Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

🪲Secondo capitolo 𓂀

𓆙

Il sole era alto nel cielo, brillava incontrastato come l'occhio di un dio sopra i mortali. E al suo sorgere, sotto forma di Khepry*, tutto il popolo si metteva al lavoro, le case brulicavano di vita e di rumori. 
L'abitazione delle figlie di Imhotep era circondata da un largo cortile decorato da palme e tante piante cespugliose, statue di dei e re in fila sul prato e colonne bianche con decori vivaci accanto ai muri del recinto.
Al centro esatto vi era un lago artificiale abbastanza ampio, alimentato da un piccolo canale che entrava grazie ad un incavo nel muro.
La loro casa si alzava su due piani in mattoni rivestiti di intonaco bianco, tanto che quando i raggi del sole vi si riflettevano sopra sembravano farla splendere. Al primo piano, dove il calore del sole rendeva le stanze insopportabilmente calde, vi erano i dormitoi dei servi e la cucina. Mine ed Erdie ci erano entrate molto di rado soprattutto nelle stagione calda di Akhet.
Le due ragazze abitavano il piano terra, dove ogni angolo era riccamente decorato con colori vivaci, statue, piante e mobili.

«Volete uscire, ragazze? » domandò loro Akerat quando le gemelle si ritrovarono nel grande salone. Sorrideva, mostrando dei denti un po' consumati dalla sabbia che finiva nell'impasto del pane che i contadini producevano all'aperto.
Entrambe annuirono felici.
«Bene, vi aiuto a prepararvi».

Mine ed Erdie ringraziarono la donna e corsero allegre a prendere il velo bianco con cui fasciavano il capo per proteggerlo dai raggi solari e i sandali in fibre di papiro intrecciate. Li indossarono e uscirono di casa naturalmente scortate dalle loro due schiave e da due eunuchi, uomini castrati che costituivano la loro scorta armata.
Ogni ragazza di rango superiore ne aveva uno, con il compito di non lasciarla mai da sola. Essendo impossibile per un uomo castrato sentire l'impulso sessuale, gli era concesso girare per le stanze private delle donne, ed infatti Obeishur e Daimaat dormivano in luoghi adiacenti a quelle delle due ragazzine.
Erdie era sempre accompagnata da Obeishur, un uomo alto e possente, dalla carnagione nera come il limo che ricopriva i campi dopo l'inondazione e che parlava assai di rado. Lei lo soprannominava spesso "Apedemak"** poiché erano più i ruggiti che uscivano dalla sua bocca che parole.

Mine invece era sotto la protezione di Daimaat, dal corpo spaventoso come il compagno, dalla pelle marrone come la corteccia di un albero ma dallo spirito decisamente diverso. Assomigliava più ad un gigante buono e non era raro che intrattenessero lunghe chiacchierate.
Nessuno dei due uomini era uno schiavo, bensì mercenari che Imhotep pagava ogni mese per guadagnarsi la loro lealtà. 

Il piccolo gruppo uscì dalle mura dalla grande casa e si diresse nel centro del paese. 
Per le strade aleggiavano odori diversi amalgamati fra loro come la dolcezza dei datteri maturi e l'aspro della fermentazione della birra. Poi risate, urla: il mercato era appena iniziato.
I contadini, vestiti solo con un leggero perizoma, portavano il loro bestiame per il baratto seminando le strade con i loro escrementi e destreggiandosi tra i ragazzini che correvano all'impazzata senza una meta apparente.

Erdie osservava la nudità di quei bambini con invidia: loro non erano costretti ad indossare alcun tipo di abito fuori e dentro le loro case. Purtroppo lei e sua sorella appartenevano ad un ceto alto e dovevano mantenere un contegno diverso.
«Non credi che il sole oggi riscaldi meno la nostra terra? » osservò Mine rimirando sperduta il cielo limpido. Erdie uscì dai suoi pensieri con un sussulto. 
«Non ne sei lieta? Il caldo soffocante si è ritirato. Ora vieni! » la spronò con un sorriso.
Erdie si diresse subito verso il corso del Nilo, il centro dei loro giochi.
Iniziarono a rincorrersi sulle sponde, sfidandosi al salto sulle rocce. Sfida che Mine perdeva puntualmente. Sua sorella Erdie era molto più brava di lei, era agile e veloce; esattamente il suo contrario.

I due eunuchi le seguivano a poca distanza, pronti ad intervenire se si fossero trovate in pericolo, mentre Akerat aveva imparato a trattenere il suo istinto materno nei loro confronti. Nonostante le avesse cresciute come delle figlie e loro la rispettavano allo stesso modo, era consapevole che avevano il diritto di divertirsi.
D'un tratto Mine si bloccò. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione: «Erdie guarda là! L'erba si muove in maniera strana! »
A seguire dalla sua affermazione si sentirono piccoli risolini soffocati, i loro amici stavano tendendo loro un agguato.
La ragazza fece segno alla sorella di colpirli e Mine obbedì; ma il ramo si perse fra le fronde dei papiri. Erdie prese in mano una pietra e la scaraventò fra i cespugli. La sua mira non fallì. Riuscì a colpire uno dei ragazzi nascosti fra le fronde.
«Vieni, Mine, scappa! » l'incitò ridendo Erdie.
Le due bambine iniziano a correre a ritroso verso la foce del fiume, mentre dai cespugli uscirono tre ragazzini, figli di altri vizir, che incominciarono a rincorrerle. 
Tutti quei giovani, insieme alle loro guardie, si recavano lì dove il Nilo si divideva in tanti affluenti creando il delta fertile. Giocavano fra le canne, si bagnavano nelle acque, sempre sorvegliati dalle loro guardie che approfittavano di quella riunione per chiacchierare fra loro.

Le due ragazze tuttavia erano le uniche femmine di quel gruppo: rispetto agli altri genitori Imhotep aveva dato alle sue figlie regole meno severe sperando che in quel modo non avrebbero mai cercato di ribellarsi a lui. 

Uno dei ragazzi, Seneg, il più veloce, riuscì a prendere Erdie tenendola stretta tra le braccia, fingendo di non accorgersi dello sguardo truce di Hesyra. Quest'ultimo era profondamente infatuato di quella ragazza e forse lei di lui. Ma nessuno aveva ancora trovato il coraggio per entrare in quell'argomento così chiacchierato da molti. 

«Ora ti ho catturata, bella Nefthi! » le disse intanto Seneg con il fiatone, senza smettere di ridere.
«Non entrerai mai fra le mie grazie, Seth! » rispose la ragazza restando al gioco. Cercava di liberarsi, ma il ragazzo la teneva abbastanza stretta da impedirle qualsiasi movimento. Era alto, più grande di lei di soli due anni. Portava una lunga treccia che gli partiva dalla sommità della testa e gli arrivava fino ai fianchi. Treccia che in quel momento solleticava troppo la pelle di Erdie.

«Catturate la fragile Iside! » l'ordine sembrò tuonare.
Mine sbiancò e sul momento rimase inerme. Nonostante fosse solo un gioco, il terrore s'impadronì di lei.

Aveva paura, una paura folle dei suoi amici. Ai suoi occhi sembrava tutto così reale tanto da temere che se i finti seguaci di Seth l'avessero presa, l'avrebbero costretta a sposare il loro capo. Proprio come nella loro mitologia.
Corse via urlando, non era mai stata così veloce. Persino sua sorella ne rimase impressionata a tal punto che smise di lottare contro Seneg per liberarsi.

Mine corse lungo i campi, ma qualcosa la tirò giù all'improvviso. Stava per urlare quando quel qualcosa le tappò la bocca. 
La ragazza si voltò di scatto, guardando negli occhi il ragazzo che l'aveva salvata.
«Cosa volevano da te quei ragazzi? » le domandò preoccupato.

Lei non riuscì a rispondergli subito. Era rimasta incantata dai suoi occhi chiari e splendenti, con piccole venature blu. Occhi particolari, degni di un dio.
Dopo qualche istante si disincantò, rassicurandolo. Erano solo suoi amici e quello era soltanto un gioco.

«Aspetta, ho un'idea! » disse d'improvviso Mine «Vieni con me! Mia sorella è stata catturata e tu farai la parte di Osiride e la salverai! »
Il ragazzo rimase sbalordito sul momento. Ma poi accettò.

Tornarono dai suoi amici e il gioco riprese. Con dei bastoni Seth e Osiride si sfidarono come se stessero combattendo con delle spade a falcetto. Erano entrambi molto bravi, e riuscivano a schivare ogni colpo dell'avversario. Fin da piccoli i giovani egiziani venivano istruiti all'arte della guerra.

Mine rimase a fissare il suo nuovo amico combattere, osservando il guizzare dei suoi muscoli sotto la pelle scura, il riflesso del sole che faceva splendere i suoi occhi. Non sapeva nulla di lui, neanche il suo nome. Non glielo aveva chiesto, per lei era lo splendido dio Osiride.
I loro giochi finirono non appena il cielo divenne dello stesso colore del fuoco e il sole si ritirò divorato dalla notte.

«Signorine è tempo di tornare a casa» disse Akerat avvicinandosi alle ragazzine.
«Certo veniamo, vero Mine? »
Ma la ragazza non le stava ascoltando. Aveva salutato con riluttanza quel loro nuovo amico e lo stava fissando andar via.
«Mine! Mi senti? » la richiamò ancora la sorella scuotendola dalle spalle.

«Ahi! Sì, ci sono Erdie! Ma smettila di urlarmi nelle orecchie! »
Tornarono tutti a casa, Mine era però sempre soprappensiero con lo sguardo perso in qualcosa di inaccessibile agli altri. Non aveva parlato con nessuno lungo il tragitto, tuttavia, quando finalmente le due sorelle riuscirono a mettersi a letto, Erdie trovò il momento adatto per parlare con sua sorella.

«Fammi indovinare, sorellina» le disse sussurrando per non far svegliare nessuno «Appena chiudi gli occhi rivedi quel ragazzo, quel contadino insomma».
Mine sobbalzò. «Non usare quel tono spregiativo. È... Carino, davvero tanto carino».
«Sì, lo è. Anche se io lo ammetto con aria meno sognante. Ma resta un contadino, non dimenticarlo».
«Oh, smettila di dirlo di continuo. Però... Sai vorrei rivederlo».

Erdie sospirò, sembrò pensarci un attimo e poi le rispose: «Domani possiamo portare qualche shauabti al tempietto di nostra madre e per raggiungerlo possiamo fare un giro panoramico di Za'net».
Mine si sentì esplodere dalla felicità.
«Grazie sorella mia! » le disse saltando giù dal suo letto e piombando su quello dell'altra per abbracciarla forte.

Il giorno seguente le due ragazze incisero lo shauabti*** in legno. Solitamente era Mine ad avere l'idea di scrivere alla loro madre, poiché, anche se non l'avevamo mai conosciuta era come se avesse ancora un legame con lei. Erdie invece aveva una natura più pragmatica. 
Quella mattina Mine stringeva al petto la statuina non con l'amore filiale ma con la speranza che le portasse fortuna e riuscisse a vedere quel ragazzo, mentre sua sorella inventava metodi ben più efficaci per accontentare la sorella. Erdie infatti trovava ogni scusa per allungare il tragitto e girare quante più strade di Za'net: desiderava accarezzare un gatto, preferiva camminare in una via più fresca, aveva visto un uomo che vendeva ottimi cosmetici o un mercatino di frutta profumata.

Tutta quella voglia di camminare, insolita in quella ragazza che detestava far visita al tempio commemorativo polveroso della madre, aveva fatto insospettire Akerat, che tuttavia decise che era meglio tacere in presenza dei due eunuchi.
Le due ragazzine si scambiavano sempre occhiate complici, talvolta sconfortanti, ma non perdevano le speranze. E furono premiate, o meglio Mine lo fu.

Giunte nella grande piazza Mine lo vide. Stava aiutando un uomo minuto ad imbandire il suo mercatino di frutti.
Erdie lo salutò con disinvoltura mentre Mine si bloccò a fissarlo con la bocca dischiusa.
«Dai salutalo anche tu, non fare la mummia! » le disse colpendole il fianco con il gomito. «Non mi sono fatta ore di camminata sotto il sole per farti restare immobile ».
Il ragazzo le salutò e dopo qualche istante Mine riuscì ad alzare un braccio come risposta, deglutendo.
«Potremmo comprare qualcosa da lui, cosa ne dici? »
«Mai! » squittì l'altra per poi prendere la sorella per mano e trascinarla via dalla piazza.

«Mi spieghi perché oggi ci hai fatto scappare così? » domandò Erdie alla sorella, una volta a letto.
«Non lo so di preciso. Ho avuto... Paura, ecco. Paura che mi parlasse».
«Come puoi aver paura di una cosa simile, è insensato».
«Non lo so neanche io, te lo giuro sulla dea Iside».
Erdie fece una smorfia, ma lasciò cadere l'argomento. Akerat iniziò a tossire e non era chiaro se si fosse svegliata e quello fosse un discreto rimprovero, oppure fosse un semplice atto nel sonno.
«Mi fido, tranquilla. Dormi però adesso»  le disse Erdie girandosi dall'altra parte.



Note autore•••
Khepry:  Il dio sole che sorgeva al mattino, era immaginato nelle forme dello scarabeo stercorario.
Apedemak: (anche Apademak) è una divinità nubiana della guerra appartenente alla religione dell'antico Egitto (con il nome di Maaes, dio dalla testa leonina figlio della dea leonessa Sekmet), venerata dai Meroiti. Aveva la testa di Leone appunto.
Shauabti: la statuetta votiva di 20 centimetri che veniva usata per mandare messaggi ai defunti.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro