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Parte 9

Santi si chinò ad accarezzare la testa del meticcio che aveva adottato. Al contatto con le sue mani l'animale scodinzolò felice, poi tornò ad accucciarsi ai suoi piedi, sfiancato dal caldo. Santi si rilassò sulla poltrona di vimini, chiuse gli occhi per sentire il calore del sole sulla pelle. Provò a non pensare. Dal terrazzo della penthouse si scorgeva il polmone verde di New York, le cime dei grattacieli, ma Santi aveva distolto lo sguardo più di una volta. Accarezzando con gli occhi le folte cime di Central Park gli veniva in mente il pomeriggio trascorso con Dominic, il Conservatory Garden, le sue braccia che lo stringevano.

«Tutto a posto?», la voce brusca e roca di Salvatore lo risvegliò dalla sua fantasia.

«Certo, cosa vuoi che mi accada sul terrazzo?», rispose lui.

Salvatore scrollò le spalle e tornò nel salone da cui, in ogni caso, riusciva a tenerlo d'occhio. Santi si sentiva come un sorvegliato speciale e il peggio era che da cinque giorni il sorvegliante non aveva gli occhi e il sorriso di Dominic. Cinque giorni che non riusciva a vederlo, cinque giorni che aveva tentato di andare nella sua stanza a cercarlo, ma aveva sempre dovuto rinunciare a causa di Salvatore, di Vincent o di qualche altro guardaspalle che si metteva tra i piedi.

Dominic era come sparito nel nulla, inghiottito da un buco nero che non glielo voleva restituire. Una sorte, quella, che era già toccata ad altri personaggi passati da casa sua: guardaspalle, uomini d'affari eleganti, membri di qualche famiglia, gente che trascorreva ore intere nella penthouse, che, addirittura, veniva invitata nello studio di suo padre a condividere un buon bicchiere di whisky e un sigaro cubano, ma di cui poi lui non aveva più notizie. Non li rivedeva più, e se all'inizio faceva domande, lo sguardo gelido di suo padre e quello vagamente beffardo di Vincent gli suggerivano che non era lecito domandare e che dovunque si trovassero quelle persone avevano avuto ciò che meritavano. E se anche Dominic avesse avuto lo stesso destino? Sentì il cuore accelerare, il sudore freddo gelargli la pelle. No, Dominic no, pensò. Dominic non poteva aver fatto quella fine. La spiegazione doveva essere molto più semplice: a Dominic non importava niente di lui e aveva chiesto a suo padre di svolgere un'altra mansione che non fosse quella di badare al più piccolo della famiglia.

Bevve un sorso della spremuta che aveva lasciato evaporare sul tavolo, era ormai calda, ma lo aiutò a combattere la gola secca e la vertigine che lo aveva colpito al pensiero che suo padre si fosse liberato di Dominic definitivamente. Tornò a concentrarsi sul foglio davanti a sé, sui versi che aveva cominciato a scrivere cinque giorni prima, da quando aveva posato le sue labbra su quelle di Dominic, ma adesso non riusciva più ad andare avanti. Cosa si era messo in testa? Che un uomo come Dominic potesse davvero interessarsi a lui? Era pur sempre un guardaspalle di suo padre, un mafioso che covava dietro la facciata gentile un animo spietato. Cancellò con furia le parole sulla carta. Aveva ceduto alla prima persona che gli aveva dato ascolto dopo anni, dopo sua madre, e aveva dimenticato che tutti gli uomini che circondavano suo padre erano uguali: non ci si poteva fidare di loro.

«Non hai trovato la rima giusta?», domandò qualcuno. Prima ancora di sollevare la testa Santi ne riconobbe la voce.

Dominic era uscito sul terrazzo, le mani posate sul tavolino, la sua ombra ingombrante proiettata sui fogli, i capelli accarezzati dalla luce del sole di una bella mattina di giugno. Nonostante Santi avesse tentato di controllarsi, il sollievo di vederlo tutto intero e l'emozione di incrociare ancora i suoi occhi gli fecero battere il cuore. Avrebbe dovuto essere arrabbiato, e invece sentì un sorriso incresparsi sulle labbra. Il cane ai suoi piedi, al suono della voce di Dominic, si era alzato e gli gironzolava intorno.

«Dove eri finito?», gli domandò, mettendo via i fogli in un libro.

«Sono stato molto impegnato, questioni di lavoro».

Quella parola, lavoro, che gli era uscita tanto facilmente dalle labbra lo infuriò. «E dovevi sparire?»

Dominic si sporse verso di lui. «E non credi che sia meglio?»

Santi si alzò. Dominic lo stava scaricando, e lui non voleva subire quell'umiliazione. «Sì, forse è meglio», sibilò, avviandosi verso l'uscita.

Dominic lo trattenne per un braccio. «Ho paura che stiamo facendo una cazzata. Possiamo parlare da qualche parte?»

Santi lo scrutò, gli occhi di Dominic avevano di nuovo l'espressione dolce che gli aveva visto al parco e che l'aveva convinto, cinque giorni prima contro il suo buon senso, a raggiungerlo nella sua stanza. «Ho voglia di una passeggiata».

Dominic mollò la presa. «Al parco? Portiamo anche lui?», domandò, rivolgendo un'occhiata al cane.

«È troppo piccolo, non è abituato al guinzaglio. Andiamo noi due». Non aspettò la risposta. Sentì i passi di Dominic dietro di sé, vide lo sguardo di Salvatore per nulla soddisfatto quando oltrepassarono il salone, e fino a quando non varcarono la porta di casa ebbe paura che qualcuno li fermasse, che li separasse. Quando scesero in strada non riuscì a dire a Dominic di mantenersi tre passi indietro, non sapeva da quanto tempo non camminava con qualcuno al suo fianco che gli piacesse, che non lo trattasse come un oggetto.

Tornarono al Conservatory Garden, nel giardino all'italiana. Dominic era silenzioso, e sebbene cercasse di non darlo a vedere, Santi aveva notato il modo in cui si guardava attorno, sempre all'erta. Per la prima volta da quando aveva un guardaspalle, l'idea che qualcuno fosse lì per proteggerlo non lo fece sentire soffocato, ma al sicuro.

Sedettero su una panchina un po' defilata, non lontana dalla pergola ammantata di glicini.

«Devi aiutarmi a scegliere il nome del cane», Santi ruppe il silenzio intervallato dal canto degli uccelli e da un lontano chiacchiericcio di chi cercava, come loro, tranquillità in quell'angolo di Central Park.

«Potrei sparire di nuovo in questi giorni, se accadrà non voglio che ti allarmi».

Lui si irrigidì. «Che succede?» Si aspettava che l'altro lo liquidasse con una frase di circostanza.

«Ci sono problemi tra le famiglie, gravi. C'è qualcuno che vuole fregarvi e togliervi la fiducia dei clan e per farlo hanno tagliato male la droga che tuo padre vende nella zona sud».

A quelle parole Santi provò un senso di nausea. La sincerità gli faceva male esattamente come le bugie di cui suo padre lo aveva sempre circondato per tenerlo all'oscuro di ciò che accadeva, ma almeno non lo faceva sentire un idiota, manipolato, come, probabilmente, si era sentita sua madre quando aveva scoperto la verità. «Perché me lo dici?»

«Non voglio che ti preoccupi e non voglio che tu prenda la merda che hai preso l'altra notte».

«Non farmi la morale».

Dominic gli prese il volto tra le mani. «Mi preoccupo per te, più di quanto dovrei».

Santi avvicinò le labbra alle sue. Non aveva la scusa di essere ottenebrato dall'alcol, che l'altra sera aveva usato per trovare il coraggio di andare nella stanza di Dominic. Questa volta non aveva nessuna scusa, ma solo il bisogno di sentire il suo sapore, di abbandonarsi a una passione proibita e malsana.

«Santi...», sussurrò Dominic, anche lui in lotta con la propria coscienza. Baciare il rampollo del boss in pubblico, seppur in un luogo in quel momento appartato, era una follia. L'attrazione che sentiva per lui era una follia.

Santi avvertì il suo fiato caldo sulle labbra e poi la bocca di Dominic scontrarsi con la propria, in un bacio che lasciò presto la tenerezza per accendersi di passione. Non ricordava neanche l'ultimo ragazzo che aveva avuto, anzi lo ricordava e avrebbe preferito dimenticarlo: uno studente che era fuggito davanti al suo cognome dopo il quarto appuntamento. Dominic, invece, non sarebbe fuggito, non per quello almeno. Gli tornarono in mente tutte le parole che avrebbe voluto scrivere quella mattina nella sua poesia. Sorrise, ma quando Dominic si allontanò per riprendere fiato si accorse che l'altro era già fuggito dal mondo magico e romantico che lui aveva costruito per entrambi: un mondo dove non esisteva la sua famiglia, dove lui e Dominic avrebbero potuto passeggiare insieme a Central Park o sulla Fifth Avenue senza guardarsi le spalle, dove insieme avrebbero potuto leggere le poesie di Verlaine. «"Noi saremo"...», mormorò Santi, recitando i versi del poeta francese. Vide Dominic mordersi le labbra, ancora arrossate, come se fosse combattuto.

«"A dispetto di stolti e di cattivi"» , proseguì Dominic.

Santi sorrise, gli sfiorò ancora le labbra. «Continua...», lo incoraggiò a completare i versi, ma Dominic fece scivolare via le mani dal suo volto e la brezza calda che lo colpì sembrò a Santi fredda. La passeggiata, prima che sedessero al Conservatory Garden era durata a lungo, ma adesso sembrava essere finita in un soffio.

«A che pensi?», gli domandò.

Dominic si alzò. «Si fa tardi».

«A mio padre, vero?»

«Dovremmo andare», rispose l'altro, il volto impassibile, come quello che spesso aveva all'inizio della loro conoscenza.

Santi non poté fermare un fiotto di rabbia. «Devi andare al lavoro? A uccidere qualcuno per ordine di mio padre, magari?»

«Non essere ridicolo», Dominic alzò la voce, perdendo la pazienza. Si guardò attorno, temendo di aver attirato l'attenzione di qualcuno.

«Quante persone hai ucciso?»

«Meno di quelle che credi e solo per difesa». Si massaggiò la fronte con le dita. «Ci sarà una festa stasera a casa tua, verranno le famiglie con cui tuo padre è in affari, cercherà di tastare il terreno, di capire come assicurarsi il loro voto favorevole alla riunione. Non possiamo stare qui a farci i fatti nostri, lo capisci? È un gioco pericoloso».

«Io non c'entro nulla con queste cose».

«Tuo padre vuole che tu sia presente, per mostrare quanto sia unita la vostra famiglia».

A Santi scappò una risata. «La mia famiglia non è mai stata unita, non nel modo che conta».

«Non sono qui per ascoltare i tuoi drammi famigliari, Santi», disse Dominic con una voce dura, che lui non riconobbe. «La tua famiglia rischia molto, lo capisci? Se scoppia una faida rischi anche tu».

«Ti importa solo di mio padre, proprio come tutti gli altri che ti hanno preceduto».

Dominic fece un passo in avanti, un silenzio carico di parole non dette calò tra loro. Sarebbe bastato un solo gesto di Dominic per riportarli nell'atmosfera ovattata in cui si trovavano solo pochi attimi prima. Santi si era ripromesso di non guardare mai gli uomini che lavoravano per suo padre in modo diverso da quello che erano: uomini assetati di denaro nel migliore dei casi, di sangue nel peggiore. Ma con l'uomo che gli stava davanti i suoi propositi si erano sgretolati, e lui per la prima volta si era sentito compreso, si era sentito solo Santi, il ragazzo a cui piaceva Verlaine e scrivere poesie. Santi attese fiducioso. Un solo gesto, pensava. Una carezza, un'ombra di dolcezza negli occhi, un sorriso malizioso. Qualunque cosa pur di sapere che non si era illuso, che non si era aperto con la persona sbagliata.

«Andiamo», disse Dominic con aria imperturbabile, le mani dalle dita lunghe ed eleganti, che Santi adorava e che solo poco prima gli accarezzavano il viso, si erano rifugiate in tasca.

Lo vide prendere gli occhiali da sole nella tasca dei pantaloni, nel farlo aveva rivelato la pistola salda al suo posto, la prova che prima di tutto Dominic era un uomo d'onore. Si sentì morire e per non sostenere più l'immagine di un uomo che gli pareva tanto estraneo da quello che lo aveva stretto in quello stesso giardino, mentre lui gli parlava di sua madre, si voltò e cominciò a camminare. Tornava nella sua prigione di oro e di sangue.

Dominic, il suo carceriere, era a tre passi da lui.

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