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Explosion


Quella mattina Phoebe si era alzata più tardi del solito.

Era quasi in ritardo, situazione che non era mai avvenuta prima d'ora. Non avrebbe potuto concedersi una passeggiata nel paddock in solitudine mentre il sole iniziava a sorgere, né rifugiarsi nella musica caotica che ascoltava sempre per spostare il focus dell'attenzione. Caos significava nulla e lei aveva proprio bisogno di non pensare a niente prima di infilarsi in macchina.

Ma invece dal giorno prima era tormentata da quei pensieri negativi che l'avvolgevano fino quasi a toglierle il fiato e che soprattutto non le permettevano di mantenere la mente libera.

Non riusciva a smettere di torturarsi per lo scontro con Aidan. Le immagini della loro discussione le apparivano davanti agli occhi come se le rivivesse in ogni istante. Non era mai stata brava a comunicare i suoi sentimenti, si era sempre rifugiata dietro qualche battuta più o meno ironica. Ma Aidan aveva frainteso tutto e non le aveva lasciato nemmeno il tempo di provare a spiegare la sua posizione.

Lei lo amava più di ogni altra cosa al mondo, forse anche più delle monoposto. E proprio per quel motivo aveva solo cercato di proteggere Aidan dall'esterno, come si farebbe con il più prezioso dei tesori. I giornalisti e in generale l'opinione pubblica erano sempre pronti a giudicare e lei lo aveva sperimentato sulla sua pelle. Perché il marchio di Fenice ora era diventato il suo punto di forza, ma all'inizio era difficile dover convivere con un tale stigma addosso. La stampa ti pone domande solo in merito a quello, gli altri piloti ti evitano convinti che tu abbia fatto qualche patto strano con il diavolo per essere sopravvissuta alle fiamme, il grande e segreto timore di ognuno di loro.

Era come se solo le persone cattive potessero sfuggire al fuoco, mentre quelle buone dovevano per forza cadere martiri. Di conseguenza lei era diventata la persona da evitare, da guardare con rispetto ma sempre da lontano. Una creatura estranea a tutti ma che non poteva essere allontanata perché in fondo ognuno in parte ne era intimorito. Phoebe aveva deciso di costruirci attorno una corazza dura, una fortezza inespugnabile a cui nessuno avrebbe più potuto avere accesso. E incredibilmente aveva funzionato. La sua immagine era stata rilanciata in modo positivo.

Ripensando a quei tempi Phoebe però non ci vedeva successo, ma solo tanta tristezza.

Era rimasta sola dopo quell'incidente e lo sarebbe stata per sempre se non avesse incontrato Aidan. Lui era l'unico che aveva sciolto tutte le sue barriere e al quale si era mostrata nella sua vera forma, fragile e vulnerabile. Per questo motivo doveva assolutamente non essere conosciuto dagli altri. Era solo suo, non poteva perdere anche lui. Aveva pensato di allargare le sue ali a fatica per coprire con le piume il ragazzo e nasconderlo dalla vista della gente. Perché lei poteva bruciarsi, ma lui no. Non lo avrebbe mai permesso.

Eppure il giorno precedente aveva visto una versione capovolta di tutta la questione.

Lei non era più la stessa Phoebe di un tempo, e questo ormai le era chiaro. Aidan aveva addolcito molti suoi lati, l'amore l'aveva trasformata in una persona più serena e meno rigida. Non accondiscendente, ma semplicemente più morbida con chi aveva intorno. Si fidava di più delle persone, si sentiva apprezzata davvero.

Ma la persona che l'aveva trasformata da una focosa fenice ad un innocuo colibrì era stata proprio quella che l'aveva totalmente disorientata il giorno prima. Non si sarebbe mai aspettata infatti una simile reazione da Aidan, non era assolutamente il suo carattere. Era evidente che il volerlo nascondere aveva scoperchiato in lui alcune ferite che aveva sempre cercato di ignorare. Phoebe aveva avuto l'impressione di aver assistito all'accensione di un falò. Dinanzi a lei c'erano solo delle quiete braci, ma appena il vento ci aveva soffiato sopra la fiamma aveva iniziato a crepitare riprendendo vita. Le braci sembravano spente, ma in realtà la scintilla si nascondeva in loro pronta a riaccendersi.

Probabilmente Aidan aveva sempre temuto di non essere abbastanza per lei, nonostante Phoebe gli ripetesse in continuazione il suo valore. Ma quando un'idea è instillata è difficile da estirpare. Continua a lavorare dentro al cervello, corrodendolo dall'interno. Ed ecco che quel piccolo pensiero si era trasformato in senso di inferiorità, un complesso che era risaltato molto nella loro discussione. Aidan non riusciva a vedere il punto di vista di Phoebe solo perché nella sua mente quello rappresentava la conferma a tutti i suoi timori.

Era stata una reazione del tutto impulsiva, più consona a lei che al ragazzo, di cui forse si era anche già pentito. Ma non l'aveva ancora cercata. Né lei aveva provato a contattarlo. Si era resa conto che fosse meglio dare tempo alle braci di tornare, se non a spegnersi, almeno a raffreddarsi.

Però tutto ciò la spingeva ad una riflessione più profonda. Era come se la reciproca influenza li avesse spinti ad assumere in qualche modo i tratti caratteriali dell'altro.

Lei si sentiva bene nella sua nuova veste, ma forse era stato un cambiamento pericoloso. Che poteva condurla al tracollo.


Phoebe si infilò velocemente la felpa Alpha Tauri, scegliendo volutamente di non guardarsi allo specchio per non riflettersi nelle sue stesse occhiaie scure dovute alla notte trascorsa praticamente del tutto insonne. Nonostante accumulasse ritardo, continuava a rimanere nella sua stanza d'albergo. La verità è che ne conosceva il motivo ma cercava di ignorarlo. Era lì, fermo sul mobile che attendeva solo di essere aperto. Ma lei non ne aveva il coraggio.

Aveva preferito non aprire il pacchetto che le aveva consegnato Aidan perché non si sentiva nell'umore adatto. E nemmeno ora si era ripresa, ma la curiosità la stava divorando.

Lentamente si avvicinò al mobile, afferrando il pacchetto con noncuranza, come per non farsi notare. Trasse un lungo respiro, decidendo di aprirlo. Magari conteneva qualcosa che avrebbe potuto riavvicinarla più velocemente ad Aidan.

Con un gesto impaziente strappò del tutto la carta, gettandola nel pavimento. Si ritrovò tra le mani un libro su Frida Kahlo. Lo rigirò confusa, con la fronte aggrottata. Sapeva ben poco di lei sinceramente, solo che fosse messicana e che dipingesse quadri. Ah, e ovviamente che avesse un monociglio che l'aveva resa famosa. Un po' come lei che aveva fatto di un lato negativo il suo punto di forza, stratagemma tipico delle persone intelligenti.

Ma a parte questo dettaglio, non comprendeva davvero la scelta di Aidan di regalarle un libro simile. Sfogliò velocemente le pagine, finché un dettaglio non la colpì. Tornò indietro alla pagina che aveva notato.

C'era una frase sottolineata a mano con un pennarello sottile rosso. Si trattava di una citazione di Frida.

'Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. È in quel fuoco che sono nata, portata dall'impeto della rivolta fino al momento di vedere giorno. Il giorno era cocente. Mi ha infiammato per il resto della mia vita. Da bambina, crepitavo. Da adulta, ero una fiamma. Sono proprio figlia di una rivoluzione, non v'è dubbio, e di un vecchio dio del fuoco adorato dai miei antenati'

Phoebe chiuse il libro, riponendolo sopra il mobile. Non si aspettava assolutamente una simile frase così legata a lei. Racchiudeva esattamente ciò di cui lei si era sempre vantata. Ma che ultimamente aveva iniziato a dimenticare. Forse Aidan con quel libro voleva ricordarle chi era veramente, voleva farle capire che doveva riappropriarsi di sé stessa. Stava diventando troppo docile, troppo remissiva. Dov'era la figlia della rivoluzione, la figlia di un vecchio dio del fuoco?

Doveva ritrovare quella Phoebe che si stava smarrendo. Perché nonostante tutto, doveva accettare anche quel lato di sé. In fin dei conti, non era forse lei la persona più acida e sarcastica in alcune situazioni? E lo era sempre stata, a prescindere dall'incidente che aveva solo rafforzato maggiormente questo suo tratto distintivo. Non aveva senso rinnegarsi e provare ad essere qualcun altro. Non aveva forse sempre sostenuto di odiare le maschere? Eppure lei ne stava indossando una e chissà da quanto ce l'aveva addosso. Era giunto il tempo di abbracciare sé stessa, in ogni sua forma. Sia quella della fenice spaventosa, sia quella del timido canarino che ha paura ad uscire dal nido.

Infilò il libro nella borsa senza rifletterci e si apprestò ad uscire dalla stanza per raggiungere il circuito. Si ripromise che al termine del gran premio avrebbe cercato Aidan per condividere i suoi pensieri e ringraziarlo del regalo ma soprattutto per averla aiutata a riscuotersi prima di giungere alla deriva.



Sollevò gli occhi verso il cielo di Baku.

Era un rituale che compiva sempre, un modo per tranquillizzarsi prima di salire in macchina.

Dopotutto il cielo è sempre lo stesso, in questo modo si sentiva sempre a casa.

Sospirò a fondo, indossando la balaclava e riportando lo sguardo sull'asfalto della pista. Doveva decisamente impegnarsi, dal momento che si era classificata tredicesima. Era un circuito nuovo, era vero, ma ciò non la giustificava. Si era allenata duramente al simulatore e sapeva benissimo quanto fosse difficile come tracciato, soprattutto perché gli spazi erano limitati. Quindi non aveva assolutamente nessuna scusa in cui rifugiarsi, se non che aveva disputato delle qualifiche disastrose perché la sua mente era totalmente assorbita dalla discussione con Aidan.

Aidan.

Cercò di non ripensare ancora al ragazzo.

Arrivata al circuito lo aveva cercato, ma non aveva avuto il tempo di informarsi in quale postazione fosse. Di conseguenza non era riuscita a chiarirsi con lui. Era un peso che si stava trasportando da quella mattina, ma forse poteva farcela a posticipare ancora. Del resto, ogni bravo pilota riesce a focalizzarsi unicamente sulla gara, lasciando i propri problemi personali fuori dall'abitacolo.

Sospirò ancora, infilandosi nella sua monoposto.

Tra qualche istante sarebbe iniziato il giro di ricognizione.



Phoebe imprecò, sbattendo una mano sul volante in segno di stizza mentre percorreva il rettilineo. Erano già a metà gara e lei ancora faticava a trovare il ritmo. Non aveva mai condotto un gran premio così disastroso, si sentiva troppo distratta e incapace di recuperare il feeling con la vettura. E diventava terribilmente frustrante, soprattutto sapendo che il suo compagno di squadra era tra i primi dieci mentre lei si trovava in sedicesima posizione.

Come se non bastasse, stava battagliando con Antonio Giovinazzi. Il che le sembrava tutta una congiunzione astrale atta a prendersi gioco di lei. Dopo tutto il tempo passato a ridicolizzare il pilota italiano ora si ritrovava a combattere davvero con lui per la posizione. Incredibile. Una gara completamente da dimenticare.

Si avvicinò al pilota Alfa Romeo in vista della curva 12, spingendo a fondo sul pedale della sua Alpha Tauri. Lo sorpassò agilmente all'interno. "Esiste solo un alpha in città, mio caro" borbottò Phoebe ridacchiando e ritrovando un po' di adrenalina.

Ma Giovinazzi non si arrese, riuscendo a sfruttare la traiettoria migliore per uscire dalla curva e si affiancò a lei. Subito il sorrisetto scomparve nel volto di Phoebe, mentre lei controllava freneticamente lo specchietto e spingeva sull'acceleratore, per fargli capire che non aveva la minima intenzione di cedere.

Giovinazzi la spingeva però verso destra, cercando di prendere vantaggio. Il tutto sarà durato una frazione di secondi, ma per Phoebe durò un'intera vita. Letteralmente.

All'improvviso la gomma posteriore destra del pilota italiano infatti cedette, probabilmente a causa di una foratura, e lui non riuscì a mantenere il controllo della monoposto, che slittò verso l'Alpha Tauri di Phoebe. La ragazza avvertì come uno schiaffo tra le due scocche e poi entrambi iniziarono la folle decelerata verso le barriere esterne, ad alta velocità.

"Ma che cazzo..." esclamò Phoebe, cercando disperatamente di riprendere il controllo della vettura ma un attimo dopo era già contro le protezioni tec-pro.

D'istinto la ragazza si strinse le braccia al corpo, rannicchiandosi in posizione fetale per quanto le cinture di sicurezza le permettessero il movimento. L'impatto fu ancora più devastante di quello che immaginava. Si ritrovò sepolta sotto le barriere, confusa a causa del colpo ricevuto.

La testa vorticava fortissimo e non riusciva a tenere gli occhi aperti. Subito cercò di muovere braccia e gambe per vedere se c'era qualche frattura. Ma più che movimenti le sembrarono degli spasmi. Si sforzò di aprire gli occhi, ma non riusciva. La testa le si inclinò in avanti, in una posa del tutto innaturale, ma il casco era diventato improvvisamente troppo pesante da sostenere.

Provò a sganciarsi le cinture di sicurezza, ma la sua mano non raggiunse nemmeno il petto. Era priva di forze, totalmente abbandonata dentro la sua monoposto.

Mentre lottava per cercare di rimanere cosciente, avvertì un odore familiare. Le riportò immediatamente alla mente suo padre. Le loro corse in bicicletta in campagna quando le spighe di grano erano ancora verdi. E poi le risate insieme per qualche assurdo spettacolo comico in televisione. Oppure ancora quando aveva vinto la sua prima gara di kart e lui l'aveva sollevata sulle sue spalle, facendola sentire la più importante del mondo. Sì, quello era proprio l'odore che le ricordava suo padre. Ed era talmente vivido che poteva quasi vederlo, quasi pensare di poter essere ancora accanto a lui, ad osservarlo mentre sistemava la macchina ed era ricoperto dall'olio del motore. Era talmente reale che le sembrava anche di poterlo risentire tornare a casa dopo una giornata di lavoro durissimo, a causa degli straordinari che era costretto a fare per pagarle la carriera automobilistica. Era stanco e distrutto, ma appena apriva la porta indossava subito un magnifico sorriso per non farle pesare quei sacrifici che era costretto a fare per lei. Quell'odore era il vero emblema dell'amore.

Poi all'improvviso la sua mente si illuminò, riportandola alla realtà dei fatti.

Certo che conosceva bene quell'odore. Certo che le ricordava suo padre.

Era fumo.

Qualcosa aveva preso fuoco accanto a lei.

Non ci volle molto per comprendere che era la sua monoposto ad essere avvolta dalle fiamme. In pochi secondi iniziò anche a sentire il calore iniziare a circondarla. Phoebe non era del tutto cosciente, ma anche in quelle condizioni sapeva benissimo come si comportava il fuoco. Sicuramente la sua Alpha Tauri si era trasformata in una palla di fuoco incandescente. Non sarebbe durata a lungo come sofferenza. I fumi caldi e tossici sono molto più letali delle fiamme. Erano quelli che avevano ucciso suo padre, prima che il fuoco lo inghiottisse.

E poi, sepolta dalle barriere e totalmente inabile a fuggire, era completamente immersa in una vasca di fuoco. Tossì di colpo, mentre inalava il fumo denso e scuro. Non si sforzava nemmeno più di aprire gli occhi. Le sfuggì un debole sorrisetto sul volto.

Incredibile come la vita sia tremendamente ironica.

La Fenice che veniva divorata dalle fiamme, tradita dal suo stesso elemento.

Questa volta non ci sarebbe stata una rinascita. O magari sì, ma decisamente in un'altra forma.

Non sarebbe sopravvissuta ancora, il fuoco non ti perdona due volte. Aveva già giocato la sua carta. Era tutto finito.

Immaginò per qualche istante i giornali, sicuramente sarebbero usciti dei titoli sensazionali il giorno dopo.

Abbandonò totalmente il suo corpo, mentre sentiva le forze defluire velocemente dai suoi muscoli. Trasse un ultimo lungo respiro.

Mentre scivolava verso le tenebre non si preoccupò né di sé né della sua carriera. Aveva in mente solo il volto di Aidan, con la triste consapevolezza che non avrebbe mai più potuto dirgli quanto lo amava.

Ma forse alla fine l'avrebbe perdonata lo stesso.

Poi sprofondò nel buio. 






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Mi si stringe il cuore enormemente, ma è giunto anche questo momento.

Phoebe e Aidan mi hanno regalato (e spero abbiano regalato anche a voi) tante emozioni contrastanti, però siamo giunti alla fine di questo lungo viaggio.

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo.

Inutile dire che vi aspetto tutti per concludere al meglio questa storia che è parte di me, ma ormai soprattutto anche parte di voi!

Un abbraccio!

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