Parte 8
Dominic richiuse la porta alle sue spalle. Salvatore lo aspettava fuori dalla sua stanza e alla luce del corridoio la sua espressione gli parve ancora più truce.
«Seguimi», gli disse.
Dominic annuì, scacciando via dalla testa e dalla bocca il sapore di Santi, i suoi occhi sperduti quando era entrato nella sua stanza, e quelli feriti e indignati quando lui lo aveva liquidato senza troppi complimenti. Meglio così. Meglio che tornasse a odiarlo e che non si facesse illusioni. Il senso di colpa per averlo ferito era intenso quanto quello di aver tradito Frank.
Salvatore attraversò il corridoio, non svoltò verso l'atrio che si immetteva nella sala da pranzo e l'ala della penthouse dove era collocato lo studio del boss. I sensi di Dominic si risvegliarono, e non solo quelli legati al suo desiderio sessuale. Salvatore lo stava guidando da qualche parte, e il suo istinto gli diceva che la destinazione non gli sarebbe piaciuta.
«Dove andiamo?»
Salvatore si voltò, gli occhi freddi. «Ora vedrai. Eseguo solo gli ordini».
Dominic lo seguì ancora, verso l'ala ovest. Dalle sue informazioni doveva esserci un magazzino in quell'enorme proprietà e cominciava a pensare che fossero diretti lì. Che don Carmelo avesse intenzione di procedere a un attacco armato all'incontro delle famiglie? Troppo rischioso e sconsiderato. Forse una vendetta privata contro i giovani del clan dei Calabresi che avevano attentato alla vita di suo figlio? Poteva essere, ma non si sarebbe aspettato da don Carmelo un attacco frontale che avrebbe attirato l'attenzione della polizia e che avrebbe scatenato una faida sanguinosa. Doveva dare atto a quell'uomo di essere ponderato. Tutto in nome degli interessi economici, ovviamente.
«Qui». Salvatore indicò un corridoio poco illuminato, poi spalancò una porta. Davanti a lui si aprì una stanza buia.
«Va' avanti tu», ordinò Salvatore.
Una goccia di sudore freddo scese lungo la schiena di Dominic. Non aveva una pistola, e Salvatore lo aveva così in antipatia che avrebbe potuto mettersi d'impegno tanto da scoprire la sua vera identità. Cazzo. Come arma di difesa avrebbe potuto usare solo il coltello nella tasca dei jeans. La luce si accese d'improvviso con un clic. Dominic strinse gli occhi, mise a fuoco una serie di bottiglie di vino conservate su scaffali di legno, armadietti di acciaio chiusi a chiave, e infine un divanetto su cui sedeva con sguardo severo don Carmelo. Accanto a lui, in piedi, Vincent lo guardava con aria torva, in preda a uno dei suoi attacchi di nervosismo che lo rendevano tanto inaffidabile.
Era sul punto di dire qualcosa, ma sentì la canna di una pistola, fredda, puntare contro il suo collo. Un solo colpo e sarebbe morto. Non avrebbe più avuto modo di pensare né a Frank né a Santi. Dove aveva sbagliato? I sentimenti che non era riuscito a reprimere per il figlio del boss lo avevano distratto e gli avevano fatto compiere un passo falso di cui ancora adesso non si rendeva conto. Dove, dove?, continuava a chiedersi febbrilmente, mentre gli occhi neri di don Carmelo erano piantati nei suoi a esprimere una condanna inesorabile.
«Dove ho sbagliato?», domandò. Tanto valeva saperlo prima di morire.
Vincent gli si avvicinò, rabbioso. «Diversi ragazzi sono morti, i drogati della zona sud che gestivi tu fino a qualche tempo fa».
«Morti come?»
«La droga è stata tagliata male, con delle schifezze, sono morti per questo. Ne parleranno tutti i giornali, avremo la polizia a controllare quella zona e sai per noi che significa?», Vincent gli afferrò il mento tra le mani, «interruzione degli affari. Niente guadagni».
«Io non c'entro niente. Non so di che parli», disse guardandolo negli occhi. Salvatore continuava a premere la canna della pistola contro la sua nuca, e lui era convinto che ne stesse provando un enorme piacere. Bastardo. Perlomeno non avevano scoperto la sua identità. «Che interesse avrei?»
«Soldi, qualcuno ti ha pagato per inquinare la droga, per metterci in cattiva luce con le altre famiglie, proprio poco prima del voto. La nostra reputazione è a rischio», replicò Vincent.
«Sono stato alle costole di Santi in questi giorni per proteggerlo, come ho protetto te quella notte».
Don Carmelo si alzò, gli si avvicinò. «Perquisiscilo», ordinò a suo figlio. Quello eseguì, trovò come era prevedibile il coltello.
Dominic sostenne lo sguardo del boss, la ruga orizzontale che gli solcava la fronte gli conferiva un'aria severa e carismatica. L'impressione era che dietro quell'aspetto pacato vi fosse una spietatezza inesorabile. Santi non aveva preso niente da lui e tra i poliziotti si vociferava che forse non fosse neanche suo figlio e che la morte di sua madre non fosse altro che il risultato di un delitto passionale. Decise di giocare con le stesse armi e regole che la famiglia usava: il rispetto, l'onore, il senso di appartenenza.
«Posso giurarvi che non sono coinvolto in questa carognata, ma non dirò altro per convincervi. Se non credete alla mia parola non ha senso continuare. Uccidetemi. Voi siete l'unica famiglia che mi ha dato un'occasione quando ne avevo bisogno e l'unica che voglio servire».
Seguì un silenzio interminabile. Il cuore gli martellava nel petto e mise a tacere l'istinto che lo avrebbe fatto girare e prendere a pugni Salvatore. Un passo in avanti del boss rimbombò nella cantina umida. Dominic lo vide estrarre una pistola dalla tasca, puntargliela addosso e poi spingergliela in bocca. Rimase immobile, non disse nulla, continuò a sostenere lo sguardo gelido di Don Carmelo, vi vide negli occhi un guizzo di soddisfazione. Prima ancora che allontanasse l'arma sapeva: era salvo. Aveva imparato la sua lingua ed era riuscito a convincerlo.
«Qualcuno vuole distruggere la nostra famiglia e posso fidarmi di poche persone, tu sei tra queste. Hai le palle». Il boss fece un cenno al guardaspalle, e quello ritirò la pistola.
Dominic si voltò a guardarlo, con soddisfazione. Si massaggiò il collo.
Don Carmelo riprese: «Gli ultimi avvenimenti mettono a rischio il voto delle famiglie, è una scusa perfetta per accusarci di non saper gestire il mercato e credere alla storia della droga tagliata male messa in giro dai Calabresi. In più la polizia è alle costole. Dobbiamo tenere gli occhi aperti. Ho bisogno di te, Dominic. Per qualche giorno qualcun altro si occuperà della difesa di Santi. Tu mi servi sul campo».
«Cosa volete che faccia?»
«Voglio che controlli le zone di spaccio e che tieni d'occhio le leve più giovani delle famiglie rivali, sono loro che mirano al potere».
«Come volete».
Don Carmelo gli fece un cenno con la mano, poteva andare. Quando Dominic aprì la porta, si sentì una mano solida sulla spalla. Riconobbe la costosa acqua di colonia del boss.
«Non dimenticare questo», gli porse il coltello, «e ricordati di non lasciare mai la pistola».
Dominic prese il coltello, annuì. Il battito era tornato regolare. Don Carmelo non gli faceva paura, non tanta da rinunciare alla sua missione. Sarebbe morto pur di sventare i suoi traffici e liberare la gente che lui soggiogava. Era il suo sogno, suo e di Frank. Doveva dimenticare il resto, doveva dimenticare il profumo della pelle di Santi e i suoi occhi sperduti.
Quella notte lo aveva cambiato, in un modo o nell'altro.
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