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Parte 7

Dominic avvicinò la sigaretta alle labbra. Un'altra voluta di fumo lasciò la sua bocca, rimanendo sospesa nell'aria umida della sera, poi si dissolse portandosi via l'odore dolciastro di tabacco. Seduto a terra, accanto alla vetrata che dava sul terrazzo, le ginocchia piegate vicino al petto, Dominic osservava i profili scuri delle piante e le luci dei grattacieli che illuminavano il buio della notte.

La stanza che gli aveva fornito il boss non era male: la moquette non era pregiata come il pavimento di granito del resto della casa, ma era morbida, di una tonalità in carta da zucchero che si adattava al resto del mobilio color crema e alle tende celesti.

Lo squillo del telefono irruppe nel silenzio di quell'ala della penthouse, quella riservata alla servitù e ai guardaspalle più fidati. Dominic allontanò la sigaretta per metà consumata e l'appoggiò sul posacenere che aveva sistemato a terra. Il numero da cui proveniva la telefonata era sconosciuto, e lui sapeva che voleva dire una cosa sola. Rispose, aspettando che fosse l'altro a parlare per primo. Ragioni di sicurezza. Sapeva che la stanza non era sorvegliata da microfoni e telecamere: aveva controllato subito, non appena ci aveva messo piede. Si alzò e, dopo aver aperto la porta, si assicurò che nessuno fosse dietro di essa a origliare. Il corridoio era deserto. Finalmente qualcuno dall'altro lato della linea parlò.

«Tutto bene? Puoi parlare?», gli domandò Frank.

Dominic richiuse la porta, si appoggiò ad essa con la schiena. «Posso. Perché hai chiamato? Novità?»

Frank rispose infastidito: «Avresti dovuto chiamare tu, non lo ricordi?»

«Lo ricordo, ma sono stato impegnato, e non ci sono grosse novità».

«Sei freddo, è successo qualcosa?»

Dominic si morse le labbra, avrebbe dovuto mentire, preparare una scusa, ma era stanco di farlo, e con Frank non avrebbe voluto. «Non sono freddo, ti sbagli», mentì comunque. Bastava davvero così poco a Frank per capirlo? Per accorgersi che qualcosa lo turbava?

«So che è difficile, anche tu mi manchi...»

«Frank», lo interruppe Dominic, «non posso più parlare ora, il voto delle famiglie non riserverà sorprese e io sto ancora lavorando per quella cosa. Ti richiamo io».

Odiò il tono di voce duro che aveva usato, ma in quel momento non era in vena di scambiarsi carinerie al telefono. Tornò a sedersi a terra, accanto alla vetrata. Sentì l'aria che gonfiava le tende sul suo viso, umida e fresca. Scacciò via l'immagine di Santi, come gli era parso vulnerabile seduto sul bordo della fontana, circondato dai glicini, bello tanto quanto un'Ophelia morente dipinta da Millais. Era bello come un angelo, e se Dominic non avesse saputo come stavano le cose non avrebbe mai creduto, guardandolo, che era stato generato dalla feccia che lo circondava. Riprese la sigaretta, ormai quasi del tutto consumata. Tentò di allontanare il ricordo del suo profumo, dei suoi occhi profondi. Era maledettamente sbagliato, e, soprattutto, lui aveva una storia con Frank. Frank gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva sul suo lavoro, lo aveva aiutato quando era un aspirante agente, rimasto da solo con sua madre e con un padre che non aveva mai conosciuto. Lo amava, giusto?

Tentò di richiamare alla mente il suo volto, le lentiggini che affioravano sulla sua pelle chiara, il modo rude in cui lo prendeva, il corpo massiccio, ma tutto quello che gli veniva in mente era il corpo esile di Santi che aveva stretto tra le braccia, il suo profumo di mare e di libri, la sua pelle un po' pallida di chi trascorreva troppo tempo in biblioteca. Allungò una mano sul suo membro, già gonfio, ma il tocco di un pugno sulla porta lo fece sussultare.

Si ricompose, aspirò le ultime boccate di fumo e poi lasciò definitivamente andare la sigaretta nel posacenere. Impugnò la pistola, che era sempre pronta sul comodino, e socchiuse la porta. Gli occhi blu di Santi sbucarono nello spazio lasciato aperto. Dominic si rilassò. «È successo qualcosa?»

«Posso entrare?»

Una pessima idea, pensò lui, ma chi era per trasgredire al volere di uno dei rampolli del boss? Spalancò la porta e lo lasciò entrare. Santi fece due passi avanti nella stanza semibuia.

«Non riuscivo a dormire. Puoi metterla via?», disse Santi, lo sguardo sulla pistola.

Dominic la posò sul comodino, ma lo sguardo dell'altro ancora fisso sull'arma gli consigliò di riporla nel cassetto. «Non ne hai mai vista una?», domandò duro.

«Più di quante avrei voluto. Se ti do fastidio, me ne vado», rispose Santi in un sussurro, in una voce strascicata che lui quasi non riconobbe.

«Aspetta», Dominic lo prese per un braccio, avvicinandoselo. Santi non odorava di erba e di fiori e neanche del suo profumo di mare come quel pomeriggio. «Hai bevuto?»

«Solo un goccio».

«Perché?»

Un sorriso ironico si dipinse sul suo viso. «Per dimenticare».

A Dominic si strinse il cuore. Non sarebbe dovuto succedere. Santi doveva essere solo un numero, una fonte di informazioni, un tassello in più che lo avrebbe portato a scoprire dove avrebbe attraccato il prossimo carico di droga della famiglia. E, invece, proprio come al parco, proprio come poco prima, si sentiva travolto da sentimenti che non aveva mai provato, un istinto di protezione, un senso di tenerezza e un bisogno fisico di stringere a sé quel ragazzo, di far crollare le sue difese. «Saresti potuto venire da me a parlarne».

Santi si divincolò, il sorriso si trasformò in una risata. «È questo che volevo dimenticare, l'unica persona che assomiglia a un amico è un guardaspalle che uccide la gente per mestiere. Quanto è patetico questo?»

«La soluzione è farti del male bevendo o peggio? Cazzo, Santi...» Gli prese il volto tra le mani, nella penombra vide lo scintillio dei suoi occhi blu, velati di lacrime. «Anche io ho bisogno di parlare, cosa credi?»

Santi posò la fronte sulla sua. «Parliamo ancora di quel paesino in Sicilia, quello delle nostre madri. A mio padre non è mai piaciuto, non me ne parla mai... non mi parla mai della mamma. A lui piace la città dei suoi bisnonni, Genova. Credo che ci tornerebbe di corsa se gli affari non lo trattenessero qui».

«E tu lo seguiresti?»

«Il mio parere non ha mai contato niente». Santi fece per allontanarsi, ma traballò al primo passo.

Dominic lo afferrò, lo strinse a sé, sentendo il suo corpo esile, il suo calore, proprio come al parco. «Hai solo bevuto, vero? Non hai preso altre schifezze?»

«Solo alcol, questa volta».

Dominic sospirò. Nel dossier non c'era questo, c'era solo scritto che Santi come tutti i giovani andava alle feste e si divertiva con tutto quello che poteva implicare, e invece Dominic si trovava tra le braccia un'anima troppo pulita per quel mondo, che tentava di sporcarsi usando alcol e droga per diventare insensibile al dolore. Doveva essere straziante amare il proprio padre, perché Santi lo amava, e disprezzare tutto ciò che era, dargli la colpa della morte della propria madre.

«Vieni qui». Dominic lo condusse sul letto, lo aiutò a sdraiarsi. «Parliamo della Sicilia».

Santi posò la testa sul suo petto. «Domani mattina farai finta che questo non è mai accaduto?»

«Non posso pensare a domani, adesso». Le sue mani istintivamente corsero lungo la schiena del giovane, si infilarono sotto la maglia, toccarono la sua pelle calda. «Vuoi che smetta?» Una parte di sé sperava che Santi gli dicesse che sì, voleva che smettesse subito, che era inappropriato e che domani stesso lo avrebbe detto a suo padre, ma quello scosse piano la testa, le labbra vermiglie e invitanti nella penombra. «Continua», mormorò.

Il vento accarezzava i loro corpi, alimentando il calore di un incendio che si stava propagando lentamente, ma che una volta scoppiato sarebbe stato inestinguibile.

«Non sono mai andato con nessuno al parco, prima di questo pomeriggio. Una volta ho seminato Salvatore pur di togliermelo dai piedi», disse Santi, la sua mano si era posata sul suo petto, la voce animata da una risata leggera, «è il mio posto, solo mio».

«Sei ubriaco». Dominic affondò le labbra tra i suoi capelli, inspirandone il profumo. Non voleva chiedersi cosa significasse l'ultima confidenza né confessare a sé stesso che l'ondata di tenerezza per le parole di Santi si accompagnava al desiderio di marchiare tutto il suo corpo con le labbra. Il sangue correva nelle sue vene, e sembrava tutto concentrarsi verso il basso. Quando la mano di Santi scese verso l'orlo della sua maglietta e si insinuò sotto la stoffa, trattenne il fiato. Chiuse gli occhi, abbassò la testa, tastò con il naso il volto di Santi, fino a quando le loro labbra non furono che a un soffio di distanza. Santi potrà tornarmi utile, si sarebbe detto solo pochi giorni prima, per giustificare la follia che stava commettendo, ma in quel momento non trovò neppure la forza di raccontarsi quella bugia. Sfiorò le labbra di Santi con le proprie, e il giovane le schiuse in un istante, aprendosi come una corolla di fiori al sole, come se non aspettasse altro. Dominic si sdraiò sopra di lui, facendogli sentire il peso del suo corpo, lo sentì gemere nella sua bocca, mentre le loro lingue si esploravano. Percepì il sapore dell'alcol e poi quello autentico del giovane.

La tenerezza lasciò presto il posto alla passione, le mani di Santi si erano infilate nei suoi capelli, e Dominic stava trattenendo le proprie dall'avventurarsi in luoghi proibiti. Sentiva la sua erezione crescere e quella del giovane sotto di sé fare lo stesso.

Un rumore sordo si intromise con prepotenza tra i loro sospiri. Dominic si allontanò, posò un dito sulle labbra di Santi, che lo guardava con gli occhi grandi, le labbra rese turgide dai suoi baci.

«Chi è?», chiese Dominic. Udì i cuori di entrambi martellare nel petto.

La voce di Salvatore non poteva essere più sgradevole: «Dom, apri».

Dominic si alzò, maledisse mentalmente quell'energumeno e la sua erezione. Fece segno a Santi di alzarsi e di mettersi accanto alla porta. Poi si affacciò dalla stessa, finse un'aria assonnata. «Cosa succede?»

Salvatore lo squadrò con la solita aria tra il sospetto e il risentimento. «È un'emergenza, il boss richiede la tua presenza».

«Mi metto qualcosa di meglio addosso e arrivo».

«Ti aspetto di là», replicò il guardaspalle, allungando lo sguardo verso la penombra della stanza.

Dominic chiuse la porta. L'arrivo di Salvatore, per quanto odiasse quell'uomo, era stato provvidenziale, stava per fare un'enorme cazzata. A discapito del suo lavoro, a discapito di Frank. «Aspetta una decina di minuti, assicurati che non ci sia nessuno nel corridoio e poi tornatene a letto», disse laconico a Santi. Lo vide stringere le labbra, e si voltò per cambiarsi la maglietta.

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