo all'Ascari, va bene?" "Patetico tentativo di psicologia inversa, -ribatté Phoebe- non attacca con me. Riprova questo trucchetto con qualcuno più debole mentalmente".
Si allontanò da lui, scuotendo la testa. Per forza era il migliore amico di Aidan, discutere con loro la infastidiva. Le sembrava di perdere potere e non essere più la ragazza tosta che tutti temevano nel Circus. Controllò il suo cellulare. Nessuna chiamata da Vasseur, il che le dava ancora margine di poter fare quello che voleva.
Va bene, sarebbe andata all'Ascari. Avrebbe parlato con Aidan. Si conosceva, sapeva che se non l'avesse fatto quel pensiero avrebbe continuato a tormentarla e doveva invece essere totalmente concentrata sulla gara. Sospirò a fondo. Era la scelta migliore. Doveva tornare rapidamente sé stessa, non le piaceva questa piccola feritoia nella sua corazza.
Si voltò per assicurarsi che nessuno la vedesse mentre imboccava la via verso la tribuna. Notò Mattia che la fissava, immobile accanto al retro dell'hospitality. "Ma allora veramente spii la gente!" gli urlò Phoebe, infastidita dall'essere stata colta in flagrante. Lui sollevò le spalle, urlando di rimando "Mi stavo solo assicurando che tu conoscessi la strada giusta".
Phoebe si voltò, evitando di rispondere. Sollevò il cappuccio sulla testa, non riuscendo però a soffocare un sorriso. Tutto ciò era incredibile. Nonostante il forte disagio che provava, quella feritoia che si era aperta come una vera e propria ferita stava lasciando entrare troppa luce, facendole ripensare a quanto fosse bello il calore regalato dalle persone.
La ragazza strinse le braccia al petto, respirando piano. Quella inutile ferita andava ricucita nel minor tempo possibile, come aveva già fatto con tutte le altre.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro