4.
Uno stupido raggio di sole fece aprire gli occhi di Mark che, svegliandosi, non poté fare a meno di notare il marito accoccolato a lui. Perso in quella tenera visione, si accorse solo dopo qualche secondo del cellulare che stava suonando.
Sbuffò, per nulla motivato ad alzarsi, troppo preso dall'espressione così rilassata e felice del corvino.
Alla fine riuscì a sconfiggere la pigrizia; si scostò di dosso Daniel, quest'ultimo non sembrava dare affatto segno di volersi svegliare, continuò così a ronfare tranquillo.
Infilò i boxer e raggiunse il telefono che si trovava ancora nella tasca della giacca. Allibito guardò il display, che segnava circa le sei e mezza del mattino.
-Pronto?- rispose, con voce assonnata, mentre col pugno chiuso si stropicciava un occhio.
-Mark, santo cielo... c-credo che Christa stia partorendo!- sbraitò la presunta voce di Tyler, dall'altra parte del telefono. Era isterica, squillante e si poteva immaginare la sua faccia spaventata in quel momento. Mark sgranò gli occhi; ora era senza dubbio più sveglio che mai.
-Oh Gesù, ma sei sicuro? N-Non è che... c-che è un falso allarme come l'altra notte?-
Due giorni dopo "il ritorno alla normalità", come lo chiamava Christa, proprio lei aveva svegliato i due piccioncini, che finalmente erano tornati ad andare d'amore e d'accordo, perché credeva che il bambino stesse per nascere, viste le dolorosissime contrazioni che le impedivano di dormire.
-Senti non lo so, okay? Non sono un cazzo di infermiere, ma mi sembra che questa volta sia quella vera. Mio Dio, ma proprio oggi che ho un cliente importante deve partorire?!- Il respiro era pesante e corto, Mark se lo immaginava in pigiama, o in mutande che si agitava con il telefono stretto tra le sue dita tremolanti.
-Tyler, calmati! Portala al Children's Hospital, il più vicino, vi raggiungiamo immediatamente!-
-Sì, sì va bene, la porto all'ospedale. La porto all'ospedale, Dio Santo! Fate presto!- Era letteralmente in preda al panico, si sentiva dal tono nervoso con cui parlava... anzi, con cui gridava.
Riattaccò e poi solo in quel momento Mark realizzò veramente ciò che stava per succedere. Fece scivolare dalle dita il cellulare, il quale colpì il pavimento e con un tonfo coprì per quel millesimo di secondo il russare di suo marito. Si catapultò come una scheggia verso il letto, dal quale fece quasi cadere il corvino, che spalancò di scatto gli occhi da quell'improvviso assalto.
-Mark?! Ma sei fuori?!- esclamò, passandosi le mani sul viso però poi guardandolo in attesa di spiegazioni.
-Daniel, Dio Santo, Chris sta partorendo! E questa volta per davvero!-
-Come?! Ne sei sicuro?!- era sbiancato come un lenzuolo.
-Muoviti, alzati e vestiti, dobbiamo correre!-
-Oh cazzo!- sbottò con le mani tra i capelli. Corse in bagno, si sciacquò il viso con un po' d'acqua fredda, svegliandosi per bene e inifilandosi dei vestiti a caso, mentre Mark faceva lo stesso spiegandogli della telefonata. Meno di cinque minuti dopo erano entrambi in macchina; Daniel guidava come un pazzo infrangendo ogni regola stradale.
Quando giunsero all'ospedale, una segretaria brutta a cui le mancava un dente, disse loro che Christa si trovava al secondo piano, quinta stanza a destra.
Proprio lì una fila di tristi sedie di plastica blu sembrava aspettarli per quella lunga e snervante attesa.
I due corsero nella stanza ma vennero subito bloccati da delle infermiere che con professionale voce diceva loro di aspettare fuori.
-Non possiamo almeno vederla per dimostrarle che siamo qui?- domandò Daniel, con la voce interrotta dal respiro accelerato a causa della corsa di corsia in corsia che aveano appena fatto. -La prego, dobbiamo vederla!- intervenne Mark, ormai sull'orlo di una crisi di nervi. No, quello in crisi era Tyler che dal vetro trasparente lo si poteva scorgere tutto tremolante e agitato mentre stringeva la mano di Chris, che però non si riusciva a vedere perché circondata da almeno cinque dottori.
-Voi chi siete? Parenti della paziente?- domandò una di loro, un po' spazientita e indaffarata.
-No, noi siamo i genitori adottivi, signora- rispose per entrambi Daniel, che tra tutti sembrava il più tranquillo.
-Allora le rifereremo che siete qui, ma per ora dovete aspettare qua fuori. Scusate- poi si girò e, seguita dalle altre due, si diresse verso la stanza di Chris.
Mark guardò Daniel, il quale era rimasto interdetto da quella risposta. Stava per nascere suo figlio e non lo lasciavano entrare? Non sarebbe mica rimasto lì per assistere a tutto il parto, non ci sarebbe riuscito nemmeno se lo avesse voluto, ma insomma almeno permetter loro di vedere Christa! Era chiedere tanto?
Daniel era pronto a battersi e richiamare l'infermiera, ma Mark glielo vietò, afferrando il suo braccio e conducendolo verso le sedie.
Lo guardò incredulo, ma infondo lo capiva; era talmente scosso da non riuscire a restare in piedi. Così si arrese e si sedette, permettendo a Mark di sposare la testa sulla sua spalla, il quale chiuse gli occhi perché stava morendo di sonno. Si accoccolò meglio e Daniel cominciò ad accarezzarlo dolcemente, mentre con un braccio circondava le sue spalle.
Stava quasi sognando.
Quell'uomo era alto, molto alto. Aveva un'espressione seria e se ne stava coi suoi cinquant'anni sulle spalle sulla porta di casa propria. I capelli, ormai più grigi che neri, erano tenuti cortissimi, mentre il mento e la mandibola erano ricoperti di uno strato di barba incolta e grigiastra. Mark lo guardava quasi affascinato, aspettandosi che dicesse una qualsiasi cosa e invece sorrise, fece cadere il grosso borsone che reggeva con una mano e abbracciò il figlio tanto simile a lui. Lo strinse e lui ricambiò, dopo tutto quel tempo trascorso separati l'un l'altro. Mark era a dovuta distanza e l'uomo non si accorse subito della sua presenza. Solo quando Daniel si staccò e lo pregò di entrare, lui fece qualche passo avanti ed in quel momento vide il ragazzo. Era basso e con un'espressione adorabile ed imbarazzata sul volto. I capelli colore del grano e gli occhi grigi come la sua camicia da lavoro. Daniel sorrise, prese per mano il biondo e lo condusse dinanzi a suo padre. Era titubante e aveva paura, sfogava le sue emozioni sul suo povero labbro inferiore, preso di mira dai suo denti.
-Daniel, porta le valige del tuo vecchio in camera, per piacere. Ho delle cose da dire a... come ti chiami, ragazzo?- Mark lo guardò a testa bassa, per poi balbettare il proprio nome. Daniel alzò gli occhi al cielo; quante volte gli aveva detto per telefono il suo nome! Lasciò la mano del biondo, per poi donargli un lieve bacio sulla tempia e allontanarsi dai due. Mark arrossì e l'uomo lasciò che il suo volto s'illumimasse di un meraviglioso sorriso, il sorriso di un uomo non più giovane e che di sicuro fumava troppo, data la nicotina che ingialliva i suoi denti. Posò una mano sulla spalla del ragazzo guardandolo con aria gentile, quell'aria che a Mark mise subito sicurezza.
-Daniel mi ha parlato così tanto di te. Mi ha anche detto che non sei di qui. Da dove vieni?- chiese, senza mai perdere il sorriso. Mark si accorse che il profumo di colonia che l'uomo emanava era lo stesso di quello di Daniel.
Gli aveva parlato spesso di suo padre, dei suoi interminabile viaggi di lavoro e del suo animo gentile. Ci parlava per telefono e lo vedeva solo ogni due week-end, quando finalmente tornava da suo figlio dopo tutto quel lavoro. Mark si chiese chi fosse sua madre, strano, ma Dan non ne aveva mai parlato con lui, forse non voleva farlo e per questo non gli fece mai una domanda su di lei.
Ma ora vedeva quell'uomo e se lo immaginava più giovane, di bell'aspetto, con in braccio un bambino sporco di terra e una bella e sorridente donna al suo fianco.
-Abito qui ora, ma sono nato a New York ed è lì che abita la mia famiglia...- rispose rammaricato, quel discorso non gli piaceva molto.
-Ti manca?- quell'uomo poteva anche condurre una conversazione non tanto piacevole, ma il suo tono calmo e gentile metteva Mark a proprio agio.
-Molto. Ma forse io non manco a loro.- mormorò, con una velata tristezza nel suo tono.
L'uomo sorrise ancora, ma per un istante abbassò lo sguardo, come a far capire che gli dispiaceva. Mark sapeva che la stessa situazione che aveva passato, l'avevano passata anche Daniel e suo padre. Costui posò dolcemente le mani, erano molto grandi e forti, sulle spalle di Mark. Avvicinò il viso al suo, assumendo un'espressione ancora più gentile e calma. Il volto solcato da molte rughe, ma che non stonavano col resto del suo viso. Sembrava fresco come una rosa e di certo dimostrava meno degli anni che invece possedeva.
-Allora sappi, Mark, che qui potrai sentirti come a casa tua. Abbi la libertà di essere ciò che sei e di amare chi vuoi. Non ho mai fatto a nessuno questo discorso e questo perché conosco mio figlio e non l'ho mai visto così felice prima d'ora con un ragazzo. E tu mi piaci, Mark. Posso darti il benvenuto in famiglia?-
Mark lasciò perdere le buone maniere e l'educazione; si fiondò tra le braccia forti e decise dell'uomo, che lo strinse a sua volta un po' sorpreso da quella reazione. -Grazie- mormorò soltanto.
Poi si staccò e l'uomo fece una faccia smarrita, come se avesse dimenticato qualcosa. -Oh caspita, perdona la mia indecenza, io conosco il tuo nome e davo per scontato che tu conoscessi il mio. Mi presento; sono William Baker.- Mark sorrise e strinse la sua mano, in verità conosceva benissimo il suo nome. Il Signor Baker era un po' buffo, si disse che avrebbe fatto di tutto per conoscerlo più a fondo. Sì, gli piaceva quell'uomo.
Gli piaceva William Baker.
Daniel si girò verso il biondo, che fu come risvegliato da quel movimento, così sollevò il capo per poter guardare il marito negli occhi. Ogni cosa si fermò in quel momento, in quei pozzi verdi ciò che vide fu un uomo che aveva avuto onore di conoscere qualche anno prima che morisse.
E, ripensando al suo di padre, che se n'era andato dimenticandosi di avere un figlio, decise che, grazie al "Signor Baker", di lui non aveva bisogno.
Non era la prima volta che pensava a quell'uomo, forse tutto aveva un significato e Mark decise che quello doveva essere un segno.
Rimase con gli occhi del marito incatenati nei suoi per lunghi secondi, mentre nella mente frullavano i medesimi pensieri.
-William- sussurrò all'improvviso, come se fosse un segreto e Daniel lo guardò accigliato.
-M-Mi piace... mi fa venire alla mente bellissimi ed indimenticabili ricordi, è così... perfetto per lui...- Provò a dire qualcosa di sensato, cosa impossibile, dato che non c'erano bisogno di spiegazioni in quel momento tra loro.
-Mi stai dicendo che vuoi chiamare nostro figlio come mio padre?- chiese, con gli occhi lucidi, che quasi brillavano. Mark fece cenno di sì con la testa, mentre sul suo viso stava già nascendo un perfetto e bellissimo sorriso.
-È... è meraviglioso Mark- mormorò, coprendosi la bocca con una mano, cercando inutilmente di reprimere le lacrime.
-Sapevo ti sarebbe piaciuto- aprì di più il suo sorriso, accogliendo tra le braccia il marito, commosso.
Prese il suo viso tra le mani e, senza dargli tempo per riprendersi, si buttò sulle sue labbra.
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