Parte 10
Un leggero vocio giungeva dalla lontana sala da pranzo, segno che i primi invitati erano già arrivati. Santi sedeva sul letto, accanto ai vestiti eleganti che avrebbe dovuto indossare. Aveva scelto un pantalone nero e una camicia azzurra che si accordasse e facesse risaltare il colore dei suoi occhi. Suo padre non gliel'aveva mai detto apertamente, ma il suo ruolo in questi avvenimenti era quello di un bel soprammobile, muto, a eccezione delle solite frasi di cortesia. Splendente, ammiccante abbastanza per far credere agli uomini e alle donne che lo trovavano attraente che, se ce ne fosse stato il bisogno, avrebbero persino potuto godere del corpo del figlio del boss. Non che qualcuno avesse la faccia tosta di provarci con lui davanti a suo padre, ma quando quello voltava le spalle, Santi aveva dovuto sopportare più di uno sguardo invadente, da cui fuggiva rifugiandosi vicino a suo padre o a suo fratello.
Indossò la camicia e poi si avvicinò allo specchio. Su un'anta il volto di sua madre lo fissava attraverso una foto. Santi osservò il suo sguardo dolce e fu come riflettersi in uno specchio. Chissà se il ruolo che adesso spettava a lui era stato ricoperto da sua madre quando era in vita. Chissà se era lei a catalizzare gli sguardi famelici degli uomini che circondavano suo padre. Scacciò via quei pensieri. Suo padre era un uomo d'affari spietato, che infrangeva le leggi dal momento in cui metteva i piedi fuori dal letto fino a quando tornava a infilarcisi dentro, ma non avrebbe mai permesso che qualcuno toccasse sua moglie.
La mamma gli aveva detto una volta che non tutti gli uomini che lavoravano per le famiglie avevano potuto scegliere quella strada fatta di sangue e violenza, e che bisognava giudicarli dalla loro volontà di redimersi. Santi avrebbe voluto che ad abbandonare quella vita fossero Vincent e Dominic. Su suo padre non nutriva più alcuna speranza, ci era troppo dentro e sarebbe morto pur di non infrangere il suo contorto concetto di onore.
Abbottonò la camicia e spruzzò sul collo una nuvola di profumo, una costosa fragranza che sapeva di mare, poi lo sguardo cadde sull'ultimo cassetto della scrivania dove aveva nascosto la dose di droga che usava per le emergenze: quando si sentiva troppo solo, quando suo fratello gli mancava troppo, o, ultimamente, quando si era reso conto di provare qualcosa per un guardaspalle. Decise di non prendere niente. Questa volta alla festa ci sarebbe stato anche Dominic, e la sua presenza gli avrebbe permesso di respirare nella sala addobbata a festa, dove i camerieri del catering, uomini opportunamente scelti per la loro riservatezza, camminavano avanti e indietro per soddisfare le voglie degli invitati, e dove si parlava di soldi, corruzione e vendetta come se fossero i più naturali argomenti.
Santi uscì dalla stanza. Quella di Vincent era a pochi passi di distanza. Era più grande e più riccamente arredata, perché nella testa di Vincent il fratello maggiore meritava di più di quello più piccolo. Un senso di nostalgia gli strinse il cuore quando ricordò le loro litigate da bambini per ottenere l'ultimo pezzo di cioccolata o per decidere quali cartoni animati guardare in televisione. Erano sempre stati rivali, ma si erano amati. Ultimamente, invece, da quando Vincent era entrato sempre di più nella gestione degli affari di famiglia, lo sentiva distante, risucchiato in un mondo a cui lui non sarebbe mai davvero appartenuto. La porta era chiusa. Bussò.
«Avanti», rispose lui.
Santi aprì la porta. Vincent era già vestito, inguainato in un classico completo elegante che faceva risaltare il suo fisico scolpito, seppure un pochino tarchiato, tanto simile a quello del loro padre.
«Ti sta molto bene», commentò Santi.
Vincent sorrise soddisfatto. «L'ho fatto fare su misura da una sartoria italiana. Le famiglie devono capirlo subito chi comanda».
«E lo capiscono da questo? Pensavo fossero le pistole».
«Cerchiamo di non usare le pistole quando non è necessario, ma tu non hai mai voluto capire veramente come funziona».
Santi si morse la lingua. Non era venuto per litigare né per ricordargli che aveva capito come funzionava il giorno in cui sua madre era morta e quello in cui aveva letto sui giornali delle attività della famiglia, dopo l'ennesima perquisizione della polizia. Invece, gli si avvicinò. Il nodo della cravatta non era ben fatto. Santi allungò le mani per sistemarglielo.
«Non l'hai mai saputo fare», commentò, «ti ricordi quando papà ce lo insegnava?»
«A te riusciva sempre al primo colpo», disse Vincent, ma il tono non era quello bonario che Santi avrebbe desiderato.
«Devi tirare più qui, lo diceva anche la mamma. Tu sai fare altre cose, mi ricordo di quando riuscivi a capire i problemi dell'auto di papà prima dei meccanici. Lo sapresti ancora fare?», domandò, ma Vincent gli bloccò le mani.
«Non è il momento per rievocare i ricordi di infanzia e, soprattutto, non ho voglia di sentire un'altra predica su quello che potrei fare o non fare. Non sei la mamma, Santi».
Lui allontanò le mani, quelle parole erano state come un pugno allo stomaco. Qualsiasi accenno di tenerezza che aveva creduto di vedere negli occhi di suo fratello era sparito, sostituito dalla freddezza che riservava agli uomini d'affari con cui doveva trattare ogni giorno. Per Vincent lui era un estraneo così come, forse, lo era diventata la mamma nei suoi ricordi. Né lei né Santi corrispondevano per Vincent al modello dell'uomo fedele ai valori della famiglia. Non ebbe la forza di dire altro, ancora una volta schiacciato dal peso di essere diverso, ed era ironico che i suoi gusti sessuali non contassero, ma che la diversità riguardasse il suo essere allergico al malaffare. Era un corpo estraneo nella sua stessa famiglia e il sogno di poter far redimere suo fratello sarebbe rimasto tale. Eppure non riusciva a smettere di sperare ed era questo in realtà a ucciderlo: la sua speranza che non si trasformava mai in rassegnazione e che, infine, era puntualmente frustrata.
Aspettò che suo fratello si allontanasse e poi si decise a entrare anche lui nella sala da pranzo. Si domandò quante armi avessero addosso quegli uomini apparentemente eleganti.
Dominic indossava una camicia bianca che faceva risaltare la sua pelle olivastra, le iridi color cioccolato e le braccia muscolose. Gli parve di sentirsele ancora addosso come la notte in cui si erano scambiati il primo bacio o come poche ore prima, quando avevano passeggiato per il parco, ma quando incrociò i suoi occhi incontrò un muro gelido che gli strinse lo stomaco. Dominic parlava con suo padre e sembrava in tutto e per tutto un guardaspalle come gli altri, come Salvatore, e come tutti i leccapiedi che lo consideravano un problema, un rampollo difettoso, uscito male, troppo preso dalle poesie e dall'arte.
Afferrò al volo un calice di champagne dal vassoio di un cameriere e lo trangugiò alla ricerca dell'alcol che era solito annebbiargli la mente. Vide Dominic allontanarsi da suo padre con il volto scuro, avrebbe voluto corrergli dietro, invece fu intrappolato dalla rete di convenevoli che era costretto a scambiarsi con gli altri invitati. Riconobbe i Calabresi, il gruppo dei sudamericani, i Colombiani e altre facce torve che avrebbe preferito non incrociare mai più.
Si diresse verso suo padre. Don Carmelo adesso era rimasto solo a percorre con gli occhi la stanza, forse alla ricerca di chi poteva assicurargli un voto favorevole nella riunione delle famiglie.
«Papà», cominciò Santi.
«Sorridi, sembra che tu sia a un funerale, per una sera puoi stare lontano dalle tue amate carte», commentò l'uomo con la durezza a cui Santi era abituato.
«Posso sapere che succede? Se devo preoccuparmi?»
Don Carmelo lo guardò, una ruga di stupore gli attraversava la fronte, ma poi il viso si rilassò subito. «Da quando ti interessa? In ogni caso stai tranquillo, non immagini quante ne abbiamo già passate eppure siamo qui. Tu sei solo un civile e stasera devi solo sorridere».
«Sono il figlio idiota», sibilò lui.
«Per favore, non è il momento».
Vincent si avvicinò a loro. «Papà, ti cerca don Gino».
L'uomo annuì e si spostò nell'altra ala della sala. Santi si portò ancora il bicchiere alla bocca. Si allontanò da suo fratello, per evitare il sarcastico commento che, ne era certo, sarebbe arrivato. Dominic era da solo, accanto al camino, e Santi lo raggiunse, ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché Dominic lo precedette:
«Non dovresti stare vicino a me, sono solo un guardaspalle».
«Non mi importa», rispose lui, tentando di ignorare la freddezza nelle sue parole. Il suo corpo era rigido, lo sguardo fisso sugli invitati. Santi quasi non lo riconosceva.
«Perché non ce ne andiamo sul terrazzo? Perché non ce ne andiamo e basta?», disse, e mentre lo faceva si prefigurò loro due in fuga, magari a prendere un panino in un fast-food come avevano già fatto una volta.
«Questo non è un gioco. Non starmi tra i piedi, per favore», sibilò l'altro senza neanche guardarlo. Cosa si aspettava dopo tutto? Sei spietato come gli altri, avrebbe voluto urlargli, ma si limitò a stringere il calice tra le mani, a imprimere le sue impronte sul vetro. Si defilò prima che la voglia di piangere prendesse il sopravvento. Sulla soglia della sala un uomo lo fermò, posando una mano sulla sua spalla. Era una mano forte, e la presa gli diede istintivamente fastidio. Il capo del clan dei Colombiani gli stava davanti. Era un uomo che sfiorava la quarantina, di bell'aspetto, ma nei cui occhi neri aleggiava una freddezza che riusciva a mettergli i brividi. Faceva impazzire le donne che miravano al suo fascino latino e al suo patrimonio, ma lui non aveva ancora scelto la fortunata, in parte perché i suoi gusti erano altri, in parte perché temeva che un erede portasse problemi.
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