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3. La macchina del capo ha un buco nella gomma

Siamo in coda da troppo tempo.

Impazzisco.

Potremmo svoltare a destra e superare tutta questa fila, se solo avessimo il Telepass. E invece eccoci qui, a sbuffare e a picchiettare i piedi per scaricare la frustrazione, mentre attendiamo di poter pagare come nel medioevo: con i contanti.

Gianluca ha il gomito poggiato sul finestrino aperto, si regge la testa con il palmo. Continuo a gettare occhiate allo specchietto retrovisore, ma non lo sorprendo mai a guardare noi dietro. Forse perché non lo fa e basta, per quanto io continui a sperarlo.

Marco apre finalmente gli occhi.

«Non dormirò nulla in questo viaggio.»

I due ragazzi davanti si voltano per guardarlo con sopracciglia inarcate, io schiudo le labbra per l'incredulità.

«Ma sei hai dormito fino a ora!» contesto.

«Avevo solo gli occhi chiusi.»

«Russavi vagamente.»

Scrolla le spalle e si infila le cuffiette del cellulare nelle orecchie a sventola, senza tuttavia far partire la musica. Incrocio lo sguardo perplesso di Gianluca, prima che lo riporti sulla strada davanti a sé.

«Da quanto siamo in viaggio?»

«Un'oretta, più o meno.»

«Cosa mi sono perso nel frattempo?»

«Mica eri sveglio?»

Sam sorride, Fuma mi cerca con lo sguardo attraverso lo specchio. Marco, invece, assorbe la domanda quasi con indifferenza. Scrolla di nuovo le spalle.

«Non molto: solo buona parte di una coda interminabile e i genitori di Virginia che la compiangono come se stesse andando al patibolo.» scherza Sam.

La macchina che ci precede si muove a passo d'uomo di qualche metro, sospiriamo tutti quasi ci si fossero aperte davanti le porte del paradiso. Poi ci fermiamo di nuovo e ci richiudiamo nel nostro sconforto. Il navigatore aggiunge dieci minuti di ritardo ogni sessanta secondi. Vorrei piangere.

Fuma si passa una mano tra i capelli biondi per l'ennesima volta. Lo fa spesso quando qualcosa non va o quando è sovrappensiero. Ogni volta osservo le trame chiare della sua chioma richiudersi sulle sue dita bianche con ammirazione, neanche io stia osservando il dettaglio meticoloso di qualche quadro rinascimentale.

«Devo fare pipì.» dichiara poi Emme, dopo qualche minuto di silenzio.

Lo dicevo, io, di conoscere i miei polli.

«Quand'è il prossimo Autogrill?»

«Quando riusciremo a superare questo maledetto casello.» borbotta Fuma.

«Di questo passo, Emme, ti converrà scendere e andare a pisciare contro il guardrail.» s'inserisce Sam.

«Come ha fatto Paolo.»

Ricordo ancora quel giorno, così come ricordo la netta differenza tra il sano rossore della sua pelle di prima, e il pallore malaticcio delle gote smunte degli ultimi tempi. L'espressione malinconica di Gianluca mi comunica che non se l'è dimenticato nemmeno lui.

«Stavamo facendo questa precisa tratta.» sussurra.

Mi viene il dubbio che abbia deciso di portarci tutti in Salento solo per onorare la sua memoria. Forse vuole ripercorrere tutte le strade che abbiamo fatto con lui e ogni giorno tirare fuori dal cappello una storia diversa. Lui e Paolo sono sempre stati molto affiatati, ma solo ora che non c'è più mi rendo veramente conto di quanto profonda fosse la loro amicizia.

Vorrei allungare una mano per posargliela sulla spalla ma, come al funerale, non oso.

La macchina davanti slitta in avanti. Tratteniamo tutti il fiato, siamo a un solo posto dal pagare il pedaggio. Non appena affianchiamo la nostra torretta, Gianluca quasi lancia le monete al casellante. Quando la sbarra davanti a noi si solleva, non riusciamo a trattenere un'esclamazione di gioia. Sam scuote la gamba di Gianluca e per poco non sbandiamo.

«Ma sei scemo?!»

«Altri cinque minuti là in mezzo e avrei dato fuori! Via, andiamo via di qui. Tappa per Riccione!»

«All'Autogrill.» puntualizza Marco.

«Sì. Andiamo via di qui, all'Autogrill e poi per Riccione.» acconsente Sam.

Abbiamo appena superato anche Piacenza. Smetto di fare pronostici sulla durata di questo viaggio perché sospetto di essere io a portare iella.

Secondo i miei calcoli, avremmo già dovuto fare dietrofront una cinquantina di chilometri fa, ma Marco ha fatto pipì ed è risalito in macchina senza fare storie. La più critica in questa macchina per il momento continuo a essere io.

Per Fuma, però, questo e altro.

Sam ha deciso di fare una pausa dalle sue parole crociate e si sta accanendo sulla radio di Gianlu: cambia stazione ogni tre secondi, il tempo di sentire di che parlano e poi zac, avanti la prossima. Abbiamo sentito il ritornello del tormentone estivo di quest'anno un qualcosa come sette volte.

Procediamo lenti.

Voglio piangere; a giudicare dal filotto di macchine, arriveremo in Puglia alla fine della settimana da me ipotizzata.

«Sapete cosa non ho ancora visto?» prorompe Gianluca all'improvviso.

Senza staccare il dito dalla radio, Sam gli lancia un'occhiata curiosa.

«Mi dica.»

«I giornalisti con le loro dirette sul traffico. Sapete che bomba di servizio uscirebbe, con un delirio del genere.»

Annuisco anche se non credo mi stia guardando.

«Avoja. Va che la strada da qui a Otranto è ancora lunga. Facciamo in tempo a incontrarne dieci, di giornalisti.»

La macchina davanti a noi frena di nuovo.

Gianluca porta la testa all'indietro. Immagino quanto possa essere estenuante per lui: noi possiamo dormire e saltare a piè pari tutto questo casino, lui è costretto a stare sveglio e a sorbirselo. Spero che chieda di fare cambio guidatore e che venga a sedersi dietro con me, anche se tutto questo movimento sarebbe un po' sospetto. Avrebbe più senso che si mettesse al posto di Sam.

Devo dire che mi manca averlo addormentato al mio fianco; approfittavo sempre del fatto che non potesse vedermi per guardarlo sonnecchiare.

Ritrovata la stazione sportiva, Sam lascia finalmente in pace la povera radio di Fuma. Le sue braccia indugiano immobili per appena una manciata di secondi, prima che il nervoso derivante dalla situazione abbia la meglio e lo spinga a cercare una nuova attività. Solleva il cellulare con una mano per fare una foto tutti insieme.

«Emme dorme?» mi domanda.

Marco ha la testa poggiata contro lo schienale del sedile di Sam. Gli sventolo sotto al naso una mano, schiocco le dita. Nessuna risposta.

«Sì.»

«Sai che novità...»

Gianlu sorride per l'istante in cui viene scattata la fotografia. Poi riacquista l'espressione imbronciata di prima. Mette le mani sulle dieci e dieci, le lascia scorrere sul volante come a volerlo accarezzare e si stiracchia la schiena.

«Vi faccio una proposta scandalosa.»

«Qualcosa di sessuale?»

«Quello più tardi.» e ammicca a Sam. «Adesso, alla prima uscita, prendiamo la tangenziale e ce la facciamo così fino a Bologna. Perché io, sulla A1 in queste condizioni, non intendo starci.»

In effetti dovevamo essere a Bologna due ore fa.

«Hai il mio pieno appoggio.» gli dico.

«E il mio.»

«Bene, perché l'avrei fatto con o senza.» ammette lui con tutta franchezza.

Lo colgo a lanciare un'occhiata allo specchietto retrovisore. Gli mostro il pollice.

Non siamo i soli ad aver fatto questo ragionamento di evitare l'autostrada, e adesso la tangenziale è intasata. Gianluca cerca di darsi un contegno, ma so che sta faticando a non lasciarsi andare in urla frustrate. La cosa peggiore è che se lo facesse, noi tutti gli andremmo dietro senza esitazioni.

Il viaggio con Paolo non era andato così. Quello era filato liscio, giusto qualche rallentamento all'altezza di Bologna che, con questo ritmo, noi vedremo al tramonto.

Avremmo dovuto partire molto prima, è il mio pensiero. Se non altro, così, ci saremmo evitati tutta questa gran scocciatura.

Sam ha ripreso in mano la Settimana Enigmistica, ha finito un cruciverba e ha festeggiato con un urlo che ha svegliato persino Marco.

Quando poi il traffico sembra diminuire, urliamo tutti.

«Sei un genio, Fuma!» si complimenta Sam.

Gianluca si compiace di sé, mantiene lo sguardo fiero sull'auto davanti la nostra, che adesso fila via veloce.

«Dipinse La Venere. Va beh, questa la sa anche un bambino: Botticelli.»

Sam scribacchia la soluzione, anche lui soddisfatto della propria arguzia.

«La stella più luminosa del cielo notturno. Virgi, qui sopra c'è scritto il tuo nome.»

«Sirio.» replico con ovvietà.

«Dovremmo andare al planetario, qualche volta.» mormora Gianluca.

Sulle mie labbra si forma un sorriso. Ci sono già stata qualche volta, ma l'idea di andarci con Gianluca mi trasmette una scarica di eccitazione. Mi domando perché non ci abbia mai pensato prima. Ci immagino seduti sulle sedioline girevoli del Planetario di Milano, a guardare stelle finte e ad ascoltare la storia delle costellazioni; dopodiché, una volta usciti, io punterei il dito contro Orione, gli parlerei proprio della Sirio che abbiamo appena citato, di Betelgeuse e del giorno in cui diventerà una supernova, per poi passare all'asterismo del Triangolo Invernale, che le contiene tutte e due. Lui ascolterebbe interessato — o almeno farebbe finta — e, quello che vedrei una volta terminata la mia spiegazione, sarebbe il suo sguardo ammirato, illuminato dalla luce calda dei lampioni e dal rosso dei semafori.

«Esclamazione volgare.»

È la voce di Sam a strapparmi dal mio sogno a occhi aperti e a riportarmi sul piano di realtà: è giorno, siamo in macchina, e per poter vedere al meglio il Triangolo Invernale dobbiamo aspettare ancora un paio di mesetti.

Fuma ci pensa su, Sam mordicchia il tappo della penna nera e io, per la prima volta messa davvero in difficoltà, non chiedo nemmeno di quante lettere sia la parola.

«Non abbiam—»

BOOM.

La macchina sobbalza, sbanda un po' prima che Fuma riesca a riprenderne il controllo. Abbiamo comunque tutti la sensazione che stia saltellando da un lato. Mi sento il cuore in gola per la paura. Avremmo potuto ribaltarci, scontrarci con le altre auto e ammazzarci.

«Merda.» impreca Gianluca.

Potrebbe essere questa la risposta del cruciverba, sì.

«Abbiamo bucato.»

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