Le ombre della Serenissima - Parte I
1757, Repubblica di Venezia
Il viaggio per mare era stato privo di avvenimenti; i venti si erano mantenuti tesi e la galea procedeva boccheggiando. Dike pensò che si trovava una certa pace nell'abbandonare il proprio destino ai capricci del mare, quasi come nel cedere al volere dell'amore. I pensieri correvano costantemente a Reaper, lontano, dall'altra parte del mondo. Non erano mai stati divisi per un tempo così lungo, ma era stato necessario. Quello che la turbava di più era il fatto che si erano lasciati in malo modo. Lei non gli aveva ancora perdonato il massacro di Philippe de Touret e dei suoi uomini che Reaper aveva perpetrato per vendicare lei.
La mano andò alla guancia destra, dove il taglio aveva lasciato il posto a una lieve striscia bianca. Mal di poco, si disse, non poteva specchiarsi essendo cieca dalla nascita.
Percepì Jack alle sue spalle.
«Vieni accanto a me e dimmi cosa vedi.»
Il Matto si accostò a lei. Se Dike gli chiedeva di descrivere, voleva dire che aveva bisogno di essere distratta. Di solito percepiva l'ambiente che aveva intorno con tutti gli altri sensi; la vista non le era necessaria. Era preoccupata, si notava dalla ruga che increspava la fronte liscia. Reaper lontano e Vivienne fuggita chissà dove. Non aveva visioni da molto tempo, ma una sensazione di ansia gli attanagliava lo stomaco.
Non per Reaper. La Morte si stava dedicando alla sua attività preferita, sterminare uomini. La guerra era il suo ambiente naturale. Con lui inoltre c'erano Watt, La Torre, e Devil, Il Diavolo. Compativa l'uomo o l'arcano che si fosse trovato sulla loro strada.
Era la fuga di Vivienne, L'imperatrice, ad angustiarlo. Lei era instabile.
«Jack, i tuoi pensieri sono rumorosi... »
Lui la guardò, gli occhi bicolore si addolcirono.
«Scusami... »
Dopodiché si dedicò a raccontargli tutto ciò che vedeva.
Gabbiani dalle ali bianche volteggiavano intorno ai tre alberi, dato che si mantenevano sempre a una mezza giornata dalla costa. Lui li trovava graziosi, se non per il fatto che seguivano la scia di rifiuti provenienti dalla loro galea, scendendo a ripulire le acque da interiora di pesce e altre sostanze di scarto.
Stavano risalendo la costa, superando minuscole isole; brulla roccia protesa nell'oceano, adatta solo ai gabbiani e ai pescatori più poveri.
La vedetta nella coffa in cima all'albero maestro lanciò un grido e oltrepassarono l'isola che segnava il confine estremo delle acque della Serenissima. A differenza delle altre, quella non era uno scoglio brullo e grigio: fronteggiava il mare con una scogliera vera e propria, balze scoscese di basalto nere che torreggiavano rabbiose sulle onde che si infrangevano con forza nella parte sottostante.
Presto la vedetta gridò di nuovo, e immediatamente Jack vide dinanzi a loro una lunga linea bassa della lingua di terra che chiudeva la grande laguna della Serenissima. Si estendeva quasi per l'intera imboccatura di essa, vasta e lunga circa sette leghe, a formare una barriera naturale ben controllata dalla marina. Avvicinandosi allo stretto passaggio d'acqua che interrompeva la linea di terra, si potevano vedere molte altre navi, di tutte le fogge e dimensioni, che issavano bandiere di ogni tipo.
All'imbocco dello stretto furono circondati da una flotta di gondolini, la cui inconsistente minaccia era sostenuta da torri di guardia su entrambi i lati e dalla presenza della marina all'interno della laguna. Il loro permesso di transito era in ordine, e in breve tempo fecero loro cenno di passare. Così entrarono in laguna e per la prima volta Jack poté vedere La Serenissima.
Gli abitanti della città affermavano che fosse la più bella del mondo, e non poteva che essere d'accordo con loro: era davvero una visione meravigliosa, quella di una città che s'innalza sull'acqua. Prima del viaggio aveva letto il più possibile, e sapeva che era solo grazie a un immenso lavoro, sempre in corso, infatti era stata costruita non sulla terraferma ma su isole e paludi, dragate, prosciugate e collegate da ponti, spesso allagate, continuamente bonificate.
«L' Arsenale!» disse con reverenza, facendo cenno a un vasto cantiere navale cinto da mura alle loro spalle, «Ospita una delle migliori marinerie del mondo».
Mentre piegavano lungo l'ampio molo, puntò semplicemente il dito, quasi come se lei potesse vederlo. «Il Campo Grande. Là c'è il palazzo del Doge.»
Entusiasta indicò la grande piazza, un'estesa spianata di marmo che si apriva sul mare come un terrazzo. Al centro, dove rasentava le acque, c'era un'alta colonna con in cima una statua. Alla sua sinistra c'era il palazzo del Doge, un lungo edificio a più piani realizzato in marmo bianco, con una parte striata di rosa incredibilmente intensa nella luce fulgida. Era la sede della politica della Serenissima, non soltanto la casa del Doge; dietro quelle pareti erano ospitati la Sala della Magistratura, la Camera del Consiglio Maggiore, e anche il Libro d'Oro, in cui erano scritti i nomi delle Cento Famiglie Notabili considerate adatte a ricoprire cariche e uffici.
Accanto, all'estremità della piazza, c'era la Basilica, con le tre cupole a punta. Riuscì a vedere poco perché la piazza era invasa da un grande mercato, coi banchi che occupavano spazi preordinati indicati da mattoni bianchi. La folla era in massima parte composta da abitanti della Serenissima, ma c'erano anche volti stranieri.
Entrarono all'imbocco del Gran Canale. Era uno splendore di abitazioni sontuose ed eleganti, con balconate e scale a chiocciola che portavano al molo, cui erano attraccate imbarcazioni simili alle gondole, ma più grandi e lussuose, con baldacchini e dipinte in colori vivaci, piene di ori e intagli. Stavano passando in mezzo alle case delle Cento Famiglie Notabili.
Poi navigarono sotto un grazioso ponte ad arco acuto di Rio Alto, che collegava le isole maggiori alla Serenissima, di un'altezza sufficiente a garantire il passaggio di una galea, mentre alla loro destra si stagliava il Fondaco di loro proprietà.
Il comandante stava già gridando ordini agli uomini sul molo, e i rematori sollevavano tutti insieme i remi da un lato in segno di saluto, mentre la galea sguazzava nelle profonde acque verdi del canale e i marinai gettavano le cime a terra, facendoli finalmente attraccare in porto.
Erano arrivati alla Serenissima.
Dike, Tempérance e Jack si erano sistemati in un'elegante dimora sul Gran Canale, fianco a fianco con le Cento Famiglie Notabili.
La camera di Tempérance dava sulla balconata, e fu per lei una sensazione strana e meravigliosa svegliarsi non sapendo dove si trovasse, con la luce ondeggiante riflessa dall'acqua del canale che giocava sulle pareti della stanza. Aveva dormito per dodici ore. Era un peccato dover aprire gli occhi a quella vista senza nessuno accanto.
Per quel primo giorno nella Serenissima voleva apparire al meglio. Indossò un vestito di seta color albicocca, con del broccato d'oro su cui erano appuntate minuscole perline. Raccolse i lunghi capelli biondi con una retina d'oro, indossando un paio di orecchini con pendente di perla. Venezia la aspettava.
I giorni seguenti, insieme a Jack e Dike, visitarono molto della Serenissima e furono accettati nella società dei pari. D'altronde con una lettera di presentazione del Re di Francia non poteva essere diversamente.
Era iniziata una stagione di ricevimenti, in cui i giovani notabili tenevano feste stravaganti. Erano riunioni in cui i giovanotti formavano gruppi per parlare di politica e le donne per discutere di storie d'amore e di moda, sotto l'occhio attento di una mezza dozzina di chaperons. Le donne sposate godevano di qualche libertà; le ragazze di pochissime. Sia lei che Dike risultavano nubili e sotto la tutela di Jack. La cosa la faceva sorridere perché nella realtà erano loro due a occuparsi di Jack. Infatti Il Matto, oltre ad avere spesso crisi divinatorie, era inerme come un bambino. Era l'unico tra di loro a non saper combattere.
A quei ricevimenti Tempérance si divertiva, soprattutto quando c'erano danze e intrattenimenti. Non aveva il carattere austero di Dike o la ritrosia di Vivienne a intrattenersi con gli umani. Lei amava i piaceri della vita così come il loro fratello Ra. Ma Il Sole era stato mandato da Dike alla ricerca di Vivienne che era misteriosamente scomparsa, durante una sosta del viaggio via terra, prima di imbarcarsi.
Se ci fosse stato anche Ra si sarebbe divertita ancora di più. Vivienne e i suoi colpi di testa! Scacciò i pensieri molesti e si concentrò sul ricevimento della sera.
Durante le feste venivano combinati numerosi matrimoni. I rampolli delle Cento Famiglie Notabili si accalcavano intorno a lei come api sul miele. Una bellezza fuori dal comune unita al carattere solare e al patrimonio dei De Chêne erano una miscela irresistibile. Meno male che Jack, come tutore, respingeva quelle ridicole proposte.
A volte sentiva un po'di invidia per i sentimenti che nutrivano Dike e Reaper. Per Tempérance gli arcani con cui era cresciuta erano dei fratelli e basta, e gli altri nemici da combattere. Per quanto riguarda gli umani, come poteva prenderli in considerazione, visto che lei era immortale, una sorta di divinità sulla Terra? Poteva nascondere i suoi poteri, ma non il fatto che non invecchiasse.
Volse lo sguardo a Dike, seduta accanto a lei. Aveva tutta l'aria di volersi trovare altrove. Veniva a quei ricevimenti per far contenta lei.
A un tratto un'espressione allarmata le passò sul viso. C'era qualcosa che non andava. Cercò Jack con lo sguardo, lo vide impegnato a discutere l'ennesima offerta di matrimonio. Sembrava tranquillo.
Dike la prese per mano, lei la seguì senza chiedere.
Mentre lasciavano la stanza affollata, un richiamo esplose nella testa. Ti ameremo. A modo nostro. Un Arcano. Se lo trovarono davanti in una saletta calda e soffocante. Un braciere ardeva nella stanza, e alle finestre erano appesi tendoni di velluto che tenevano fuori l'aria e la luce.
Un uomo e una donna, esili e con una criniera di ricci colore del bronzo dorato, le squadrarono dall'alto in basso con splendidi occhi viola. Sulle loro teste un tableau mostrava i due che stringevano tra le braccia una terza figura e sopra di loro un Cupido nell'atto di scoccare una freccia in direzione di uno dei due. Non c'erano dubbi. Era la carta numero VI. Gli Amanti.
«Sorella, me le aspettavo più imponenti!» disse l'uomo rivolto alla donna.
Nelle mani di Tempérance apparvero due pugnali a forma di tridente. Non c'era tempo per i convenevoli, erano nemici. Gettò un'occhiata di lato per assicurarsi che anche Dike fosse pronta. Si rilassò, anche lei aveva sguainato la spada. Quell'attimo di distrazione le fu però fatale. La donna degli Amanti aveva già scoccato una freccia nella sua direzione, ma l'impatto con il corpo non arrivò perché Dike l'aveva deviata con la spada, lasciando però scoperto il suo fianco sinistro, che fu colpito dalla freccia dell'uomo. Cadde in ginocchio.
«Dike!» urlò Tempérance.
Il grido disperato della compagna lacerò le orecchie sensibili dell'altra. «Non... perdere la concentrazione!»
Tempérance cercò di mettere da parte la preoccupazione. Alzò i due pugnali e s'interpose tra Gli Amanti e La Giustizia.
«Quale ti ha colpita?» non resistette dal chiedere.
«Credo... dol... »
Un gemito strozzato impedì a Dike di continuare.
Gli Amanti avevano due tipi di frecce che dispensavano dolore o follia. In entrambi i casi, Dike non poteva aiutarla, né permetterle di usare il suo potere, annientare con il peso dei peccati. Per farlo aveva bisogno che almeno una delle sue mani fosse libera. Ma non poteva abbassare nessuno dei due tridenti, avrebbe esposto Dike e sé stessa alle frecce dei gemelli. Ne intercettò proprio in quel momento una destinata a lei. Se non si fosse distratta all'inizio, si sarebbero già sbarazzate di quei due mostri. Perché con quale altro nome avrebbe potuto chiamare chi usava l'amore per ferire e uccidere? Aveva sentito storie raccapriccianti sull'arcano Numero VI. Paralizzavano le loro vittime con le frecce e poi si divertivano a torturarle prima di ucciderle. Erano entrambi molto alti con lineamenti marcati e gli occhi del colore dei lillà che brillavano di malvagità.
«Non puoi resistere a lungo» disse la donna ridendo. Tempérance ignorò le parole beffarde, restando concentrata e intercettando le frecce che i due ora scagliavano senza sosta. Non c'era possibilità di fuga, i gemelli occupavano l'unica uscita dalla stanza. Doveva resistere a tutti i costi.
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