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Embers


Phoebe aprì la porta di casa, gettando la sua valigia nell'ingresso.

Raggiunse priva di forze il divano nel soggiorno, lasciandosi cadere con un sospiro. Voleva sprofondare tra le pieghe del suo sofà e non rialzarsi più, da quanto si sentiva stanca.

Il silenzio della casa l'accolse come un 'bentornata'. Era dall'incidente che abitava completamente sola, evitando ogni contatto con altre persone. Per qualche assurdo motivo, trovava la solitudine molto più rassicurante della compagnia di qualcuno. Anche perché rimanendo sola, l'unica persona che la poteva deludere era lei stessa. E Phoebe non si tradiva mai, non usciva nemmeno un millimetro dal tracciato che si era prefissata. Tutto calcolato, un'intera vita nei limiti.

La ragazza si alzò, vagando verso il modesto acquario a parete che aveva nel suo soggiorno. Vi si appoggiò, osservando per alcuni istanti il trecode rosso che nuotava tranquillamente nel fondale che suo padre aveva ricostruito con incredibile dovizia di particolari. Quell'acquario non invidiava di certo l''oceano, anzi, sembrava un pezzo di esso. E il trecode era solitario in quel bellissimo mondo creato per lui, non condivideva le sue nuotate con nessun altro pesce. Era solo, proprio come lei.

"Certo che la tua vita è davvero priva di ogni preoccupazione, Niki" gli mormorò, dando un piccolo colpetto sul vetro. Lo aveva chiamato come il suo pilota preferito, Niki Lauda. Lo ammirava per varie ragioni. Era anche lui sfrontato e arrogante come lei, ma perché entrambi sapevano bene quali fossero i loro obiettivi. Ma c'era un altro dettaglio che li accomunava e di cui Phoebe era enormemente fiera: anche Niki era sopravvissuto ad un incendio, era un figlio del fuoco come lei.

La ragazza aprì il frigorifero prendendo una Coca-Cola ghiacciata. Uscì quindi sulla terrazza del suo appartamento, bevendo direttamente dalla lattina. La caffeina entrò immediatamente in circolo nel suo sangue, dandole l'impressione di sentirsi più attiva. Aveva bisogno di rilassarsi un po' e di riprendersi. Quelle Finali Mondiali Ferrari l'avevano distrutta.

Si appoggiò alla ringhiera, continuando a sorseggiare con calma la Coca-Cola. La sua vita era sempre così frenetica che ogni tanto avvertiva la necessità di imporsi di rallentare. Ma era un lusso che si concedeva poche volte. Spostò la sua attenzione sul traffico serrato che riempiva le strade di Montecarlo. Dall'alto del suo appartamento al nono piano dello Houston Palace poteva ammirare il mare di Monaco, con qualche yacht che dondolava mollemente tra le onde. Quell'immagine così pacifica entrava in netto contrasto con il continuo rumore prodotto dalle auto che transitavano tutto il giorno in 7 Avenue Princesse Grace. Era la via più ricca di tutto il Principato e Phoebe non poteva di certo lamentarsi di avere la possibilità di alloggiare in uno degli appartamenti più lussuosi della zona. Persino Ayrton Senna, il vero re di Monaco, aveva alloggiato allo Houston Palace.

Phoebe adorava Montecarlo. Era estremamente glamour quanto oscura. Risplendeva di luce nello stesso modo in cui garantiva l'ombra a chi la cercasse. Lei non partecipava mai alle feste nei club esclusivi e ricercati, dove i paparazzi all'esterno erano più numerosi dei personaggi all'interno dei locali. Phoebe non concedeva nessuno spunto di gossip e mai lo avrebbe fatto, ragion per cui non era di certo la più spiata dai giornalisti. Ma lei aveva trascorso tutta la sua vita a cercare di raggiungere la massima Formula e non sopportava alcune sue colleghe che per giungere alla notorietà postavano nei social in continuazione foto ammiccanti e provocatorie, mentre si trovavano nelle spiagge di chissà quale località, oppure mentre fingevano di allenarsi. Phoebe odiava tutto ciò, non possedeva nemmeno un account social. Lei era diventata famosa solo per i meriti dimostrati in pista e sarebbe stato sempre e solo così. I soldi guadagnati dal suo lavoro e il fondo lasciatole da suo padre le bastavano per condurre una vita agiata. Ci teneva alla sua dignità e a non farsi mai svalutare in nessun modo, né a farsi apprezzare per doti diverse da quelle richieste in pista. Di conseguenza, non usciva mai, evitava di stringere amicizia e conduceva la sua vita nell'isolamento per prepararsi al meglio prima delle gare. Se c'era una cosa che aveva imparato in quegli anni era proprio il costante allenamento. Doveva essere dura perché gli eventi l'avevano forgiata così, e meno ancora poteva permettersi di abbassare la guardia. Anche solo per un istante. Soprattutto in quanto donna.

Di Montecarlo Phoebe ammirava quindi le spiagge deserte la mattina, quando ogni tanto si alzava presto e faceva un po' di jogging per tenersi in forma. Amava il rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli e lo sciabordio dell'acqua sulla battigia. Di mattina l'aria era pulita e frizzante. Phoebe non incontrava nessuno durante le sue corse in solitaria, perché la città intera a quell'ora ancora dormiva, recuperando i postumi della serata precedente trascorsa in festa. Ma soprattutto la ragazza adorava seguire dall'alto del suo appartamento la vita frenetica dei monegaschi, sentendosi un osservatore privilegiato e inosservato. Si isolava e studiava le attività altrui senza davvero prenderne coscienza, ma solo per staccare un po' dalla propria vita e non doverne rendere conto a nessuno.


Il cellulare iniziò a vibrare sul tavolo del soggiorno, dove lei lo aveva appoggiato. Phoebe si riscosse dai suoi pensieri, cercando di capire chi la contattasse in quel momento. Erano in pochi a possedere il suo numero, dato che era il suo manager Paul ad occuparsi degli impegni e delle interviste da declinare. Paul la riprendeva spesso riguardo al fatto che non si stesse costruendo un bel personaggio, fondamentale per vendersi bene, ma lei scuoteva sempre la testa. In Formula 1 di personaggi ce n'erano già abbastanza, lei voleva apparire come l'alternativa genuina. Paul le ricordava che invece era più proficuo a volte assumere una maschera e lei doveva cedere in alcuni momenti. Ma il manager conosceva la bene la sua inclinazione e anche per questo la contattava poco, pur lavorando molto per lei e la sua carriera. Phoebe non era brava ad esternare i suoi sentimenti, non lo era mai stata, ma verso Paul provava un sincero affetto ed una grande riconoscenza.

Dopo una breve interruzione, il suo cellulare aveva ricominciato a vibrare. La ragazza sbuffò, rientrando in soggiorno per vedere chi la stesse chiamando con così tanta insistenza. Afferrò il cellulare con impazienza e il cuore le salì in gola notando il nome di Mick comparire sul display. Rispose immediatamente.

"Phoebe! - esclamò lui con una nota di sollievo nella voce- temevo che avessi lanciato il tuo cellulare in mare" "No, ci sono- rispose lei vagamente seccata- ma lo sai che ieri non è stata una bella giornata per me, la gara è terminata miseramente. Ma forse non lo sai nemmeno, dato che quando sono tornata ai box mi hanno detto che te ne eri andato". Ci fu una pausa di silenzio all'altro capo del telefono e la ragazza comprese di aver colpito nel segno.

"Non è come credi -riprese Mick abbassando la voce- ho ricevuto una chiamata e sono dovuto rientrare velocemente in Svizzera. Le condizioni di mio padre sembravano essere peggiorate improvvisamente, ma appena sono arrivato a casa invece era tornato stabile. Mi dispiace di essermi allontanato senza avvertirti". Phoebe non poteva replicare. Era impossibile discutere su un argomento simile. Ricordava bene l'incidente accaduto a Michael Schumacher sugli sci e il dramma vissuto da Mick, testimone dell'accaduto. Era una ferita che nel cuore del biondo tedesco forse non si sarebbe mai chiusa e Phoebe non poteva riprenderlo per essere accorso da suo padre. Una parte di lei però ardeva, poiché Mick trovava sempre un'ottima scusa a tutto, sia per giustificare le sue mancanze, sia quando si dimenticava qualcosa di importante per Phoebe. Lei lo sapeva, si conoscevano da tanti anni, ma quanto poteva fare davvero affidamento su di lui?

"Potevi almeno inviarmi un messaggio dopo" rincarò la dose lei, tornando nel terrazzo. "Potevi anche tu inviarmi un messaggio" replicò giustamente Mick. Phoebe scosse la testa. Lui sapeva quanto fosse orgogliosa. Era stata abbandonata da Mick nel giro di metà gara, senza nessuna spiegazione. Di certo non sarebbe mai stata lei la prima a cercarlo.

"Un amico non si comporta così" sibilò, attutendo il peso delle sue stesse parole. Per lei Mick non era solo un amico, era da anni che desiderava che diventasse molto di più. Ma lui era sempre sfuggente con lei, per poi tornare più premuroso di prima e questo giochetto stava logorando la sua pazienza.

"Io ho messo da parte l'orgoglio e ti ho contattata, però" ribadì Mick, difendendo la sua posizione. "Bravo" rispose Phoebe, senza nessuna idea di cedere. Sentì l'altro sospirare "Va bene, Phoebe. Mi sono scusato. Ora mi racconti cosa è successo?". Lei scrollò le spalle "Niente di che. Un idiota mi ha buttata fuori pista. E poi mi hanno convocata in direzione gara perché ho litigato con un tipo con un estintore".

Mick scoppiò a ridere "Non ti smentisci mai! Riesci a combinare guai ovunque ti giri". Phoebe non ribatté alla provocazione "È stato un fallimento totale. Una pessima pubblicità. Dovevo vincere quella maledetta gara. L'Alfa Romeo ormai mi sta stretta" "Frena, frena, -scherzò Mick- sei solo da un anno in Formula 1 e ti sei ampiamente meritata quel posto, ma non iniziare a pretendere, altrimenti rischi di ritrovarti senza niente" "Se non fossi ambiziosa non mi troverei a questo punto" replicò Phoebe, che non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Mick era da anni in Formula 3 e forse quest'anno con la Prema si sarebbe aggiudicato il campionato. Lei non era così, lei doveva scalare le classifiche nel minor tempo possibile. Raggiungere i suoi obiettivi velocemente per soddisfare una sete implacabile.

"Punti alla Ferrari?" continuò Mick. "No, -mormorò Phoebe- non mi piace la loro politica. Hai visto come sta procedendo questa stagione, non è chiaro chi tra i due piloti sia la prima guida. Io invece voglio essere certa di avere il primato" "Tra te e Giovinazzi quindi sei tu che comandi?" chiese lui divertito. "Con tutto il rispetto per Antonio, ma direi proprio di sì. È un bravo ragazzo, ma fino a d'ora i punti in casa Alfa Romeo li ho portati solo io".

Sentì la risata di Mike e lo immaginò scuotere la testa. "Mi piace che sei sempre così diretta, Phoebe- disse lui- magari potremmo uscire a bere qualcosa quando passo per Montecarlo" "Va bene, ma paghi tu per sdebitarti di essere fuggito senza avvisare" "E tu dovresti pagare da bere a quel povero ragazzo a cui hai rovinato la vita" incalzò Mick.

"A chi ti riferisci?" chiese Phoebe, allarmata. "A quel commissario, è ovvio. Pensi che non lo abbiano licenziato dopo essersi scontrato con te davanti a tutte le televisioni?" "Non credo, ho detto chiaramente che non lo denuncerò e..." "Certo, ma davvero credi che non abbiano preso provvedimenti? Sicuramente tutte le telecamere erano puntate su di te, dal momento che eri la punta di diamante di quella gara, arrivando direttamente dalla Formula 1 come guest star. Quel ragazzo ha terminato la sua carriera, poco ma sicuro".


Dopo aver chiuso la chiamata, Phoebe si fermò a riflettere. Per prima cosa era certa che l'appuntamento a Monaco con Mick non sarebbe mai avvenuto. Già troppe volte avevano deciso di incontrarsi e non lo avevano mai rispettato. Succede sempre così, tanti ideali e poi gli impegni e la poca voglia prendono il sopravvento. Per questo motivo Phoebe preferiva non avere amici, trovava fastidioso promettersi di incontrarsi quando si era entrambi consapevoli che ciò non sarebbe mai accaduto. Ma Mick era l'eccezione. Phoebe avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui dal tanto che le piaceva. Ed era meglio che nessuno lo scoprisse.

Ma a parte tutto ciò, la tormentava l'ultimo argomento affrontato con il tedesco. Secondo lei il discorso del commissario antincendio era terminato prima ancora di cominciare, proprio lì in direzione gara. Com'era possibile che invece avessero deciso di punirlo lo stesso? Più ci pensava e più le dispiaceva per quell'Aidan.

Stranamente si ricordava ancora il suo nome, lei che rimuoveva nel giro di poche ore ciò che non era fondamentale. Probabilmente si sentiva in parte responsabile perché anche lei aveva avuto il suo ruolo nella vicenda. Concluse che avrebbe indagato sull'effettivo licenziamento o meno di quel ragazzo e in questo modo mise un po' a tacere la sua coscienza che dopo anni stava cominciando fastidiosamente a risvegliarsi.

Phoebe si sporse dalla ringhiera del terrazzo, annullandoi pensieri e ammirando il caldo tramonto che scendeva su Montecarlo

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