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🪲Quarantaduesimo capitolo 𓂀

"Io sono il dio che regna sulle due signore, e che sconfiggerà i demoni della Duat." così faceva scrivere sugli obelischi la maestà d'Egitto Cheope.
Aveva rafforzato con ogni mezzo l'idea che lui fosse un dio, l'emanazione di Ra sulla terra.

Il Lord respirava pesantemente davanti a quella scritta, uno delle tante che appariva sugli obelischi che si scagliavano contro il cielo impassibile.
Le dita del vampiro artigliavano il marmo scrostando le incisioni.
«Adesso vedremo se davvero avrai il coraggio di combattere i mostri della Duat».
Gli occhi del vampiro si accesero come braci.

Nei giorni successivi le truppe faraoniche non dovettero combattere solo con le mummie, ma anche con gli animali da soma che sempre erano stati considerati mansueti.
Buoi, mucche, asini... Ogni animale presente accanto all'uomo portava negli occhi il marchio del vampiro Originario.

«Padre dovete fermare questa carneficina! » disse alcuni giorni dopo Chefren ai piedi del faraone. «Vi imploro, chiedete perdono a quel demone alato! »

Cheope strinse i braccioli del suo trono. «Io, dio fra gli uomini, dovrei prostrarmi? » sibilò per poi urlare contro suo figlio che ammutolì all'istante.
«Verrai frustato per ciò che hai proposto! E per sottolineare la mia divinità, d'ora in poi chiunque voglia parlarmi o presenziare dinanzi a me, dovrà baciare la terra su cui io gli concedo di vivere! »
Kheper sorrideva scaltro mentre osservava il suo fratellastro portato via per essere punito.

***

Trascorsero altri anni, il popolo d'Egitto era in ginocchio. Tutti sapevano che la grande maestà aveva alzato l'ira di un potente demone della Duat e perciò incominciarono a ribellarsi.
Distrussero le statue che rappresentavano il dio fra gli uomini, frantumarono ogni parete con sopra il suo cartiglio.

Il Lord osservava tutto restando sulla cima del pyramidion dalla grande piramide ormai ristrutturata, le altre due giacevano in rovina poco distante, riflettendo le stelle della cintura di Osiride sulla distesa di sabbia fluida come acqua.
Da quell'altezza la vista era un incanto, difficile da tramutare in parole. Il vampiro Originario si strinse le ali e taceva.

Cheope era riuscito a completare la sua tomba e per quanto il vampiro avrebbe voluto distruggerla fino alla camera interna non poteva. Però poteva impedire a quel traditore di potervi riposare per l'eternità.

Gli elfi sembravano voler continuare a proteggere il faraone, ma lo avrebbero fatto ancora per poco. Avevano perso quella battaglia perché il deserto stesso era un mondo per loro invalicabile. O almeno così credeva il Lord.

Nel palazzo reale, rinchiuso nelle sue stanze, il faraone era seduto sul suo letto, con le mani che gli artigliavano le tempie e l'immagine di Erdie che non era mai sbiadita; simbolo di un sogno che aveva rincorso per tutta la vita. Era solo, solo in ogni senso con cui l'umanità avrebbe potuto declinare la parola.

L'Egitto era sull'orlo di un baratro, anche i vizir avevano incominciato a non voler appoggiare più la figura del faraone Cheope, nonostante continuassero a baciare la terra in sua presenza.

Le unghie laccate dell'uomo scintillarono quando gettò per aria tutto il contenuto che si trovava sul tavolo accanto al letto.

«Maestà e padre amato, sono Kheper» disse il ragazzo. Il padre gli disse che poteva entrare e le guardie lo fecero passare.
Quando il ragazzo entrò nella stanza, chinandosi a baciare la terra, notò come suo padre fosse ormai distrutto. E pensò che fosse il momento di agire.

«Sono qui perché volevo parlarvi della mia idea per risollevare il paese e allontanare dalla vostra persona il veleno dei nobili».
Cheope alzò gli occhi sul figlio, sapeva bene che i vizir ormai erano in combutta fra loro per ucciderlo. E lo avrebbero fatto secondo una credenza frutto degli antichi mistri contenuti nei templi.

I sacerdoti di Amon, dopo aver interrogato l'oracolo del dio, avevano riferito che il corpo del faraone doveva essere fatto a pezzi e usato per fecondare la terra inaridita dalla "divoratrice", quella pianta che ancora non aveva smesso di infestare i campi.

«Parla Kheper».
«Dovete abdicare al trono, in questo modo il successivo faraone non potrà essere ucciso prima della successiva festa di Heb-Sed».

La festa di Heb-Sed era un lunga cerimonia che serviva per rigenerare il faraone per restituirgli le sue forze. Tuttavia, se il suo regno era in declino voleva dire che lo era anche il sovrano. La morte della maestà sarebbe servita a rigenerare la terra. E i sacerdoti volevo esattamente questo: avevano infuso nel popolo l'idea che la carestia fosse lo specchio dell'animo del faraone e per tornare a vivere, l'Egitto e il re dovevano tornare ad unirsi.

Un nuovo re non poteva affatto essere accusato di decadenza interiore, ed era su questa idea che Kheper ruotava i suoi discorsi.
Cheope valutò l'idea di suo figlio e acconsentì. Naturalmente scelse Kheper come suo successore; il ragazzo aveva giocato bene le sue carte, e il giorno dell'incoronazione cambiò il suo nome in Djedefra; "Stabile come Ra".

Inizialmente il nuovo re Djedefra regnò affiancato da suo padre, dividendo con lui anche il grande Harem. Come moglie e regina d'Egitto, il faraone scelse Heteperes II, una donna piena di fascino e che lo amava con sincerità. Era forse l'unica che lo amava a corte.

«Mio re, siete al trono già da un anno e il fiume ancora non riesce a fecondare la terra» disse la regina al suo sposo.
La ragazza restava ancora fra le braccia del faraone, era preoccupata. «So bene che la mente di un dio è inaccessibile ai mortali... » continuò lei, con un sussurro « Ma ho troppo a cuore la vostra incolumità. Non avete ancora riaperto i templi, gli dei non possono mostrarsi al popolo. I sacerdoti vi malediranno» si strinse ancora di più a lui, gli occhi ormai umidi.

«Non temo i sacerdoti, impiegheranno del tempo per incidere il mio nome e maledirlo».
Heteperes si alzò sui gomiti, scrutando gli occhi scuri dell'uomo. Quelli della regina erano chiari, come il cielo riflesso nel fiume ed erano colmi d'acqua. Una lacrima le scivolò sulla guancia e fu raccolta dal dito affusolato del suo amante.

Kheper assaggiò la lacrima della giovane donna, trovandola deliziosa. «Mia piccola regina, non devi temere. Ma adesso concedimi il tuo corpo e il tuo amore».
Il faraone baciò la sua sposa e le concesse i godimenti che solo un dio potrebbe dare ad una donna.

***

Il nuovo faraone si recava ad ogni tramonto presso il grande obelisco danneggiato. Aveva avuto notizie che il demone alato era stato visto lì mentre distruggeva il nome di Cheope.

Djedefra sperava di poterlo incontrare per parlargli: era questo, infatti, l'unico motivo per cui aveva acconsentito a regnare con suo padre di fianco.
Quel giorno, in cima al grande obelisco, completamente avvolto nelle ali nere, vi era il Lord, immobile come una statua. Il vampiro sapeva come celare le sue ali alla vista degli umani, lo aveva fatto per anni alla corte di Snefru. Ma da quando aveva iniziato quella vendetta aveva iniziato a mostrare tutta la sua natura senza riserve.

Il Lord aveva usato il suo potere per far sollevare il vento e la sabbia fine, creando una specie di foschia che assorbiva e disperdeva gli incandescenti raggi solari.
Djedefra alzò lo sguardo verso l'obelisco che sembrava bucare il cielo di fuoco e vide il demone dagli occhi d'oro e il capo d'argento scrutarlo da lontano.

Non lo vedeva bene, i suoi occhi mortali, disturbati anche dalla piccola tempesta di sabbia, non erano in grado di guardare da quella distanza, ma il Lord riusciva ad osservarlo perfettamente. 

«Potente demone della Duat, creatura dalle mille forme» lo invocò il faraone aprendo le braccia. «Ti ho combattuto per anni, ma credo che sia giunto il momento di scendere a compresso. Io esilierò mio padre nella terra rossa, sarà il deserto a scegliere il suo destino. Ma voi lascerete vivere in pace la terra del Nilo».

Il faraone parlava con voce chiara e solenne nonostante la sabbia, e non aveva mai spostato lo sguardo da quella figura nera in cima all'obelisco.

In un istante la struttura iniziò a frantumarsi fino a crollare su se stessa. Il faraone si scansó di alcuni metri per non essere travolto e quando la polvere e il vento cessarono di sferzare l'aria, l'uomo si trovò il vampiro dinanzi ai suoi occhi.

Era annichilito da quella presenza imponente, molto più alta di qualsiasi Egiziano sulla terra di Kemet. Djedefra aveva speso tutta la giovinezza a combattere le sue armate di mummie riesumate, di animali preda della pazzia, eppure non lo aveva mai visto di persona. L'uomo deglutì con occhi sbarrati.

«Se vedrò tuo padre strisciare nell'afa della terra sterile, allora l'Egitto sarà libero» disse per poi volare via con un poderoso colpo d'ali, senza attendere nessun altra risposta.

Il sole era solo un mezzo disco solare che si preparava al travagliato viaggio nella Duat e che, grazie alle preghiere, sarebbe sopravvissuto e risorto dando vita al ciclo continuo della creazione.

Non era un caso se il demone alato era scomparso proprio quando il sole era ad un passo dall'oltretomba: Djedefra e il suo popolo erano convinti che fosse proprio la Duat la sua dimora ed era lì che vi aveva nascosto sua figlia.

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