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🍃Capitolo sei𒀭

Era una sera tiepida, forse era primavera, ma Erdie non ne era sicura.
Aveva letteralmente perso la cognizione del tempo e non riusciva a percepire bene il calore o il gelo. Aveva però notato che quasi nessuno nelle case usava ormai coperte di lana, quindi poteva essere addirittura estate.

Quel giorno si era cibata di una donna il cui sangue le era rimasto impresso per la sua dolcezza: era raro trovare umani così deliziosi. Si era fermata anche ad osservare uno strano oggetto fuori da quella casa. Si trattava di un carro con ruote a raggi, come le avrebbe poi spiegato poi il suo amico.

In Egitto le cose venivano trascinate sopra slittini* che si logoravano in fretta. Si ricredette appena su quel popolo, attribuendo loro un minimo di genialità.

Erdie aprì le porte della sua stanza e trovò Ur già nella sua stanza intento a mescolare la terracotta per creare tavolette su cui si sarebbero esercitati nella scrittura.

«Oggi mi insegnerai i vostri simboli? » domandò Erdie in lingua sumera e facendo sobbalzare Urnamthe che non si era accorto di lei. Era contenta di essere riuscita a comporre bene la frase anche se l'accento era ancora duro, retaggio delle espressioni egizie.

«In soli due mesi hai fatto davvero tanta strada» si complimentò lui.
«Sono un vampiro, non un essere umano. Imparo molto più in fretta di voi» rispose superficiale, accarezzando il muso di Senaret*, la sua bellissima puledra. Era ormai cresciuta con i ritmi notturni della sua padrona. Un servo si occupava di lei durante il giorno, pulendo l'ala della stanza a lei dedicata, mentre la vampira la portava a spasso di notte fra la nebbia che fuoriusciva dal fiume Eufrate.

Ur le sorrise, abbassando lo sguardo per ultimare il suo lavoro. Contro voglia, Erdie, dovette ammettere che aveva istaurato un legame di amicizia con l'umano tanto che, soprappensiero, si abbandonava spesso nel racconto dei lunghi episodi della sua vita. Con lui riusciva ad aprirsi e a riflettere su molti dettagli a cui non aveva mai dato peso.

Pochi giorni prima gli aveva raccontato di Krio, la schiava che la aiutava in Egitto, quando ancora era umana. No, non le aveva mai dato davvero importanza, eppure era stata colei che le era rimasta accanto fino alla fine.
«Le hanno dato onori nella morte?» le aveva domandato a quel punto, a bruciapelo. Erdie si era ritrovata ammutolita, incapace di rispondere, perché non si era mai preoccupata di questo.
Era rimasta in vergognoso silenzio, osservando lo scoppiettio quasi meccanico della torcia.
«Per come me l'hai descritta, visto la devozione che nutriva nei tuoi confronti, neanche lei si sarà posta questo problema. Forse morirti accanto le è bastato» aveva provato a liquidare il problema lui.
Erdie aveva semplicemente sospirato.

Era trascorso ormai così tanto tempo che non avrebbe potuto più rimediare a nulla in alcun modo. Quei tempi esistevano solo nei suoi ricordi e in quelli delle pietre che brillavano nel deserto.

«Quante persone hai ucciso questa notte? » domandò Ur, distogliendola dai suoi pensieri, intento ad appiattire l'impasto delle tavolette.

«Neanche una. Ci pensate da soli a sterminarvi»
«Non posso darti torto» si alzò e poggiò l'argilla contenuta negli stampi rettangoli sull'altare.
La vampira rimase stupita dalla risposta del suo amico. Sorrise e si sedette su uno dei troni che le avevano costruito e iniziò a pettinarsi i capelli che con il vento le si erano scompigliati.

«Sai Ur, sei diverso dagli altri umani o semplicemente dagli altri custodi. Sei estremamente più profondo».
L'uomo arrossì appena. «Io sono qui solo per amore della sapienza anche se ho dovuto adattarmi molto.
«Per essere accettati come custode devi portare in sacrificio il labbro inferiore di una persona che hai uccido quando si è ancora bambini. Questo è il simbolo del giuramento di silenzio fatto da tutti noi custodi».

«Ma tu non sei un assassino» disse lei sicura di ciò che leggeva negli occhi scuri del giovane «Come hai fatto ad accedere a questa carica? »
«Ho semplicemente mutilato un uomo appena morto. Assistevo spesso mio padre nel suo ruolo di medico. E per me è già stato uno shock sufficiente. Per via di questo mio disgusto verso l'anatomia, mio padre stava perdendo la voglia di insegnarmi il suo mestiere» raccontò, rendendo palese la sua vergogna.

«Non sei fatto per questo posto, Ur» concluse lei.
Lui scosse la testa in segno di disapprovazione. «Non hai idea della sapienza celata qui dentro. I giganti hanno portato con loro scritti antichi di astronomia, scienze, matematica. Insomma un sapere praticamente sconfinato! Studio da quando avevo dieci anni e non ho ancora letto tutte quelle strane stoffe che i giganti hanno portato con loro e certamente non mi basterà il resto della vita per farlo» concluse con rammarico.

«Quanti anni hai? » gli domandò. Si accorse in quel momento che di lui non conosceva quasi nulla.
«Vent'otto inverni, credo» rispose secco con una nota aspra nella voce. Ormai si stava avvicinando all'anzianità.
«Non mi racconti mai nulla della tua vita» proseguì lei dolcemente appollaiandosi sensualmente sul trono, con una gamba piegata e l'altra al petto.

«Non ho molto da dire in realtà. Ho passato quasi tutta la mia vita qui dentro, studiando e prendendomi cura di quegli esseri enormi».
«Hai praticamente sprecato la tua vita» lo rimproverò lei «Non sei immortale. A cosa ti serve sapere tutto se quel tutto non ti serve? Ieri mi hai detto che tra quaranta inverni una luce attraverserà il cielo come ogni mille anni, ma molto probabilmente non sarai qui per vederla. A cosa serve saperlo allora? »

L'uomo rimase interdetto qualche istante poi rispose: «La conoscenza distingue l'uomo dalla bestia» concluse con un sorriso ambiguo. Erdie alzò un sopracciglio, avrebbe quasi giurato che la battuta fosse una frecciatina alla sua natura, il suo essere una bestia sanguinaria senza coscienza. Ma non parlò per non sembrare diffidente.

«Bisogna apprezzare solo la conoscenza utile alla propria sopravvivenza» rispose invece lei.
«Questo ci renderebbe animali. Loro apprendono solo ciò che è vitale».

Erdie fece per ribattere ancora, ma poi chiuse la bocca, non sapeva come contraddirlo e questo la lasciò stizzita.

La vampira tuttavia si impietosì. Mai come in quel momento capì la fragilità umana ricordando quell'esistenza costituita solo da limiti. Era questo che li portava a commettere tanti errori.

Voleva fargli un piccolo dono per concedergli una vita un po' più lunga di quella di un qualsiasi essere umano. Suo padre le aveva accennato qualcosa riguardante le proprietà benefiche del loro sangue e quello le sembrava il momento adatto.

Scese silenziosamente dal suo trono, seguita dagli occhi curiosi del suo insegnante. Prese una piccola coppa di bronzo scintillante e dopo essersi tagliata il palmo con un coltello, la riempì con il suo sangue.
«Tieni, bevi. Questo mio sangue renderà la tua vita più lunga» gli ordinò.
Ur rimase sbalordito, senza sapere bene cosa dire. La vampira gesticolava spazientita. «Bevi e basta. Consideralo una ricompensa per il tuo insegnamento».
L'odore del suo sangue si sparse per la stanza, rendendo irrequieta la puledra. Lei la calmò con il solo sguardo e l'uomo afferrò la ciotola portandosela alle labbra.
La vampira lo guardò con interesse. Quello che aveva fatto era più un esperimento che un regalo vero e proprio, non aveva mai donato il suo sangue a nessuno da quando era rinata.
Ur finì di bere; aveva la barba scura intrisa di sangue e il volto disgustato. Il suo corpo, invece, doveva aver davvero apprezzato il dono della vampira, irradiava energia nuova e più potente.

«Cosa provi? » gli domandò lei eccitata. Era davvero curiosa di sapere che effetto procurava il suo sangue sugli umani.
L'uomo la guardò con occhi che sembravano diversi, nuovi. Senza risponderle osservò incantato tutto ciò che lo circondava come se la stanza, illuminata da qualche fiaccola tremolante, si mostrasse a lui per la prima volta.

La cavalla di Erdie nitrì terrorizzata, gettando per aria il sacco contenente fieno e frutta. I fili d'erba danzarono nell'aria salutando quella nuova creatura: troppo umana per essere un vampiro, troppo vampiro per essere umana.
«Vedo...» sibilò appena «Vedo benissimo. Ogni cosa ogni dettaglio...» si bloccò afferrando la veste in lino che Erdie aveva indossato l'ultima volta che era stata in Egitto. «Riesco a sentire anche il profumo del tuo deserto! » concluse emozionato.

La vampira lo scrutò con attenzione. Notò immediatamente che le iridi marroni dell'uomo erano state completamente inghiottite dalle pupille che adesso producevano un riflesso brillante come ogni creatura notturna; come lei. Era inoltre visibilmente più in sintonia con il suo corpo, ogni movimento che faceva era più fluido e armonioso. Continuò a studiarlo mentre lui vagava per la stanza sperimentando le sue nuove capacità. Quando sollevò facilmente una grossa caraffa colma d'acqua Erdie sorrise radiosa.

Aveva creato l'umano perfetto, la via di mezzo ideale tra preda e predatore.

Note autore:
*In Egitto, ai tempi delle piramidi, ancora non era stata inventata la ruota

**Senaret: tempesta in egizio

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