Capitolo 7: Rebecca
Quella sera, prima che io e papà tornassimo a casa, Rebecca mi diede il suo numero con la speranza di poter essere amici e uscire qualche volta.
La domenica in tarda mattinata la chiamai.
«Pronto, Rebecca, sono Mirco. Ti ho chiamato... per sapere se ti andava di uscire, niente di serio» esordii, dopo aver preso un lungo respiro.
«Mirco? Ah, sì, certo, dimmi dove e quando» rispose con voce impastata dal sonno.
«Non dirmi che ti ho svegliata?»
«Tranquillo non è grave, per quanto riguarda l'appuntamento?»
«Non è un... cioè... sì è un appuntamento, ma non è quel tipo di appuntamento, voglio solo... solo parlare dei vecchi tempi» affermai con una velocità sovraumana, scaturita dall'imbarazzo.
«Calma, respira piano. Non sono offesa, ho capito quello che volevi dire» disse divertita.
«Scusa. Sono un'idiota.»
«Non sei mai stato molto sveglio, ma tranquillo neanche io sono una cima.»
«Ah sì? Per quanto riguarda il nostro incontro, verso le quattro potremmo prendere un gelato davanti alla Fontana di Trevi, oppure da qualche altra parte.»
«È un'idea magnifica. Ci vediamo alla fontana, a dopo» asserì entusiasta, prima di chiudere la chiamata.
Anche io ero emozionato. Non uscivo con qualcuno da diversi mesi.
Alle medie, dopo i vari trasferimenti, impiegai molto tempo per farmi qualche amico e più di anno per uscire con qualcuno. Dopo aver iniziato le superiori l'unica persona rimasta amica era Teresa, ma con lei sono uscito poche volte.
La mia felicità era palpabile e difficile da nascondere.
«Come sei pimpante oggi, è successo qualcosa di bello ieri sera?» domandò mia madre, mentre mi serviva un piatto di brodaglia giallognola.
«Rebecca e io ci vedremo oggi pomeriggio per prenderci un gelato» risposi con sguardo dubbioso sul mio pranzo.
«Magnifico!» esultò mio padre.
«È solo una rimpatriata tra due vecchi amici. Niente di serio» precisai stizzito.
«Sono felice per te. I Toscano sono un'ottima famiglia, è un bene frequentarli.»
«Leonardo forse ora è il caso di mangiare, è un piatto che va mangiato caldo» suggerì mia madre tra una cucchiaiata e un'altra.
«Manca di sale» constatò delusa mia madre, qualche secondo dopo.
«Non è così male, vero Mirco?» chiese mio padre con una falsità allucinante.
«Scusa mamma, purtroppo il sale è l'ultimo dei problemi» sentenziai deciso.
«Mirco!» esclamò mio padre sorpreso.
«No, ha ragione è l'ennesimo fallimento» affermò mia madre abbattuta.
«Non essere così dura. Avrai sbagliato qualche passaggio, non è una tragedia. Comunque questa sera prendo delle pizze» asserì mio padre.
Nel pomeriggio, un'ora prima dell'appuntamento, mio padre con un sorriso smagliante entrò in camera mia.
«Allora figliolo pronto per l'incontro con Rebecca?» chiese con le mani congiunte.
«Sì, tra quindici minuti esco» rispondo seduto sul letto.
«Posso accompagnarti, se ti va.»
Colpito dalla sua disponibilità rifletto qualche secondo sulla sua proposta.
«Ok. Devo essere alla fontana di Trevi per le quattro» affermai.
«Perfetto, vestiti bene e se ti servono soldi non farti problemi a chiederli»
«Ok» risposi confuso.
«Che c'è? Come mai non sembri convinto?»
«Non è da te essere così tanto gentile. L'idea di divorziare ti terrorizza tanto?»
«Non ci sarà nessun divorzio» disse convinto.
«Solo se ti comporti così» affermai a braccia conserte.
Qualche attimo dopo quella dichiarazione, mio padre mi diede le spalle e uscì dicendo: «Fammi sapere quando sarai pronto.»
Senza farmi condizionare dal suo atteggiamento, cercai nell'armadio qualcosa di adatto per l'uscita.
Dopo qualche prova, optai per una felpa nera con cappuccio e alcuni disegni, dei jeans azzurri con qualche strappo e un paio di converse bianche.
Mio padre all'inizio storse il naso e mi suggerì di cambiarmi per essere più elegante, ma dopo avergli ricordato più volte che era una semplice uscita fra vecchi amici demorse.
Arrivato in prossimità della fontana con qualche minuto d'anticipo, chiamai Rebecca per chiederle dove fosse.
«Sei già lì?» chiese sorpresa per poi dire in preda al panico «Ehm... dammi dieci minuti e sono lì.»
Mio padre a braccia conserte scosse più volte il capo durante la chiamata.
«Vuole fare la preziosa. Devi giocartela bene» sentenziò con un sorriso.
«Stai tranquillo, lo farò» dissi ironico.
«La prima uscita con tua madre fu un vero trauma per me. La aspettai quasi mezz'ora sotto un ombrello e al freddo davanti a un cinema.»
«Umiliante» bisbigliai.
«Mirco è importante che tu sia paziente e perseverante, quasi pervicace, sia nella vita che con le donne» mi rimproverò in tono solenne.
Sbigottito da quella dichiarazione, alzai le mani in aria per poi chiedergli con il tono più calmo possibile
«Ti rendi conto di essere l'ultima persona al mondo che può dare un consiglio sulle donne?»
Mio padre colpito da quella domanda, dopo essersi grattato i capelli grigi fece un sorrisetto nervoso.
«Credo sia il caso che tu torni a casa, mentre non ci sei mamma potrebbe cambiare idea sul divorzio» asserii acido.
«Noi due non divorzieremo!» sbottò irritato.
Quella manifestazione di rabbia attirò gli sguardi di alcune persone e spinse mio padre a rientrare in auto e ad andarsene.
In preda al disagio passeggiai nelle vicinanze per calmarmi.
Proprio quando avevo riacquistato la calma, lo squillo del mio telefono mi fece sobbalzare.
«Sono arrivata, scusa il ritardo, dove sei?»
«Scusa, è successo un casino... mio padre-»
«Sta bene?» mi interruppe preoccupata.
«Non penso, ma sì, sta bene, ha fatto una ridicola scenata attirando l'attenzione di... non so nemmeno quanta gente e poi è andato via.»
«Oh... mi dispiace, vuoi parlarne meglio?»
«No, sono vicino aspettami.»
«Ok» affermò, prima di chiudere la telefonata.
In meno di tre minuti, raggiunsi la maestosa fontana bianca, circondata da turisti di diverse etnie.
Trovai Rebecca a pochi passi di distanza da essa, intenta a cercarmi con lo sguardo.
Per la nostra uscita aveva optato per una gonna color panna, una felpa bianca con strisce nere, delle converse nere con lacci e contorni bianchi, un paio di occhiali da sole e una borsetta bianca con qualche fantasia.
«Ah! Eccoti qui!» esordì Rebecca, togliendosi gli occhiali da sole, per metterli nella sua borsetta.
«Scusami, sei incantevole» risposi imbarazzato.
«Grazie. Ci ho messo una vita per scegliere questo outfit» affermò orgogliosa e col sorriso.
«Potevi anche venire in tuta o in costume» scherzai per poi grattarmi la nuca.
«Odio le tute e in più amo provare tanti vestiti. Non mi è pesato scervellarmi per un outfit che mi convincesse.»
«Ah, capisco.»
«Allora, per il gelato?» chiese pacata con una mano sul fianco.
«Qui vicino c'è un ottimo posto per prendere il gelato» dissi, per poi incamminarmi verso la nostra meta.
«Quando è stata l'ultima volta che ci sei stato?» chiese curiosa, mentre mi seguiva.
Dopo averci pensato pochi secondi, le risposi con: «Qualche mese fa con Teresa Tecchi. Te la ricordi? Anche lei ha fatto le medie con noi, era in classe con me.»
«Certo che me ne ricordo! Una volta, fuori scuola, ha dato dei ceffoni a una arpia attaccabrighe» affermò divertita.
«Già...» commentai sottovoce, mentre ricordavo la nostra ultima chiacchierata in camera sua.
«Questo è il posto» affermai con lo sguardo incollato alla vetrina e la mente altrove.
«Entriamo?» domandò Rebecca, dopo qualche attimo, ristabilendo la mia concentrazione.
Dentro, in seguito a una lunga meditazione e scambio di proposte, prendemmo due coni gelato al cioccolato con solo una pallina.
Il gelataio, dall'espressione che fece, sembrò contrariato per la nostra scelta finale, ma non posso dargliene colpa.
Quando venne il momento di pagare, ognuno pagò il suo, senza bisogno di discutere.
Usciti fuori riprendemmo a parlare di Teresa.
«Ti vedi ancora con Teresa?» mi chiese tra un morso e l'altro al suo gelato.
«Sì, siamo ancora compagni di classe, ma non penso che abbiamo lo stesso rapporto di un tempo.»
«Come mai?» chiese sorpresa.
I sensi di colpa misti a vergogna e paura mi spinsero a rimanere in silenzio e a evitare lo sguardo di Rebecca.
«L'hai offesa?» continuò Rebecca.
«Non proprio... non voglio parlarne. Piuttosto perché non mi parli meglio di te» dissi per poi mangiare il gelato.
«Eh? Andiamo, così mi fai morire di curiosità» affermò delusa per poi dare gli ultimi morsi al suo cono.
«Mi spiace, ma è una questione tra me e lei» risposi, mentre nella mia mente ripetevo "e Asha".
Qualche attimo dopo la mia dichiarazione, Rebecca rispose «Capito. Non insisterò.»
«Riguardo me, posso solo dirti che dopo la morte di mia sorella ho passato mesi infernali. Stavo quasi per abbandonare la scuola» continuò mesta.
«Io... non so proprio cosa dire. Dovevo evitare di farti domande» dissi a testa bassa.
«Ma no, idiota! Non ho più problemi a parlarne, anzi mi fa piacere di averlo fatto con te. Era da tanto tempo che non parlavo con un amico» confessò mentre si stringeva una spalla.
«Non hai amici con cui confidarti?»
«No» asserì abbattuta.
«Com'è possibile?» domandai incredulo.
«A scuola sono vista come una snob e arrogante, perciò vengo sempre ignorata... quando va bene» affermò con un sorriso spento.
Fu come udire un'esplosione improvvisa. Le ultime parole che sentii non lasciavano interpretazioni, anche se era illogico.
Rebecca mi aveva confessato di essere bullizzata.
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