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🪲Quarantaquattresimo capitolo 𓂀

2050 a.C.

L'eco dei demoni succhiatori di sangue continuò a propagarsi per i decenni successivi, anche se il Lord era ormai sprofondato con sua figlia nel lungo sonno.

Chefren fu diverso da suo padre, difese il suo popolo conservando tuttavia le manie di grandezza del suo genitore. Ordinò agli operai di migliorare la seconda piramide della piana di Giza per ordine di grandezza e fece plasmare il volto rovinato del grande Leone con una rappresentazione del suo viso.*

Riaprì ogni tempio lasciando che ogni cerimonia e ogni sacrificio in onore degli dei venisse adempiuto con rispetto. Il suo regno fu segnato dalla ripresa e il dominio faraonico proseguì nel plasmare l'Egitto per altri secoli.

Trascorsero quattrocento anni prima che una serie di carestie infliggessero fame e malattie al popolo del Nilo. Schiavi e plebei si riversarono come un fiume in piena sotto il palazzo reale attaccando le truppe che cercavano di proteggere il nuovo figlio degli dei in carica.

Il sangue sporcava ancora le strade e le acque diffondendo il suo odore nell'aria. I venti trascinarono la nebbia acre della morte fino alla cripta nascosta dove i due vampiri giacevano inerti trascinandoli fuori dal loro torpore molto lentamente.

Erdie fu la prima a destarsi aprendo cauta il sarcofago e assaporando aria nuova.
Il sangue dove erano rimasti immersi per secoli era ancora liquido, all'apparenza fresco, ma privo di energia vitale, non adatto a saziare la sua sete.

Il Lord sembrava ancora conservarsi cadaverico nel bagno scarlatto, privo di vita. Tuttavia la vampira poteva avvertire i sottili strati di energia che si ispessivano intorno a lui, segno che stava per svegliarsi.

Lei lo ammirò per qualche istante, persa sul suo viso quasi sommerso e nascosto dal sangue. Era l'uomo più bello che lei fosse mai riuscita ad incontrare nella sua lunga esistenza; nessun umano poteva competere con il suo fascino. In cuor suo sperava un giorno di poter essere come lui: un dio dinanzi a tutti. Suo padre era in grado di annichilire chiunque anche soltanto con il suo sguardo felino.

Gli diede un dolce bacio sulla fronte per poi emergere completamente e uscire dal sarcofago. Suo padre non avrebbe voluto che si allontanasse dopo ciò che le era successo e temeva il suo rimprovero.
La voglia di cibo era però più forte e doveva scrostarsi via tutto il sangue che le aveva cicatrizzato l'abito in lino sulla pelle.

I capelli le aderivano fastidiosamente al corpo divenuti ormai lunghi sentieri scuri che le fasciavano la schiena e le braccia. Dovevano sentirsi così costrette le mummie, pensò con sarcasmo.

Uscì, ritrovandosi sulla schiena dell'enorme statua leonina. Il silenzio del deserto notturno era violato dalle grida e dal fuoco che infestava ogni città. Non riuscì a provare sconcerto per ciò che le si presentava davanti agli occhi.

Ciò che la circondava era cambiato, le tre piramidi erano state ricostruite come anche il capo dell'enorme leone in pietra, ora divenuto una sfinge. Tuttavia solo quel volto era visibile: la sabbia aveva sommerso tutto come facevano le acque torbide del Nilo durante le inondazioni. Le bastò un saltello per arrivare sul suolo sabbioso e poter ugualmente sfiorare il capo della statua.

La sabbia fine le si infilava ovunque e la cosa le solleticava la pelle. Era però una sensazione familiare che la rassicurava. Vedere tutta quell'agitazione però la incuriosì.

Il popolo non aveva mai osato ribellarsi alle guardie reali e infrangere così il rispetto dovuto alla figura del faraone. Il popolo faceva parte della schiera terrena, non poteva e non doveva elevarsi al punto di ribellarsi al sovrano.

Gli spasmi della fame divennero violenti, doveva assolutamente nutrirsi: si trasformò in una colomba bianca e si avviò verso le luci rosse ardenti della città in fiamme più vicina.
Riprese le sue sembianze senza varcare le mura di pietra della città. Si sentiva fuori posto e soprattutto spaventata. Sperava che fosse passato abbastanza tempo per concedere alla memoria popolare di dimenticare i demoni succhiatori di sangue.

Non tutti si erano preoccupati di partecipare alle ribellioni, i campi sterili erano ancora calpestati da molti contadini. Erano le prede ideale per una vampira affamata e appena sveglia.

Erdie lasciò che i suoi poteri ipnotici fluissero dal suo corpo per mescolarsi alle auree degli ignari umani che rincasavano per agganciare il loro volere. Qualcosa però sembrò non funzionare: nessun umano sembrò accorgersi di lei o subire l'effetto delle sue capacità psichiche.

Erdie non sembrò dar tanto peso all'accaduto, sperò che la forte mancanza di energia del suo corpo e il risveglio ancora fresco avessero determinato l'indebolimento dei suoi poteri.
Doveva ricorrere alla caccia diretta quella notte, una pratica che aveva sperimentato troppo poco.
Entrò nelle mura della città avvertendo un lieve senso di oppressione, a cui non diede nuovamente peso, fingendosi una povera fanciulla segnata dalla rivolta.

La sua bellezza e il suo apparente bisogno di soccorso attirarono un uomo, ormai anziano, ma ancora vigoroso. Gli uomini delle terre del passato varcavano in fretta la soglia della senilità. Trent'anni erano un'ottima concessione degli dei e l'uomo che stava per soccombere alla sete della vampira sembrava averli ampiamente superati. Il suo viso scuro aveva su di se marcato ogni segno del tempo.

«Cosa ha avuto il coraggio di infliggere supplizio al tuo corpo? » le domandò l'uomo piegandosi pietosamente all'altezza della ragazza. Lei fingeva di piangere e disperarsi, rendendo il sangue che la imbrattava apparente prova del suo malessere.

L'uomo capì appena cosa stava accadendo solo quando Erdie si gettò famelica al suo collo straziando la sua carne viva, prosciugandolo dal suo sangue.

La notte e il clima di morte coprirono tutto, rendendo vana la ribellione della preda. Così la vampira poté continuare a nutrirsi indisturbata sentendo con gioia la vita spegnersi tra le sue braccia.

***

L'alba era ancora lontana quando la vampira raggiunse le sponde del Nilo. Le acque si raggruppavano in un piccolo lago all'apparenza tranquillo, ma la corrente latente sotto la superficie era mortale. Eppure Erdie vi entrò lo stesso, senza alcun timore e alcuna difficoltà.

Chiuse gli occhi respirando profondamente per provare a rinchiudere i sentimenti devastanti che cercavano in ogni modo di evadere. Non aveva mai osato avvicinarsi alle acque del fiume dopo la morte di sua sorella, il solo pensiero la costringeva a rivivere quel giorno devastante. Il cuore le doleva eppure doveva farcela. Ormai le acque si erano lavate dal sangue innocente di Mine, le sue urla avevano smesso da tempo di riecheggiare sulla sua superficie. Anche l'alligatore che l'aveva strappata alla vita era perito.

Queste consapevolezze non le impedirono di sentire gli occhi bruciare e il suo viso bagnarsi con lacrime di puro dolore che lavavano via il sangue. Si concesse di piangere ancora, lì, eretta come una statua memoriale tra le acque divine e mortali.

Aveva terminato di lavarsi, il lino bagnato del suo abito le aderiva trasparente al corpo come una seconda pelle. Tutto il sangue che aveva addosso ora veniva trasportato dalla corrente verso il mare quasi come se con esso fuggisse via anche ogni sua colpa.

La sua pelle, purificata dall'ombra scura del sangue, brillava come una stella irradiando la luce della luna. L'immagine che vedeva riflessa sulla superficie dell'acqua era quella di una ragazza che non riusciva a riconoscere. Il suo viso immutato le sembrava tuttavia diverso, più anziano. Erano in realtà i suoi occhi ad essere cambiati: un tempo l'ambra delle sue iridi era luminosa e gioiosa, sprizzava purezza e l'attesa di un avvenire radioso. Ma tutto quell'ardore si era spento come un incendio tormentato dalle piogge che infine lasciano solo troppa melma nera.

Sospirò. "Era ciò che mi serviva" pensò dirigendosi cautamente verso la riva.
A sua insaputa la sua aura vampirica stava attirando a sé creature eteree che emersero alle sue spalle dal suolo fangoso. La loro presenza sfiorò la schiena della ragazza che si girò di scatto con gli occhi sgranati e increduli.
Le creature che le erano sorte di fronte erano di un colore innaturale, simile all'indaco piegato al verde senza forma. Lentamente i fluidi informi divennero antropomorfi senza perdere i loro colori impossibili divenendo creature ipnotiche e brillanti, dai capelli simili a lingue di fuoco azzurre che lambivano loro il corpo e il viso dominato da impenetrabili occhi smeraldo.
La fissavano immobili mentre la loro mutazione cambiava ancora. La loro pelle aliena si schiarì divenendo di un rosa pallido, i loro capelli si disciplinarono cambiando il loro colore in un rosso simile al biondo. La luce che emettevano plasmò i loro abiti eterici rendendo le creature simili a visioni inconsistenti, angeli che erano spuntati dai luoghi più reconditi di un sogno.

Erano gli elfi, il Lord glieli aveva descritti.
Presa dal panico cercò di sfuggire alla loro presenza raggiungendo l'altra sponda del fiume, ma delle alghe iniziarono a crescerle attorno intrappolandola. Cercò di liberarsi ancora e ancora, strappando quanti filamenti le sue mani potessero afferrare. Più ne distruggeva più alghe la afferravano, la intrappolavano, la circondava e la stringevano imprigionandola. Infine non poté che fare una smorfia disgustata sentendo la sua gabbia viscida stringerle il corpo.

«Volete uccidermi? » chiese la vampira guardando con sfida le creature. Loro non si scomposero, non si mossero, come burattini inanimati. Ma non smettevano di fissarle l'anima.

Erdie avvertì qualcosa di indecifrato all'altezza del petto, un ricordo senza forma che cercava di uscire. Una delle creature le sorrise e chiuse gli occhi in segno di riverenza, poi tutti gli elfi scomparvero così come erano sorti, fagocitati dalla terra.

L'incantesimo esercitato sulle alghe terminò lasciando che le piante acquatiche le morissero indosso, liberandola. La vampira rimase sconcertata, senza la forza mentale per muoversi. Era ormai sola, incredula e senza spiegazioni.
Dopo un tempo incalcolabile uscì dall'acqua avvolta dai suoi lunghi capelli e dal suo abito zuppo d'acqua. Si tramutò in una piccola falena e volò via, velocemente verso il tempio sotterraneo dove suo padre si stava risvegliando.


Note autore:
* in questi libri parlo di ristrutturazioni delle piramidi, e non di costruzione per il semplice fatto che mi sono attenuta ad alcune teorie di archeologia eretica in cui si sostiene che le tre piramidi e la sfinge stessa, siano opere ben più antiche.
La sfinge era la statua di un leone enorme che guardava verso la costellazione del Leone proprio come appariva undicimila anni fa (le costellazioni si spostano nel cielo, essendo la via lattea in costante movimento). Il corpo corroso e il viso più piccolo (quindi che da l'idea di una scultura più recente rispetto al resto del busto) ha posto innumerevoli domande.

Mentre le piramidi, possedendo dei canoni specifici, delle misure ben precise, si crede che siano state frutto di una tecnologia ben più antica.
Insomma, ci sarebbe tanto tanto da dire!

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