🪲Ventisettesimo capitolo 𓂀
Un ronzio ossessionante accompagnò Erdie nel suo risveglio. Era il rumore del silenzio e dei suoi respiri che si espandevano in un posto sconfinato.
Aprì gli occhi, ma la sua mente era vuota per consentirle di porsi domande. La vista vagava nel buio violato soltanto da una debole torcia molto distante da lei, eppure le permetteva di osservare ogni cosa.
C'erano immense statue posizionate tutte intorno al perimetro dell'immensa sala e al centro vi era un grande altare. Purtroppo tutte queste cose non avevano ancora senso per lei.
Con lentezza tornò presente a se stessa e il panico la sconvolse. Si guardò attorno febbrilmente, ma ovunque volgesse gli occhi vi erano statue degli dei che la fissavano superbi.
Scattò in piedi cercando di capire meglio dove si trovasse. Era un tempio sicuramente, ma non ne aveva mai visto uno simile. Lì dentro si sentiva claustrofobica.
Un battito cardiaco.
Improvvisamente sentiva un debole cuore che batteva. Non era il suo, lo avrebbe riconosciuto perché quest'ultimo lo sentiva in gola per quanto batteva forte dentro di lei.
Sicuramente c'era qualcun altro in quel luogo, ne sentiva la presenza.
Abbracciò se stessa, non per il freddo, ma per darsi conforto e per tentare di smettere di tremare. Aveva una terribile paura.
«Hai aperto gli occhi in soli tre giorni» le disse una voce profonda e calma proveniente da qualcuno che si trovava sopra di lei.
Quella frase riecheggiò nella stanza fino a riverberarsi nel suo corpo e scuoterla interamente. Con riluttanza alzò lo sguardo e indietreggiò appena.
Sul soffitto vi era aggrappata una creatura avvolta da ali di pipistrello che la proteggevano come un mantello. Cercò nei suoi ricordi l'identità di quell'essere, ma vi trovò solo confusione.
Il cuore le batteva ancora forte nel petto, ma era strano: i battiti li sentiva quasi più delicati nonostante avesse paura.
La creatura spalancò le ali svelando il suo viso: aveva le fattezze dell'uomo più bello che lei avesse mai visto.
Dopo poco si stacco dal soffitto, lasciandosi cadere al suolo e attutendo l'impatto con una sferzata d'ali che sollevó pochi mulinelli di polvere.
Furono mosse semplici, ma attuate con tale precisione e sensualità che la ragazza non riuscì a staccargli gli occhi di dosso neanche per un secondo.
Infine chiuse le ali dietro alla sua schiena nascondendole e le si avvicinò.
L'odore di sangue che lo accompagnava fece bruciare la gola della ragazza che si afferrò il collo.
Improvvisamente Erdie avvertì una gran sete, le vene sembravano essersi seccate di colpo e l'esofago era preda di un gelo fastidioso e incalzante.
Nonostante la sofferenza fisica lei continuò a fissare quel viso scolpito dagli dei senza riuscire a porsi vere domande. Non le importava se attorno all'uomo ci fosse un'aura di morte visibile e se in lui vi erano una miriade di caratteristiche aliene all'umanità. Non poteva fare altro che fissarlo con stupore studiando i suoi tratti.
«Io sono il Lord» si presentò alla ragazza. Le si era avvicinato ancora una volta senza che lei se ne fosse accorta. I capelli bianchi le sfioravano il viso, i loro riflessi blu quasi le accecarono gli occhi; ma erano indicibilmente morbidi come la seta. E quegli occhi, mai ne aveva visti di simili: erano dorati come quelli dei felini, delle iridi assolutamente non umane.
«Ma questo è un nome che non dovrai usare » continuò lui «tu ora sei mia figlia e perciò dovrai chiamarmi padre».
«Padre...» ripeté Erdie in eco, confusa dal tono di voce carezzevole della creatura.
Ma non erano soltanto le parole a stordirla; l'alito della creatura sapeva di sangue. Quell'odore continuava a torturarle il corpo, aumentando quel senso di sete gelida nella gola.
Fu un lampo scarlatto scorto di sfuggita negli occhi felini del suo sequestratore che aiutò la ragazza a ritrovare il senno.
«Tu non sei mio padre» si spostò di colpo «Quel titolo appartiene esclusivamente al grande Imhotep! » gli rispose accigliata. Non riusciva ancora a capire cosa stesse succedendo, ma la nebbia fitta che aveva occupato la sua mente fino a quel momento si stava diradando.
Prima che Erdie potesse dire altro, il Lord parlò ancora: «Ormai tu non hai più nulla in comune né con lui né con nessun'altro essere umano. Tu ora sei diversa».
Lo guardò di sbieco. Era sempre più convinta che quella creatura fosse priva di senno. Ma doveva capire cosa fosse, dove si trovavano e come uscire viva da quel posto. Avrebbe poi raggiunto suo padre e gli avrebbe parlato dell'uomo alato.
Questo sarebbe bastato per far giungere la notizia alle orecchie del faraone e ai suoi soldati.
Tuttavia la ragazza non sapeva bene come comportarsi in quel momento.
In cosa lei ora era diversa?
«Prima di parlare della mia diversità, almeno dimmi cosa sei tu».
«Io sono un Dio reso carne dagli umani».
Un dio. Erdie non riusciva a credere a quelle parole. Se sua sorella Mine fosse stata lì con lei sicuramente lo avrebbe identificato subito; lei sarebbe stata la migliore delle sacerdotesse.
Ricordò quel lampo di morte che aveva scorto negli occhi inumani del dio. Non era affatto una divinità benevola. Era assolutamente certa che portasse morte e distruzione con sé.
Un concatenarsi di consapevolezze aiutò la sua mente a ricordare ciò che era avvenuto prima del suo risveglio.
Non era la prima volta che vedeva quella creatura. Le aveva già fatto visita quando lei era sola nella sua stanza; l'aveva aggredita, le aveva squarciato il collo e aveva ucciso Krio.
Istintivamente si portò una mano alla gola in cerca della ferita, ma non vi trovò nulla. Niente lesioni e niente sangue. Forse lo aveva solo sognato, e anche la sua serva era ancora viva.
In quello stesso momento si accorse che il bracco sbranato dall'alligatore che aveva ucciso sua sorella Mine era tornato intatto. Non vi erano più cicatrici né depressioni là dove l'infezione si era cibata della sua carne.
«Adesso anche tu sei una dea, una creatura perfetta» .
Gli occhi della ragazza saettarono sul Lord « Cosa mi hai fatto? »
«Adesso sei un vampiro. Un essere che si ciba di sangue umano per vivere in eterno. »
«Tu menti» sussurrò. La voce iniziava a mancarle, e la paura ad aumentare.
Il Lord si voltò raggiungendo a gran velocità un altare molto distante da loro. Quella rapidità lasciò la giovane ragazza sconcertata. E quasi urlò quando se lo ritrovò davanti senza essersene accorta.
L'uomo aveva ancora le ali spalancate di fronte a lei. Tra le mani stringeva due coppe di bronzo contenete entrambe due liquidi: del latte e del sangue.
Erdie fu catturata subito dalla lucentezza del sangue, dal suo colore cupo e dal suo profumo delizioso. Provava un bisogno, un desiderio disperato per quel liquido vitale. La gola le si seccò gelandosi maggiormente, doveva bere quel sangue al più presto.
I canini le si allungarono sbattendo contro la coppa quando lei la prese di scatto e la accostò alla bocca.
«Il tuo corpo potrà fornirti ogni risposta» fu l'ultima affermazione del vampiro.
La ragazza scostò la coppa consentendo al Lord di tornare nel suo campo visivo. Aveva bevuto del sangue e le era piaciuto più di qualunque altra cosa.
Si leccò le poche gocce che erano sfuggite alla sua fame.
«Ne voglio altro» furono le uniche parole che le sue labbra sibilarono.
Il Lord sorrise di sbieco offrendole una mano che la giovane vampira accettò senza più timore.
«Vieni piccolo fiore. Voglio che tu prenda familiarità con i tuoi nuovi istinti».
Insieme raggiunsero il confine ovest del grande tempio sotterraneo. Dietro due colonne, incatenati al muro giacevano svenuti due umani.
Si accorse subito delle sue nuove abilità. Non aveva mai ascoltato il cuore di un altro essere umano a parte quello di sua sorella, e riusciva a sentirlo senza toccarne il corpo.
Le orecchie le consentivano altri suoni che non era mai riuscita ad udire prima: lo scorrere continuo del sangue all'interno delle vene. Era come un inarrestabile fiume cavalcante.
E quel suono la stava drogando lentamente, intorpidendo la sua razionalità.
Gli istinti predatori emersero prepotenti, consentendole di avanzare verso quegli umani che erano divenuti soltanto prede.
Alzò il viso del primo, un giovane operaio che aveva incontrato qualche mese addietro. Ma nella sua mente non vi era spazio per il rammarico. La fame incalzante la dilaniava e la pelle nera e pulita del giovane era l'unica cosa che desiderava.
Conscia di ogni movimento azzannò l'uomo che riprese conoscenza all'improvviso con uno strillo.
La vampira non smise di bere dalla sua carne recisa neanche quando l'uomo iniziò a morire lentamente.
Quello fu il primo di una serie di innumerevoli cadaveri che da quel giorno avrebbero segnato il cammino della ragazza nella storia.
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