Diciasettesimo Capitolo•••Inizio di una vita•••🥀
Erdie stava dando fondo ad ogni suo potere. Era un vampiro Reale ed aveva deciso di sfruttare ogni sua capacità per vivere con Lucas.
Aveva sotto il suo controllo la servitù, nessuno si domandava quando lei fosse arrivata, a quale casata appartenesse o semplicemente come potesse essere così bella.
E questo le costava energia.
Erano passati quattro giorni, un tempo in cui aveva provato a cambiare in parte i suoi ritmi per poter essere sveglia durante il giorno. E tutto sembrava sotto controllo.
Le finestre ben protette da pesanti tende e lanterne ad olio che bruciavano incessantemente le assicuravano uno scrigno inespugnabile dal sole.
L'unica cosa che Erdie rimpiangeva era non poter giocare in giardino con Veronica, magari rotolarsi sul prato con lei, o giocare a nascondino fra gli alberi.
Però amava guardarla, osservare il riflesso del mondo assolato che si dipingeva sugli specchi posti accanto alle finestre appena svelate dalle tende.
Ed era bellissima. La sua bambina era meravigliosa.
«Cosa le diremo quando crescerà?»
Lucas era alle sue spalle, appena sorpreso da quella domanda. Le accarezzava le braccia, respirando il profumo dei suoi capelli. «Che la sua meravigliosa mamma ha una malattia che non le permette di stare al sole».
«E quando mi domanderà perché non mangio al tavolo con lei?».
«Che segui una dieta particolare»
«E cosa le racconterò quando non mi vedrà invecchiare? Quando sarò più giovane dei suoi stessi figli?»
«Le diremo la verità».
Erdie non ne era convinta, però le parole di Lucas erano così rassicuranti che non riusciva a pensare a nessun risvolto negativo.
«Ma ora sei con me, siamo insieme... e stasera sapranno tutti che sei mia moglie».
E mentre lui parlava, la natura vampirica di lei si manifestò.
Il bisogno che Erdie aveva di Lucas si trasformò in fame e desiderio. E lui non si tirava mai indietro. Quel pomeriggio la portó sul loro letto, le tolse gli abiti e la possedette con devozione, lasciando che lei si cibasse del suo sangue.
***
Erdie aveva Veronica fra le braccia. Le balie l'avevano riportata nella villa e la bambina era corsa da lei.
Non aveva alcuna memoria dei suoi veri genitori, l'immortale le aveva ripulito la mente come se si fosse trattato di un panno sporco. Adesso, nel candore di quella nuova memoria, le aveva dipinto nuovi ricordi, nuove memorie in cui era lei sua madre e Lucas suo padre.
«Ci sarà un ballo oggi» le disse Erdie sorridendo «E tu sarai vestita come una vera principessa».
Nella stanza c'erano anche le domestiche, intente a vestire la loro padrona con un abito in velluto bianco e broccato d'avorio, cucito con fili d'oro e lucide perle.
Veronica aveva lo stesso abito di sua madre, solo di un colore diverso, tra il rosso e il bianco che ne risaltavano la chioma ramata è il candore della pelle.
Era meraviglioso vedere quella bambina felice, sapere di Lucas che l'attendeva nel grande salone con gli altri invitati e attorno a loro quella casa che sembrava proteggerli come in un nido.
Era tutto così irreale che aveva paura a crederci.
Nel frattempo un'anziana donna le stringeva il corpetto comprimendole il corpo.
«Potete respirare? » le chiese con una fredda gentilezza. Probabilmente non era una di quelle serve devote ai padroni e sicuramente non amava i nobili.
Erdie si accorse che la donna aveva stretto all'inverosimile il corpetto non vedendo in lei nessun segno di fastidio.
«No, non riesco a respirare. Allenta le cinghie».
La donna obbedì, ma Erdie non smise di fissarla attraverso lo specchio. Doveva stare attenta a questi dettagli, esercitare il suo potere costantemente la stava già logorando, non poteva permettersi di sprecarlo per cancellare ogni stranezza su di lei.
Si guardò poi allo specchio. L'abito era splendido. Era di un bianco puro che faceva apparire la sua pelle quasi grigia.
La domestica passò poi ad acconciarle i capelli, riempiendola di piccole spille brillanti.
Veronica si lamentò subito, le voleva anche lei. Aveva un modo tenero di esprimersi, non sapendo ancora parlare.
«Va bene, puoi averle anche tu. Ma non devi perderle!»
Quando, però, per terminarle la conciatura, la donna le passò il polso vicino al naso, la vampira avvertì l'odore della sua pelle umana e si sentì affamata.
Le tremavano i canini, la testa le scoppiava. Troppo potere... le serviva troppo potere per continuare.
Scappò via da quella stanza e rimase da sola contro il muro, ad ansimare, a combattere contro la fame.
Si era nutrita, ma non bastava... Non bastava mai...
Pianse quando piantó i canini nel collo di un'altra ragazza, nascosta come un mostro dietro le pesante tende.
La carne, il sangue, il corpo che si abbandona lentamente... tutte sensazioni che non poteva perdere.
Quella era la libertà di un predatore.
Erdie guardò il cielo appena livido, dove la luna già si affacciava con prepotenza. Sembra così fuori luogo, essendo essa la regina della notte.
Come lei, la luna era là dove non doveva essere essere.
A trovarla fu Lucas.
«Erdie...»
Era spaventato, glielo si poteva leggere chiaramente sul volto. Probabilmente doveva sembrargli un demonio, sporco di sangue, con lo sguardo fisso e luminoso come quello di un felino e la sua vittima tra le braccia.
Eppure le si precipitò vicino e la abbracciò.
«Scusami...» fu tutto ciò che lei riuscì a dire.
«Va tutto bene, ci sono io con te ora...».
Solo lui era in grado di farla tornare in se stessa, di riuscire a non farsi più sopraffare dalla sua natura.
«Quattro giorni e già il mio corpo non regge... Ho paura di cosa possa accadere a breve...»
«Allora smettila... pagherò il silenzio delle nostre domestiche, di chiunque... non usare più i tuoi poteri così...»
Gli si aggrappò, giusto per trovare la forza di asciugarsi le lacrime e curare la ragazza di cui si era cibata. Non era morta e questo era un bene.
«Veronica dov'è? »
«Si trova nella sala con gli ospiti».
«Per favore, non lasciarmi da sola...»
***
Quando Erdie scese le scale che portavano nell'immenso salone dove si teneva il ballo, tutti rimasero ed occhi spalancati nel vederla.
Si era cambiata d'abito, preferendo al bianco qualcosa di più anonimo e scuro, più incline a ciò che la sua natura doveva essere.
«Valeva la pena attendere tutto questo tempo... » disse uno degli uomini in un sussurro al suo amico; «La sua perfezione è nauseante. » sentenziò una donna da dietro il ventaglio ad una sua compagna.
Erdie guardò tutte quelle persone con un velo di astio. Non era abituata ad una platea così nutrita di esseri umani. Tanti, tantissimi umani con gli occhi puntati su di lei.
«Loro fanno parte della nobiltà Torinese, è lì, in quell'angolo con due famiglie molto influenti, c'è un emissario di Carlo II duca di Savoia e principe di Piemonte. Hanno accettato il mio invito, è un'ottima cosa» le spiegò Lucas. Lei gli restava aggrappata, fingendo una timidezza che non le apparteneva, ma che ci si aspettava da una giovane donna sposata.
Ci furono altri nomi, altre presentazioni, altri volti che Erdie dubitó di poter distinguere.
E, tenuta per mano da una delle balìe, vi era Veronica. La piccola le corse incontro, abbracciandola, saltando poi su Lucas per poter essere sollevata.
«Hai già perso i diamantini...»
In risposta la piccola fece versi concitati, per motivare quella disattenzione. Così Erdie si tolse dei decori dal capo e glieli aggiustò tra i capelli.
Era tutto così perfetto da farle tremare le gambe. Perfetto come un vaso di vetro in bilico sul vuoto.
Si aprirono danze allegre, gli occhi di tutti erano su di loro, analizzando ogni movimento, ogni tocco che non temevano di mostrare in pubblico come se fossero da soli.
I loro sguardi erano intrecciati, una sintonia che faceva invidia. E presto, quel loro amore, avrebbe viaggiato di bocca in bocca diventando quasi leggenda.
Il banchetto fu seguito e diretto da uno scalco* proveniente da Mantova, appartenente alla famiglia Sacchi, già al servizio dei Gonzaga. Aveva osservato Lucas ignorare l'uomo meticolosamente, come se fosse sufficiente quello per far giungere alle orecchie di suo zio il non voler più alcun aiuto da parte della sua famiglia.
Erdie sorrideva, seduta elegantemente al tavolo allestito con cura, nel vedere come a volte si comportasse proprio come un ragazzino indispettito.
I Gonzaga erano una famiglia estremamente influente, e pian piano stavano accumulando sempre più potere. Eppure suo zio sembrava continuare a rincorrere il nipote con devozione, assistendolo nell'ombra per dargli l'idea di un'indipendenza che in quel mondo non poteva raggiungere da solo.
Fu quando il coppiere le chiese se potesse versarle del vino che notò una cosa che le era sfuggita prima: ogni bicchiere, ogni piatto era in ceramica, le posate avevano il pungente odore del ferro.
Nessun tipo di argento era sulla tavola**.
Fu una stranezza a cui non diede davvero peso, finché, chiedendo a Lucas il motivo, non le rispose: «Quel materiale mi irrita».
«Irrita?» chiese per essere sicura di aver sentito bene.
«Sì, mi arrossa la pelle... È qualcosa che mi accade fin da piccolo».
Anche gli abiti che Lucas le aveva dato, appartenenti a sua madre, non avevano fili d'argento intrecciati nelle maglie, o lì stessi che lui le aveva fatto portare.
Forse anche lei ne era irritata.
Ma anche suo padre, il Lord, quel materiale non lo poteva toccare.
Qualunque fossero i fili conduttori di quella storia, in quel momento c'erano altre cose ad intasarle i pensieri.
«Lucas, non riesco più a resistere» gli sussurrò a fiato corto. Troppi umani, troppi odori.
«Vieni Erdie, ti porto sul balcone»
La luna era solo una falce luminosa nel cielo, le stelle lampeggiavano e gli alberi venivano accarezzati da un vento fresco. Era una notte magnifica.
«Non credevo sarebbe stato così difficile. Una corte di vampiri è molto più gestibile» sorrise.
«Ma ora ti senti meglio?»
«Abbastanza. Grazie...»
Sospiró. Quella grande sala le ricordó tempi lontani, poco dopo il suo risveglio in quella nuova epoca. Momenti in cui non doveva nascondere completamente sè stessa, dove gli esseri umani erano un gioco e un nutrimento.
Un gioco che condivideva con Beatrice.
«Non ti ho mai parlato di lei, vero?» gli domandò dopo avergli accennato quei suoi pensieri. Lucas scosse soltanto il capo.
«Era una donna solare e un vampiro ambiguo. Dopotutto faceva parte della famiglia Sforza, sovrani di Milano. Con lei mi sono divertita molto, amavamo le scommesse».
Iniziarono a passeggiare sul lungo balcone, baciati dalla brezza leggera e dal suono della foresta.
«Ci divertivamo a far innamorare di noi giovani cadetti, ci nutrivamo di loro e talvolta li vedavamo combattere per noi. E lì scommettevamo sul più forte».
«Un gioco?»
«Erano tempi diversi, e io ero diversa. Dopo anni l'ho allontanata da me perché scoprii che era stato Naram a trasformarla in vampiro. Ho temuto che potesse essergli fedele, che potesse un giorno tramare contro di me».
«E ora dove si trova?»
«È morta. Beatrice era un fuoco che ardeva incessantemente. E come tale non riusciva a non travolgere qualsiasi cosa. Ha sfidato una delle leggi del mondo dei vampiri, intercedendo in una guerra tra esseri umani».
«È stata giustiziata?»
Erdie si intenerì nel sentire la voce tremante di Lucas, quella parola così dolorosa per lui. E lei annuì soltanto.
Infondo, tra vampiri e umani il concetto di giustizia non era così diverso. La morte sembrava essere la soluzione più utilizzata.
«Come l'ha resa immortale, Naram l'ha uccisa».
Quella stessa notte, da quello che fu inaugurato come palazzo Gonzaga, partì una lettera sigillata, con la firma di Lucas, direttamente verso la corte di Mantova.
"Vi scrivo, zio, solo in memoria della mia amata madre. Non è il perdono che vi voglio donare, ma solo forse la comprensione. In queste settimane ho avuto modo di vedere come il mondo sia solo una battaglia tra ciò che si desidera è ciò che è giusto. E questa scelta non risparmia nessuno.
Comprendo che voi non abbiate avuto scelta, forse, o non abbiate avuto forza. Qualsiasi sia la natura vera di ciò che mi è stato tolto, io non posso perdonarlo.
Peró, vi scrivo ugualmente di me. Ho deciso di prendere moglie e vivere accanto alla corte Savoia. Mi sono guadagnato la loro stima, nonostante abbia rifiutato una loro proposta matrimoniale.
Folle mi direste.
Ma, come ho loro risposto, voglio guadagnarmi la stima per le mie capacità, non per chi si unirà a me davanti a Dio. E io ho scelto un'altra donna.
A giorni verranno firmate le carte ufficiali.
Vi prego solo di non intralciare la mia felicità. Io non lo farò con voi».
*Scalco: il soprintendente alle cucine principesche e aristocratiche: spettava a lui selezionare e dirigere i cuochi e la servitù
**all'epoca L'argenteria era molto usata nei banchetti.
Note aurore 🪶~~~~~~~
Innanzitutto ringrazio chiunque sia giunto fin qui. Spero la storia vi stia piancendo!
Ovviamente è tutta in revisione, ho ancora tanto da scrivere, molto da aggiungere... vi chiedo di indicarmi ogni cosa non vi convinca!
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