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10. Presente e passato

Non mi sento a mio agio, ma Paolo spergiura che a casa dei nonni materni si usi fare così.

Non so, troverei molto scortese presentarsi a sorpresa alla porta di qualcuno, con la pretesa di guadagnarci un posto letto e un pasto per i giorni a venire.

Eppure la nonna di Paolo sembra sinceramente felice di trovarci sull'uscio della sua umile dimora, nonostante abbia già iniziato a manifestare apprensione per la cena. Lancio un'occhiata di sottecchi a Gianluca: sorride a trentadue denti, neanche fossimo dai suoi, di parenti.

La signora conversa in dialetto stretto e io non capisco un accidente, ma mi sforzo di non darlo troppo a vedere.

«Nonna! Ti ho voluto fare una sorpresa!» esclama Paolo.

Dopodiché ci indica con un movimento fluido del braccio, gli occhietti acquosi e sbiaditi dalla cataratta della donna si posano su di noi — anche se non so quanto riesca a vederci per davvero.

«Guarda: ti ho portato i miei amici, quelli di cui ti parlo sempre.»

La nonna di Paolo sorride, compie qualche passo malfermo nella nostra direzione e acchiappa Sam per le braccia. Mormora qualcosa di incomprensibile e lo tira per invitarlo ad abbassarsi. Credo che voglia baciarlo.

«Dov'è il nonno, nonna?» le domanda sempre Paolo.

La signora borbotta qualcos'altro in dialetto. Indica indignata Marco, come se qualcosa non le andasse bene.

«Lui è sciupato da sempre, nonna! Non preoccuparti, ci penserai tu a fargli mettere su ciccia.»

Pian piano ci avviciniamo tutti per baciarla ma, arrivata a me, mi si aggrappa ai capelli ricci per infilarci dentro le dita nodose. Non ho idea di che cosa mi stia dicendo, ma per fortuna interviene Paolo.

«Dice che sei proprio una bella ragazza.»

La signora mastica ancora qualche parola.

«Ora chiede se sei sposata.»

Scoppiano tutti a ridere, io, invece, stiro le labbra in un'espressione imbarazzata. Paolo poggia una mano sulla spalla dell'anziana per invitarla a lasciarmi stare.

«Non ancora, nonna. Su questo ci sto ancora lavorando.»

Mi strizza l'occhio. Arrossisco e mi volto d'istinto verso Gianluca. Il sorriso che mi rivolge e sento le guance diventarmi roventi — devono aver assunto il colore di alcuni fichi d'india che ho visto in giardino. Mi avvicino a Paolo solo per tirargli la manica e chiedergli dove sia il bagno, ma un attimo prima che io possa farlo, ecco spuntare da dietro la porta del salotto una ragazzina mora. La somiglianza con Paolo è appena accennata, ma il taglio degli occhi è inconfondibile. Non avrà più di tredici anni.

«Patrizia!» esclama Paolo.

Questa muove qualche passo guardingo nella nostra direzione, la nonna continua a parlare in quella sua lingua incomprensibile.

«Ti ricordi di me?»

Patrizia fa no con la testa. Paolo non si lascia abbattere.

«L'ultima volta che ci siamo visti avevi... sette anni, forse.»

Patrizia gli rivolge un lieve sorriso che finisce per mettere in mostra l'apparecchio metallico e i denti ancora fin troppo storti per poterlo togliere. Ci avviciniamo tutti per presentarci, ma lei non sembra felice come la nonna di averci tra i piedi. Il che è una sorpresa, dato che chiunque sarebbe rallegrato di trovarsi il buon Paolo in soggiorno. Noto però che continua a occhieggiare Gianluca.

Non appena ne ha occasione, sguscia via per non dover parlare con noi. La nonna di Paolo zampetta chiamando una certa Nunzia.

Che gioia, l'adolescenza.

«Ma è sicuro che sia tua cugina?» domanda Sam a Paolo, abbassandosi alla sua altezza per non dover alzare la voce.

«È solo un po' timida perché ci siete voi, in realtà mi adora.»

Difficile a crederci, dal momento che non si ricordava nemmeno della sua esistenza. Dopodiché ammicca scherzoso.

«O meglio: è timida perché ha visto te, Fuma.»

Gianluca si mette a ridere, io simpatizzo per la povera Patrizia. Ha avuto lo stesso effetto su di me.

«Che onore.»

«È che Lecco pullula di tue fan, se no da queste parti dovrebbe esserci anche mia zia: avrei potuto combinarlo a te il matrimonio.» continua Paolo.

Fa una piccola pausa.

Attende che gli altri si allontanino a prendere le valige per avvicinarsi a me e, con quel suo solito tono scherzoso, mormora:

«A meno che qualcuno non si dia prima una mossa e ti reclami.»



Sono le tre del pomeriggio.

La bianca villetta a schiera davanti a noi sembra riflettere la luce del sole come se si trattasse di uno specchio. Ha piovuto da poco, l'asfalto è ancora bagnato nonostante il caldo. La zona è tranquilla, i gabbiani volano alti nel cielo e in lontananza sentiamo Orietta Berti cantare la hit estiva per la decima volta in tre ore.

Abbiamo preferito fermarci a mangiare una Puccia in un chioschetto molto caratteristico, per evitare di sembrare dei completi villani e presentarci alla porta giusto in tempo per mettere i piedi sotto al tavolo.

Getto un'occhiata veloce al foglietto spiegazzato che Gianluca stringe tra le dita. L'ha scritto lui, perché la scrittura è troppo bella per essere appartenuta a Paolo.

Via dei Mille, n. 14.

A prima vista non noto differenze tra il presente e il passato. Se chiudo gli occhi posso anche fingere di essere sulla vecchia Volkswagen di Paolo, di trovarmi sul sedile centrale, con ai miei lati Marco e Gianluca — e non di essere arrivata fin qui su una Panda, guidata da Fuma e Sam.

Non siamo ancora nemmeno scesi. Non so cosa stiamo aspettando di preciso, ma sono sicura che Gianluca sia teso come una corda di violino. Ha anche chiesto in prestito uno stuzzicadenti a Sam per poterlo sgranocchiare.

Temo le reazioni dei parenti di Paolo: non metto in dubbio che verremo trattati come ospiti d'onore, ma come pensiamo di presentarci?

Ehilà, ecco qui i CD del vostro nipote e cugino sepolto tre giorni fa; ci consigliate un buon ristorante di pesce?

Forse Gianluca si sta preparando proprio a questo.

Dopo un tempo parso infinito, questo emette un profondo sospiro e mette mano alla maniglia.

«Eccoci qui.» esordisce.

Senza nemmeno premurarsi di venir imitato, si apre la portiera e mette giù un piede. Si sente un ciaf.

«E va' a cagare!» impreca.

Si è appena bagnato la scarpa di tela in una pozzanghera. Ma prima ancora che uno di noi possa prenderlo in giro, è già saltato fuori dalla macchina per dirigersi con lunghe falcate verso il cancello. Il calzino bagnato fa ciaf ciaf a ogni passo. Lo seguiamo tutti, ma io preferisco chiudere la fila. Sicuro, a quest'ora, Paolo si sarebbe già messo a urlare per attirare l'attenzione. Ma, come valuto lasciando scivolare gli occhi su ognuno, noi non siamo Paolo.

Suoniamo il campanello; tuttavia, il rumore più forte che riesco a udire è il pulsare inferocito del mio cuore contro le mie costole.

Una donna si affaccia al balconcino del primo piano.

«Sì?»

Silenzio.

Gianluca si volta a guardarci, come se sperasse che qualcuno si offrisse volontario per parlare al posto suo. Ma nessuno apre bocca.

«Buongiorno, signora...», Gianluca legge il nome sul foglio, «Nunzia. Siamo degli amici di Paolo, ci è stato lasciato un pacco da consegnarle...»

Il tono è mogio e ammazza ogni voglia di scherzare sul fatto che, così dicendo, sembriamo degli spedizionieri di Bartolini. Anche la signora Nunzia si astiene da ogni replica. Per un attimo valuto la possibilità che questa, contrariamente a ogni previsione, ci lasci alla porta. Magari non si fida, magari ha paura che qualcuno di noi sia un asintomatico e finisca per attaccarle il COVID — finendo così per accoppare qualche altro suo congiunto.

«Entrate.» dice infine, un piede già dentro casa per andare a metter mano al citofono.

Quando l'elettricità fa scattare il cancelletto, Gianluca sobbalza in modo quasi impercettibile. Si estrae dalle labbra lo stuzzicadenti per infilarselo nella tasca dei pantaloncini di jeans e magari riprenderlo più tardi. L'aria si fa pesante mentre ci facciamo strada tra le piante di Fichi d'india e Oleandro. Sull'uscio di casa ci aspetta la zia di Paolo, Nunzia. Ora che la osservo più da vicino, la sua versione più giovane torna solleticarmi la mente. Questi sei anni le hanno reso il viso più raggrinzito, i fianchi più larghi e pesanti, l'aspetto più stanco. L'unico particolare rimasto tale e quale è quel suo caschetto vaporoso color mogano. Anche lei sembra non essersi scordata del nostro incontro, ma l'espressione non si apre come la prima volta che ci aveva visti.

Ci viene in contro per abbracciarci e baciarci.

«Signora—»

«Venite, venite dentro. Fa tanto caldo oggi, ne parleremo meglio davanti una bella bibita ghiacciata. A voi piace l'aranciata?»



Non ho mai pensato, nemmeno per un minuto, che presentarsi a casa di semi-sconosciuti per parlare di un parente morto di recente sarebbe stato semplice. Avevo già messo in conto i silenzi, le occhiate furtive e quant'altro; ma immaginarlo è un conto, viverlo un altro. La signora Nunzia ce la mette tutta per farci sentire a casa, ma è inutile. Anche se inizia il discorso senza menzionare la busta di DVD nel sacchetto di carta che Gianluca ha appeso alla sedia, e che nella sua staticità sembra comunque far un baccano allucinante.

«Siete cresciuti così tanto, ragazzi.» ci dice.

Accarezza una guancia a Marco, facendolo diventare rosso.

«Come fa a ricordarsi di noi?» le chiede Sam.

«Siete gli unici amici che Paolo ha portato a trovarci.»

Strabuzzo gli occhi.

Sin da quando ho sua memoria, l'ho sempre visto circondato da gente. Paolo emanava sempre un'energia positiva difficile da trovare altrove, da qui l'idea che avesse dato vita a un via vai continuo di amichetti su e giù per la Puglia.

Gianluca tiene le dita delle due mani intrecciate tra loro, poggiate sul tavolo in arte povera, e abbassa lo sguardo sulle sue ginocchia. Che lui ne fosse o meno a conoscenza, non riesco a decifrarlo.

Il soggiorno della zia di Paolo è ordinato; vedo tante foto di lei con i figli, piante grasse e, su una mensola colma di candele accese, l'immagine di un uomo con dei folti baffi scuri. Il marito, portato via anche lui dal cancro un paio d'anni fa. Paolo ce ne ha parlato. Presto, molto presto, anche lui finirà là sopra.

«Ci dispiace presentarci senza preavviso—»

«Nessun dispiacere! Arrivate in un momento di festa: mia figlia, la mia Patty, si sposa domani.» ci tranquillizzò.

Patty. Doveva star parlando della ragazzina che, sei anni fa, abbiamo trovato a casa dei nonni. Mi sale l'ansia al pensiero che stia già convolando a nozze.

«Auguri alla sposa, allora.» s'intromette Sam con un sorriso.

Qualcuno potrebbe vederci del poetico: una storia finisce proprio quando ne sta per iniziare un'altra.

Marco ed io, per il momento, ci limitiamo a starcene in silenzio. Noto Gianluca occhieggiare il sacchetto di carta con aria preoccupata, per poi afferrarlo con mano incerta. Le labbra della signora Nunzia tornano a formare una linea piatta.

«Signora, siamo qui perché Paolo ci ha lasciato una cosa per lei. È stato sempre lui a dettarmi il suo indirizzo.»

La signora Nunzia annuisce.

«Le ha registrato un CD, in modo che possiate sempre ricordare lui e la sua voce.»

Semplice, diretto, pulito. Impeccabile.

Quando Gianluca allunga sul tavolo il disco, tutti ci sporgiamo in avanti per guardarlo. Non sembra nemmeno essere stato usato per inciderci dentro un filmato; l'unico indizio di "usura" è una scritta sul lato opaco:

"Per zia Nunzia, dal tuo Paolino"

Anche qui, la scrittura è fin troppo bella per essere di Paolo. Deve aver chiesto il favore a un'infermiera per evitare che a rimanere impresso fosse il modo sgraziato in cui trascinava le lettere. Il vezzeggiativo affiancato al suo nome mi fa sorridere.

La signora Nunzia lo fissa, gli occhi le si riempiono di lacrime.

Mi sento a disagio. Non ho la minima idea di come dovrei consolare un perfetto sconosciuto. Paolo interverrebbe senza esitazione, ma come ho già considerato, Paolo non è qui. Scambio un'occhiata incerta con Sam, che stira le labbra come a volermi dire che, in questo momento, vorrebbe solo sparire. Marco sembra entrato in una specie di trance, forse per isolarsi e non sentirsi in dovere di intervenire.

È sempre Gianluca a prendere la parola.

«Le portiamo le nostre condoglianze.»

Per un attimo temo che la signora Nunzia appartenga a quella cerchia di persone che, davanti a un pubblico, esibisce in modo teatrale il proprio dolore, ma poi si passa una mano sul viso e si dà un contegno.

«Grazie.»

Passa un pollice sulla plastica del DVD come se stesse accarezzando Paolo stesso, infine solleva lo sguardo su di noi.

«Dopo tutta questa strada sarete stanchi.»

Non sa quanto, vorrei poter rispondere.

«Siamo in viaggio da ieri mattina, signora.» replica Sam.

La zia di Paolo sgrana gli occhi e si lascia sfuggire un'esclamazione in dialetto.

«L'adriatica era impraticabile. A quanto pare la gente, dopo l'anno di chiusure, non vedeva l'ora di partire per il mare.» aggiunge Gianluca.

«Vi preparo le stanze, allora.»

L'idea non mi attira per niente. Dormire dai nonni di Paolo con lui presente era un conto, ma farlo da sua zia senza di lui è un altro. Mi sembra sbagliato.

«Non si preoccupi—» intervengo finalmente, ma vengo interrotta.

«Non esiste che io vi cacci via dopo tutto quello che avete passato per portarmi il CD. Cosa direbbe Paolino? Se ve ne andate mi offendo.»

Paolino ci direbbe di stare muti e accettare l'invito. Mi ci giocherei un rene. Ci aveva raccontato dell'usanza della sua famiglia a costringere amici e conoscenti di passaggio a dormire da loro, ma l'avevo sempre sottovalutata.

«E va bene.» interviene Sam.

Mi volto a guardarlo come se mi avesse appena pugnalata.

«Ce ne andremo domattina.» aggiungo io.

«Ma domani c'è il matrimonio di Patty! Siete invitati anche voi, siete nostri ospiti.»

Mi sento come se fossi appena cascata nella ragnatela appiccicosa di un ragno. Non metto in dubbio le buone intenzioni della signora Nunzia nemmeno per un secondo, ma la cosa non smette di sembrarmi inappropriata: non so come ci si comporti mentre si è a casa di un'estranea, senza nessun intermediario — ruolo che, in teoria, sarebbe spettato a Paolo. A chi chiederò di portarmi un bicchiere d'acqua, quando sarà sera e staremo per andare a dormire?

L'unico dubbioso è Marco. Per una volta abbiamo un terreno comune.

«Non possiamo invitarci all'ultimo...»

«No, infatti vi invito io!»

Se Patty è la stessa Patty di sei anni fa, minimo minimo ci farà giocare a mosca cieca in mezzo alla provinciale come forma di ringraziamento. Sempre che si degni di rivolgerci la parola.

«Vedrete, sarà felice anche lei di avervi là presenti in vece di Paolino.»

No, non lo sarà. Anche perché nemmeno si ricordava di averlo mai conosciuto, Paolo.

Ma la signora Nunzia ha deciso e, ora come ora, non riesco a vedere una via d'uscita — se non scappare di notte, dormire in macchina e ripetere la scena con il prossimo della nostra lista dopodomani, quando il matrimonio sarà già stato celebrato.

«Non arrechiamo alcun disturbo?» domanda cauto Gianluca.

«Per gli amici di Paolo questo ed altro. Lo spazio non manca e posso prepararvi la pasta al forno.»

«Signora, ma non stia a impazzire: è già stata gentile a offrirsi di ospitarci, non si preoccupi della cena.» contratta lui.

«Due spizzichini, allora. Andate a prendere le valige, fate come se foste a casa vostra.» conclude la donna con allegria.

Dopo cena, ci spingiamo a vicenda per rotolare lungo i corridoi e raggiungere le nostre sistemazioni. I pantaloncini di jeans mi stringono in vita.

La signora Nunzia ci mostra con orgoglio una camera da letto matrimoniale e io spero segretamente che Gianluca riproponga di dormire insieme... anche se continua a sembrarmi una scenetta patetica tratta dalla fanfiction di una ragazzina. Faccio un passo avanti, ma la zia di Paolo mi blocca poggiandomi una mano all'altezza dello stomaco.

«Cara, tranquilla: a te lascio la vecchia cameretta di Patty, così hai tutta la tua privacy.»

Ma quale camera della Patty, io volevo dormire ancora con Gianluca.

E poi li ho visti tutti in mutande svariate volte, la privacy è andata a farsi benedire da tempo. Ma questo lo tengo per me, anche perché ho paura di scandalizzare la zia di Paolo con le mie insinuazioni. Non riesco tuttavia a trattenere l'espressione delusa che indirizzo a Gianluca.

Lo osservo sistemare il borsone sportivo in un angolo. Si solleva i pantaloncini che gli stavano scivolando lungo i fianchi e si guarda attorno per studiare l'arredamento.

«Fortunella.» mi mima con le labbra Sam.

«Signora, manca un letto per uno di noi.» le fa notare Emme.

Che cafone, non avrei mai avuto la faccia tosta di chiederlo. Suppongo che abbia fatto quattro calcoli e abbia considerato che, se proprio doveva dormire da un estraneo che non voleva lasciarlo andare, allora tanto valeva far valere le proprie richieste; ma comunque...

La signora Nunzia ruota la mano con gesto teatrale.

«Oh, tesoro, sì. Accompagno questa bella ragazza alla sua camera e poi andrò a prendere il materasso gonfiabile.»

Sam gli tira uno scappellotto.

«Maleducato.»

Seguo la signora Nunzia fuori dalla stanza con la stessa flemma di qualcuno che cerca di posticipare la propria condanna a morte. Valuto anche di piegarmi in ginocchio per rifiutarmi di continuare oltre, ma così sembrerei solo una bambina viziata.

«Adesso vedi,» esclama lei eccitata, «hai la stanza migliore. Ci sono ancora alcuni pupazzi e dei poster, ma avrai tutta la tranquillità che spetta a una signora.»

Mi scusi, vorrei ribattere, ma la signora preferiva dormire con quel signore di Gianluca; la signora non ha nemmeno abbastanza paia di mutande, perciò non possiamo nemmeno definirla tale.

Ma taccio. Sorrido, piuttosto, quasi fossi rallegrata dalla scelta.

La camera di Patty sarà anche più bella di quella degli ospiti, ma la lontananza da essa è senz'altro un punto a sfavore: mi trovo in mansarda, gli altri al piano terra, laddove una volta doveva esserci una spaziosa cabina armadio. Quando la zia di Paolo apre la porta per me, non posso fare a meno di concordare di quanto sia graziosa (per quanto da adolescente in crisi ormonale), ma la mia preferenza va comunque alla stanzetta incastonata tra bagno e ingresso.

«Mettiti comoda, fa' come se fossi a casa tua. Vuoi una caraffa d'acqua da mettere sul comodino, cara? Così non devi nemmeno uscire e scendere.»

«Non fa niente.»

«Insisto. Sono sicura che siano tutti dei bravi giovinotti, ma per una ragazza non è un gran che aggirarsi di notte da sola.»

Come se dovessi attraversare una tangenziale piena di stupratori, vestita da discoteca. Fossi nei miei amici, mi sentirei offesa nel profondo.

Non mi sembra di avere molta voce in capitolo.

«Allora sì, la ringrazio.»

«La vado a prendere subito.» mi risponde con un sorriso enorme.

Proprio carina, questa signora Nunzia, ma devo legarmi al dito il fatto di essere appena stata messa in quarantena forzata per la seconda volta in due anni.

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