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9. Come un padre

Il tempo a nostra disposizione è così tanto da poter permettere di fermarci ogni qual volta la mini vescica di Marco lo avverta di doversi svuotare. Le temperature si stanno già alzando, il paesaggio è cambiato da un pezzo; il freddo guardrail che circonda le stazioni di benzina è stato sostituito da un muretto di pietra a secco, una statua della Madonna proprio di fianco al distributore mi strappa un sorrisetto.

Siamo all'altezza di Bari, la bianca e soleggiata Bari.

Mancano pochi chilometri alla casa dei nonni di Paolo, massimo un paio di ore di viaggio.

Quanta strada abbiamo percorso, e quante città abbiamo superato: Ravenna, Porto Recanati, San Benedetto del Tronto, Termoli, e poi Foggia...

«Ora alza il piede mooolto lentamente.» suggerisce Paolo a Sam, al posto del guidatore.

Gianluca mi ha rubato il sedile centrale posteriore per poter guardare meglio, Paolo siede laddove fino a poco prima c'era Sam. Mi poggio alla portiera chiusa per usarla come schienale.

La macchina sobbalza e si spegne. Sempre meglio che rischiare di schiantarsi contro una palma, come successo qualche tentativo fa.

Sam sbuffa.

«Che palle.»

«La partenza più schifosa che io abbia mai visto.»

«Taci, tu!» ringhia a Gianluca.

Paolo non ribatte, ma non si prende nemmeno la briga di negare. Si limita a poggiare un gomito sulla guida del finestrino.

«Ora che prenderai la patente... avrai alle spalle molto più esercizio.» lo rassicura.

Sembra di assistere alla lezione impartita da un padre ai propri figli — il che è triste, se si considera che Sam, un padre, non l'ha mai avuto.

In ogni compagnia c'è sempre qualcuno con una storia struggente alle spalle, nel nostro caso si tratta di Sam. Potrebbe scrivere un'autobiografia strappalacrime, postarla sul web e far commuovere schiere di quindicenni, eppure riesce sempre a continuare per la propria strada con spensieratezza.

Ogni tanto, quando tutti si dimenticano di me e io rimango sola con me stessa, mi capita di fermarmi per pormi delle domande: che sia questo ad averlo agganciato al nostro gruppo? Il fatto che Paolo, con la sua immensa saggezza, si faccia carico di istruirlo e fornirgli conoscenze che suo papà gli ha a sua volta impartito?

«"Ora che prenderai la patente", sì, perché di questo passo dovrò ripetere l'esame venti volte.» continua a borbottare.

Le orecchie gli si colorano di rosso, non so dire se per rabbia o per vergogna. Lo sghignazzare sotto i baffi di Gianluca, poi, non aiuta. Paolo si volta per allungare una mano e tirargli uno scappellotto.

«Ne ho anche per te!» lo minaccia, prima di riportare la propria attenzione su Sam.

Gianluca si mette a ridere.

«Inutile prendersela così: magari poi sarai tu a portarci in vacanza, un giorno.»

«Sì, come no.»

Lancio un'occhiata furtiva all'espressione interessata che Gianluca rivolge ai pedali della macchina di Paolo. Tra noi cinque, sembra il più propenso a offrirsi volontario per il ruolo di guidatore. Ha le labbra schiuse, allunga il collo per vedere meglio, e non mi lascio sfuggire nemmeno il modo in cui gli angoli della bocca sembrano sollevarsi verso l'alto. Sentendosi osservato, ruota il capo nella mia direzione.

Beccata.

Non faccio nemmeno in tempo a far finta di niente. Mi rivolge un sorriso, inizia a giocherellare con l'orlo dei bermuda di jeans. Ma è questione di un secondo, perché subito dopo torna a guardare il trafficare di piedi di Sam.

La macchina appena accesa si rispegne di nuovo con un sobbalzo in avanti.

«Ci rinuncio!» esplode Sam.

«Devi esercitarti.» rimarca Paolo. «D'accordo che sono nettamente migliore di voi, ma cosa pensi? Che io sia nato imparato?»

Sam sembra poco convinto, ma continua a sfiorare la frizione con il piede sinistro come se morisse dalla voglia di riprovarci.

«Levati di torno, tocca a me.» s'intromette Gianluca.

Mentre si affaccenda per uscire, Paolo mi lancia un'occhiata maliziosa. Non promette niente di buono. Valuto l'idea di dileguarmi e andare a fare pipì come Marco.

«Sono un po' stanco.» annuncia.

Si stiracchia come un gatto dopo un lungo pisolino, il suo sorriso di allarga e si slaccia la cintura di sicurezza.

«Virgi, tu che c'hai la patente, vuoi istruire il buon Fuma su come si guida una macchina?»



Veniamo svegliati alle nove dal responsabile del campeggio, quello che abbiamo ricattato ieri sera. Ci bussa alla porta come un forsennato, blaterando a proposito del Check-out fissato a dieci minuti prima e di una famigliola prenotata per quello stesso pomeriggio.

Gianluca si rizza a sedere, sbadiglia come un ippopotamo e mi mostra tutta la schiera di denti definitivi. Marco si muove per automatismo, come se avesse programmato in anticipo tutti i propri movimenti — cosa che, conoscendolo, avrebbe anche potuto fare. Come faccia a essere ancora così assonnato nonostante tutte le ore di dormita che si è fatto, resta un mistero.

«Che palle.» mormora Gianluca, stiracchiandosi.

Adesso sembra un micio. Ha i capelli biondi spettinati, le labbra gonfie e gli occhi socchiusi, ma sfoggia comunque un aspetto migliore di quello di ieri.

«Buondì, Virgi.» mi saluta.

«Ciao, Fuma.» s'intromette Emme.

«Sì, cià cià.» replica frettolosamente.

Quando sollevo il capo, la figura slanciata di Sam si staglia contro l'uscio della camera da letto. È già vestito e così energico da lasciar pensare che i quattro caffè di ieri sera di Gianluca abbiano in realtà avuto un effetto ritardato su di lui. Non ho le energie necessarie a domandarmi perché, allora, non ci abbia svegliato prima.

«Buongiorno, bimbi belli.» esordisce. «Sono andato al bar a comprarvi delle brioches e mi sono bevuto un bel caffettino pressato a centocinquanta bar. Sono carichissimo.»

Marco lo guarda come se non avesse capito una singola parola. Incredibile la differenza tra loro due: Sam chiude gli occhi una manciata di ore, e si rialza fresco come una rosa; a Marco non basterebbe una vita per sentirsi riposato.

«Sam, troppe parole.» borbotta Fuma.

Ha dormito in mutande e, per quanto io cerca di trattenermi, non riesco a non guardargli il sedere. Se non altro lo sforzo è sufficiente da darmi una svegliata e riesco anche ad afferrare il senso della cascata fonetica di Sam.

«Guido io oggi, non accetto no.» conclude infine.

Dà le spalle a Gianluca per non lasciargli il tempo di controbattere.

Ora che siamo — più o meno — tutti svegli, non ci resta che prepararci (alla svelta) e partire prima che chiamino i carabinieri.



Se dovessi fare un paragone tra la guida di Gianluca e quella di Sam, potrei dire che mentre il primo sembra star conducendo un'utilitaria con dentro i propri figli, il secondo pare voler imitare un circuito della Formula Uno. Artiglio di nuovo il mio sedile, lo spremo come una pallina antistress e non smetto di lanciare occhiatine a Gianluca: chissà che angoscia sta provando lui, dal momento che oltre a trovarsi seduto davanti, la macchina che verrebbe distrutta in caso di incidente sarebbe la sua. Aggiungi poi la morbosità con cui Fuma tratta questa benedetta Panda, e si arriva ad assaggiarne il terrore.

L'unico vero indizio di nervosismo sono le dita avvolte attorno la maniglia sopra il finestrino. Ogni tanto la strattona come se volesse issarsi oltre il tettuccio, ma è sempre una questione di pochissimi istanti.

Io, nel mio piccolo, non posso fare a meno di pensare alla Smart di Sam — ridotta alla stregua di una scatoletta di tonno in un compattatore, appena qualche mese fa — e la sua figura accanto a essa, con l'espressione incredula di chi non comprende contro cosa si sia andato a schiantare e come abbia fatto a uscirne illeso. Fossi in lui, avrei già considerato di imboccare la strada dei Voti. Paolo aveva scherzato sul fatto di essere stato talmente tanto un buon maestro, da avergli trasmesso in modo migliore anche l'abilità di sopravvivere e che così ne fosse rimasto sprovvisto.

A vedere Sam con un volante tra le mani, considero come il nostro amico compianto avesse previsto anche un'altra sottigliezza: alla fine è riuscito a portarci in vacanza, più o meno.

«Fuma», lo chiama questo, «mi tiri fuori la Settimana Enigmistica?»

Gianluca gli lancia una finta occhiataccia.

«Non ci penso nemmeno.»

«Perché?»

«Perché se ti distrai ci ammazzi tutti.» dopodiché gli tira uno scappellotto. «E rallenta, che tra un po' mi si smonta la macchina per quanto vai veloce.»

Sam ridacchia compiaciuto.

Osservo Marco di sottecchi: sono così abituata a vederlo sonnecchiare con la guancia sul finestrino, da sembrarmi bizzarro trovarlo sveglio e intento a seguire con gli occhi lo sfrecciare del guardrail a bordo strada. Paura o compiacimento?

«Volevi arrivare in Puglia il prima possibile? Tiè, eccoci qui.»

Mi lascio scappare una risatina con l'obiettivo di attirare l'attenzione di Gianluca; da quando siamo partiti, non mi ha più rivolto la parola o uno sguardo. La carineria che mi aveva riservato al camping doveva essere per davvero da imputare tutta a una messinscena per impietosire lo staff. Sono delusa, anche se in cuor mio l'ho sempre saputo.

«Quanto manca?» interviene Marco.

Il mio sghignazzo è passato inosservato addirittura a chi mi siede di fianco, vorrei tirarmi un ceffone da sola.

Gianluca getta un'occhiata al cellulare.

«Questo coso dice tre ore.»

«Anche ieri lo diceva.» commenta Sam lugubre. «Giuro che se ci gioca lo stesso scherzo, lo butto nel primo canale che trovo.»

«No, no, sono fiducioso. Guarda che strada libera!»

«Ecco, l'hai chiamata.»

Gianluca abbassa il finestrino per poter cacciare fuori il braccio. Lo vedo finalmente cercare di lanciarmi un'occhiata dallo specchietto dell'ala parasole, ma non riuscendo a trovarmi è costretto a ruotare tutto il capo. Mi accelera il battito e mi strofino le mani sudate sulle gambe.

«Contenta?»

Non volevo nemmeno partire, dovrei rispondergli.

«Molto.» mi ritrovo a mentire.

Rimane un attimo a guardarmi, mi sorride senza mostrare i denti. È come se il tempo sia appena rallentato, mi sembra di essere finita in una fiction per adolescenti accaldati

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