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13. Paolo

Una piccola considerazione della me bambina: trovarsi davanti al muso quattro scelte nei momenti di difficoltà, come se si stesse partecipando a Chi Vuole Essere Milionario, sarebbe molto utile.

Divertente pensare come a distanza di anni io abbia cambiato idea su parecchie cose, ma non su questa.

Lo penso anche adesso, dopo aver aperto la porta della vecchia camera di Patrizia ed essermi ritrovata davanti Gianluca.

a) Posso spingerlo e buttarlo di sotto;

b) Posso sbattergli la porta in faccia;

c) Posso rimanere in silenzio e aspettare che dica la sua, di qualunque cosa essa si tratti;

d) Posso fare come nei film: afferrarlo per la canotta sudata e trascinarlo dentro. Per delle coccole o una lite coi fiocchi, non ho ancora deciso;

Mi sembra addirittura di poter sentire il ticchettio che partiva nel programma stesso, durante la breve frazione di secondo in cui i nostri sguardi si incontrano. Gerri Scotti mi guarda compiaciuto e cerca di darmi dei suggerimenti, che però io non riesco ad afferrare.

Vorrei tanto ripetere l'episodio di ieri sera, ma vorrei anche potergli tirare un pugno sul muso. Il sentore che mi stesse nascondendo qualcosa mi era anche balenato in testa, ma nei miei sospetti rientrava una mini-visita ai parenti a cui abbiamo già consegnato oggi i DVD o, magari, una capatina alla casa di riposo della nonna di Paolo — nella remota possibilità che questa potesse riconoscerci e piangere con noi il congiunto. Mai mi sarei immaginata che invece ci fosse in piano il prolungamento di tutta questa folle bugia, ancora verso una meta sconosciuta, ancora con l'inganno.

Prima che io possa aprire bocca o incenerirlo, solleva una scatolina ormai divenuta familiare.

Il CD di Paolo. Quello che noi stessi abbiamo consegnato alla signora Nunzia, peraltro.

Me lo immagino aspettare che tutti si addormentassero, solo per frugare in giro alla sua ricerca e presentarsi al mio cospetto con la refurtiva.

«Embé

«Non ce la faccio più, Virgi.» sussurra. «Questa cosa di non sapere che ci sia dentro mi uccide.»

Sbatto le palpebre un paio di volte. Lui inizia a picchiettare un piede. Sembra essersi consumato da ore, arrovellandosi su quel che il nostro amico possa aver registrato.

Poi la curiosità ha la meglio: compio un primo passo in avanti, lui indietreggia di uno e dopodiché di un altro, prima di darmi le spalle e avviarsi giù per le scale armato di torcia.

La signora Nunzia russa come una tuba intasata da una palla da tennis, sbronza persa di vino, limoncello e spumante. Meglio così.

Seguo Gianluca in punta di piedi, mi aggrappo al corrimano per evitare di mettere giù male un piede e ruzzolare per la scarsa luce. Si dirige spedito verso il soggiorno, dove un vecchio computer fisso giace inutilizzato da chissà quanto tempo. Quando lo accendiamo arranca come se gli avessimo chiesto di portarci sulla Luna; le ventole di raffreddamento girano talmente veloci da sembrare le pale di un elicottero. Nel silenzio confortante della notte, fa un baccano allucinante. Sveglieremo gli altri, che dormo ad appena una manciata di metri da noi?

Gianluca mi indica la sedia di legno davanti la scrivania, mentre lui si avvicina con un'altra simile prelevata dalla cucina. Si siede vicino a me, molto vicino — così tanto che riesco a distinguere senza problemi la nota agrumata del suo profumo preferito. Indossa sempre lo stesso per le occasioni speciali, avrei dovuto immaginare che se lo sarebbe portato dietro anche in questa follia.

L'unico momento in cui non ricordo di averlo percepito, è stato al funerale.

Vorrei poterlo inspirare a pieni polmoni, ma la rabbia per essere stata tenuta di nuovo all'oscuro di tutto mi consente di non cedere a questo piccolo piacere.

Lui, nel frattempo, poggia l'avambraccio sullo schienale della mia seggiola, il piede infilato tra le gambe legnose in una posizione aperta. Se potessi, mi ci accuccerei dentro.

Aspettiamo in silenzio che il PC si avvii; mi sento a disagio, spezzata a metà, in due segmenti opposti in continua lotta: a destra la voglia di cedere, a sinistra quella di continuare a portare la corazza. Come risultato, resto immobile al mio posto con la schiena rigida e dritta, mentre con lo sguardo seguo il cursore pixellato andare a cercare il CD di Paolo appena inserito.

Il video ci mette un po' a partire, ma quando lo schermo si fa nero tratteniamo entrambi il fiato. Tempo qualche secondo e Paolo ci guarda concentrato dal display del vecchio Samsung di sua zia. È pallido e stanco, gli occhi cerchiati di viola si socchiudono un attimo prima di spostarsi su quella che doveva essere la webcam del suo portatile; adesso è come se ci stesse scrutando per davvero. Sorride, si tira indietro e incrocia le braccia al petto. A me e Gianluca, invece, si stringe il cuore. Abbiamo fatto decine di videochiamate mentre era ricoverato, conosciamo questa scenetta a memoria, eppure adesso ci fa tutto un altro effetto.

«Ciao, zia!» esclama d'improvviso.

La sua voce limpida risuona per tutta la sala, gracchia attraverso le casse in un modo così squillante, da costringerci ad abbassarne il volume.

Per un attimo temo che Sam — Emme, in caso di bombardamento, morirebbe nel suo letto — possa uscire dalla sua camera e scoprirci; tuttavia, con il trascorrere di un paio di secondi, mi rendo conto che non accadrà.

Riusciamo a vedere le pareti giallo pastello del reparto di cure palliative, il muro attrezzato dove, in un periodo non troppo lontano, gli sono stati impiantati ossigeno e antidolorifici. La luce lattiginosa della stanza ci dà fastidio agli occhi, ma nessuno di noi osa distogliere lo sguardo.

«Accidenti, quanto tempo... sei anni, forse? Mamma mia, ho ancora in testa quel tuo favoloso polpettone ricoperto di pancetta.» continua Paolo, massaggiandosi il mucchietto di costole, all'altezza dello stomaco.

Si sforza di fare il simpatico per rendere tutto questo meno straziante, ma rimane comunque doloroso sentirlo ridere e chiacchierare. Sembra di assistere a una forza della natura, la foca che, nonostante stia per essere divorata dall'orca, cerca comunque di trascinarsi fuori dalla sua portata per avere salva la pelle. Gianluca guarda il monitor rapito, non sbatte nemmeno le palpebre.

«Mi spiace non poterci essere al matrimonio della Patty, ma come ben sai, ho l'agenda piena. I medici dicono che sarò bello impegnato per un altro mesetto, due al massimo. Poi chi lo sa cosa farò, magari passerò a dare un saluto allo zio e rispolvererò le regole di Burraco... auguri alla sposa, comunque!»

Un mese. Ha registrato questo video non più di quaranta giorni fa. È incredibile, sembra quasi che appartenga a una vita passata.

Paolo si schiarisce la gola, si porta alla bocca il pugno chiuso per dare un colpo di tosse e gli si vede l'accesso venoso al braccio.

«Ti starai chiedendo: perché mi fai questo? Magari in dialetto, cosicché nessuno capisca niente. Beh, non è meglio avermi in video, vivo e vegeto, che ti parlo del buonissimo pollo di cartone che mi servono qui, piuttosto che eternamente immobile in una fotografia? Non fare quella faccia, l'avrai comunque, so quanto ci tieni al tuo altarino di parenti morti. Ti arriverà con Poste Italiane, prima o poi.»

Mi distraggo solo per gettare un'occhiata alla mensola dedicata ai congiunti defunti, cerco di immaginarmi dove verrà messa la faccia di Paolo. Mi avvicino di qualche millimetro a Gianluca, come in cerca di conforto, ma lui resta paralizzato. È concentratissimo sul discorso di Paolo.

«Posa immediatamente il fazzoletto, non sono qui per farti piangere. Sono qui per fare quattro chiacchiere. Lo sai qual è il colmo per un cieco impaziente? Non vedere l'ora.» e si lascia andare in una risatina solitaria. «Era pessima, probabilmente sarà proprio questa terribile battuta a farti piangere, mannaggia a me. Senti, voglio raccontarti di quello che ho fatto in questi sei anni di lontananza: mi sono laureato in filosofia con centocinque, ma di trovare lavoro come insegnante neanche a pagarmi. Aveva ragione mamma. Non farle mai vedere questo video, a proposito. Non ho alcuna intenzione di dargliela vinta neanche da morto. Però ho scoperto che non mi spiace fare il cameriere, anche se la gente è una gran villana e lo stipendio è una miseria.»

Distoglie lo sguardo per puntarlo su un qualcosa di imprecisato nella sua stanza, forse la televisione spenta o la finestra aperta.

«E ti ricordi quei miei amici che ti ho fatto conoscere l'ultima volta che sono sceso da voi?»

Gianluca e io balziamo sulle rispettive sedie.

«Sapessi come sono cresciuti, stenteresti a riconoscerli! Non per fare il padre orgoglioso dei propri pargoli, ma i miei, di mostriciattoli, sono venuti su proprio bene. Sam, il gigantone, si deve laureare in ingegneria. Non chiedermi quando, però, ha più esami indietro da dare che ex fidanzate psicopatiche», si avvicina allo schermo come per dire un segreto, «e di quelle ne ha un botto. Sembra tanto figo, ma non ci sa proprio fare.»

Mi scappa da ridere, è più forte di me. Gli occhi mi si inumidiscono e me li asciugo con il dorso della mano.

«Emme era quello più silenzioso, il tappettino, e ha iniziato a lavorare da qualche parte come informatico. Non ne parla molto, ma so che gli piace tanto stare lì. Se mai ti servirà aiuto per resettare il cellulare o fare spazio per tutti i tuoi buongiornissimi con i gattini, fai uno squillo a mia mamma e chiedile il suo numero. Digli pure che ti ho mandato io, non mi maledirà affatto

Mi stringo nelle spalle; ormai siamo rimasti solo io e Gianluca da nominare. Mi chiedo chi sarà il prossimo. Il cuore mi batte forte.

«E poi c'è Virgi, la dolce Virgi. Si è laureata l'anno scorso in fisica a pieni voti e con tanto di bacio accademico, che non-sorpresa. Adesso è passata all'astrofisica, tanto per non deludere le aspettative. Te la ricorderai di sicuro, visto che era l'unica femmina del gruppo e l'hai scambiata per la mia fidanzatina. Ha cercato di dare ripetizioni a Sam un sacco di volte per salvarlo dal diventare fuoricorso, ma nemmeno lei ancora sa fare i miracoli. Che dire... è un'amica eccezionale, anche se non parla molto. Non la scambierei con nulla al mondo.»

La mano di Gianluca mi si posa sulla spalla per accarezzarmela. Mi avvicino ulteriormente a lui e farmi avvolgere da un abbraccio. È caldo, non riesco più a resistere mi concedo di inspirare il suo profumo. Sento il suo cuore battere furioso contro la guancia. Adesso tocca a lui.

«E infine quello scemo di Fuma, Gianlu. N'altro scansafatiche, ma almeno lui lo ammette. Ha fatto l'apprendistato come geometra e in qualche modo ha superato l'esame di stato, non mi è ancora chiaro chi abbia pagato. Scherzi a parte, zia, anche lui è un ottimo amico, il migliore, forse», la voce gli si ammorbidisce per l'affetto e io sento i muscoli di Gianluca tendersi contro di me, «Mi è stato tanto accanto in questo mio brutto periodo. Non mi ha mai voluto portare la roba buona da mangiare, lo stronzetto, ma è passato a trovarmi praticamente un giorno sì e l'altro no. Penso che senza di lui mi sarei annoiato parecchio.»

Paolo fa una pausa per bere un sorso d'acqua. Lo guardiamo deglutire con il fiato sospeso.

«È un gran tontolone, quello sì. Anche Virgi lo è, sotto sotto. Ma gli voglio un gran bene. Voglio un gran bene a tutti loro. Penso proprio che ti lascerò dei video e delle foto nostre, alla fine. Abbiamo girato tanto, ma non abbastanza. Mi sarebbe piaciuto poterli portare in giro ancora un po', magari in posti più lontani di Bellagio o Varese, ma che ci vuoi fare: in questo ultimo anno, stare al sole è stata una tortura.»

Mi ritorna alla mente quell'occasione in cui provammo a fare un giro sul lungo lago di Lecco e fummo costretti a rifugiarci in una gelateria perché sentiva la pelle andare a fuoco come effetto collaterale della Chemio. Ancora una volta una domanda stupida mi attraversa la mente: se la sarebbe mai immaginata una fine del genere?

«Avevo in programma tante mete: Siracusa, le grotte di Frasassi, San Marino... e poi non so, mi è sempre balenata in testa di andare a vedere il comune più a sud d'Italia, anche se probabilmente non c'è niente... però ha un che di romantico: "il comune più a sud della penisola".» ripete sognante.

Il suo sguardo si perde di nuovo, dopodiché ritorna sorridente sullo schermo di quello che era il suo computer.

«E niente, zia. Non voglio tirarla troppo per le lunghe, ho detto quello che dovevo dire. Inoltre tra poco mi portano un altro delizioso semolino senza sale, mi viene già l'acquolina in bocca al solo pensiero.» ironizza. «Fa' gli auguri a Patty e al suo futuro marito da parte mia. Auguri e figli maschi, o come si dice. Mai capito perché si dovrebbero volere dei figli maschi, ma chi sono io per discutere le aspirazioni altrui. Ci si vede in una prossima vita. Speriamo solo che sia più lunga di questa.»

Paolo manda un bacio alla webcam, giusto un attimo prima che s'intrometta una voce femminile che deve essere appartenuta a una dottoressa o a un'infermiera. Il video si interrompe all'improvviso e ritorna a essere nero. Parte una canzone: L'ultima notte. Dopodiché un selfie di noi cinque in macchina ricomincia a illuminare la stanza, seguito dalla foto di Paolo senza maglietta che cerca di piantare l'ombrellone in una spiaggia libera; poi ci sono io, seduta sul balcone di casa di Sam intenta a studiare per un esame; Fuma e io che giochiamo a Beer Pong contro Sam e Paolo; Emme che risolve un cubo di Rubik con la lingua di fuori... ricordi collezionati in sei anni che adesso sembrano essere distanti da noi dei secoli. Me lo immagino a sfogliarle sdraiato sul suo materasso antidecubito, in attesa del pasto successivo o di una nostra visita. Come si sarà sentito, sapendo che ogni sbirciata potesse essere l'ultima?

Gianluca inizia a tremare. Sollevo il capo per cercare il suo volto: è rosso, cerca di impedire alle labbra di piegarsi verso il basso. Mi guarda negli occhi per un paio di secondi, infine scoppia a piangere.

Non mi sento a mio agio in compagnia di gente triste, ma accolgo le sue lacrime con una sorta di sollievo: l'ho visto resistere e tirare avanti per tre giorni, tre giorni tutt'altro che piacevoli in cui il suo pensiero principale altro non è stato che Paolo. Sfogarsi gli farà bene.

Allungo una mano per passarla tra i capelli biondi, gli faccio abbassare la testa affinché la poggi sulla mia spalla. Non mi interessa se mi sporca il pigiama di muco nasale o se mi bagna la pelle tirata sulla clavicola, a malapena ci penso. È squassato dai singulti, ora che tutto il dolore può defluire fuori come un fiume in piena.

Rimaniamo così per minuti interi, mentre tutte le nostre foto scorrono al computer con transizione a scomparsa: Marco che gioca con un vecchio GameBoy, Io alla mia laurea che abbraccio Gianluca in una posizione non tanto diversa da quella di adesso, Paolo che si rade la prima vera barba, Sam che sfoggia alla fotocamera la patente nuova di zecca... non oso sollevargli il capo finché non decide di farlo lui di sua spontanea volontà. Si passa un braccio sugli occhi rossi, tira su con il naso e finalmente mi guarda.

«Sapevo che sarebbe finita così.» singhiozza.

Ha le guance rosse, ma non so dire se per imbarazzo o per il pianto.

«Però dovevo sapere cosa ci fosse sopra. E soprattutto volevo sapere perché non ne abbia registrate alcune anche per noi.»

Me lo chiedo anch'io. Anche se sarebbe stato troppo doloroso guardarle per un po', vorrei, in modo molto egoistico, avere un ricordo in più del mio amico.

«Forse perché noi queste foto ce le abbiamo già.» gli sposto dal viso una ciocca che, a causa delle lacrime, ha finito per inzupparsi e appiccicarglisi alla tempia.

Lui mi lascia fare e abbassa le palpebre al contatto.

«Sì, ma nessun messaggio, nessuna barzelletta pessima... niente di tutto ciò. E se avesse avuto qualcosa di inconfessabile da dirmi?» si passa un'altra mano sul viso. «Ci deve essere qualcosa, un'ultima dichiarazione o un ultimo racconto da ricordare.»

Lo vorrei anch'io. I suoi dubbi e i suoi desideri sono anche miei.

Sostengo il suo sguardo, lui allunga una mano per accarezzarmi una guancia. Non mi ritraggo nemmeno quando si piega in avanti per poggiare la sua fronte sulla mia. Potrei restare così per il resto della notte, a inspirare il suo profumo e ad ascoltare nient'altro che la voce di Paolo o il battito cadenzato del mio cuore.

A interromperci, però, ci pensa sempre il CD. La musica si ferma senza preavviso, sostituita dalle notizie di un telegiornale.

Ci voltiamo entrambi incuriositi.

Il faccione sbarbato di Sam occupa il 90% dello schermo per un secondo, poi ruota il cellulare in orizzontale per poter riprendere più cose con più facilità. Scorgiamo un piatto di plastica colmo di spaghetti al pomodoro, rattrappito a causa del troppo calore; in un angolo ci sono io che mi siedo al tavolo senza badare al trafficare di Sam. Riconosco subito il periodo: Capodanno di due anni fa, una manciata di mesi prima che si venisse a sapere del cancro di Paolo. La me del video a malapena presta attenzione alla telecamera o a Emme che le ruba da sotto il muso il sacchetto di formaggio grattugiato, guarda qualcosa davanti a lei. Paolo le balza vicino poco dopo, le poggia una mano sulla spalla e con l'altra indica il cellulare che Sam sta reggendo in mano. E finalmente riesco a scorgere cosa stesse osservando con così tanto interesse: Gianluca che si caccia in bocca una forchettata piena e rumina indisturbato, gli spaghetti che pendono dalla bocca come nelle commedie all'italiana. A pensare di apparire così persa ogni qual volta mi concedo di osservarlo, mi sento bruciare.

«Guardate in camera e dite tutti: buon anno.» istruisce Paolo.

Emme nemmeno gli dà retta, come se fosse da solo in stanza. Paolo conta fino a tre con le dita, poi fa un bel respiro profondo.

«Buon anno!» esclamiamo tutti insieme.

Siamo felici, spensierati, ancora non immaginiamo in che cosa ci stiamo andando a cacciare. Non sappiamo che Emme verrà operato di appendicite da lì a un paio di settimane, né che a Paolo verrà diagnosticato il cancro ai polmoni, tantomeno che sarebbe scoppiata una pandemia — una vera! Con milioni di morti e tutto — e che questa avrebbe ritardato le cure oncologiche del nostro amico, sancendone quindi la condanna.

Vorrei tanto poter tornare ad allora, quando eravamo ignari di tutto, ma so che nulla mi restituirà quei momenti. Paolo è andato, e con lui tutta la gioia di quel primo gennaio.

Il filmato finalmente si ferma. Sprofondiamo nella semi-oscurità. Gianluca mi stringe le mani. Ha le dita ferme, anche se in realtà so che vorrebbe poter continuare a tremare ancora un po'. Ora che ho assistito a tutto ciò e mi ritorna alla mente il tradimento subito, non riesco più a provare rabbia. Solo compassione. Compassione perché davanti a me ho un ragazzo ferito, addolorato per la morte di quello che è stato il suo migliore amico e forse l'unico fratello che abbia mai avuto. Compassione perché non ha agito per egoismo, ma per poter affrontare meglio il lutto e poter lasciare scivolare via Paolo.

Avrebbe potuto rendermi partecipe del suo piano, certo. Ma ormai non provo più delusione.

«Fuma.» lo chiamo dolcemente.

I suoi occhi trovano i miei.

«Siamo diretti verso il comune più a sud d'Italia, vero?»

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