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Serge IX

«È quasi l'alba» mormorò Serge, alzando il capo verso il cielo che si schiariva a oriente. «Accelera, ora che si può vedere la strada.»

Non dovette ripeterlo due volte: anche Étienne era stanco per il viaggio e, volendo arrivare alla fattoria al più presto, fece schioccare le redini del carro.

Serge cercò di trovare una posizione più comoda sul pancale. Aveva la schiena rotta dalla strada dissestata e dalle giornate passate a scaricare sacchi d'orzo; l'unica consolazione era che tutta quella fatica gli aveva reso bene e ora tornava a casa con il carro vuoto e le tasche piene. In particolar modo, ciò che aveva nella tasca destra del farsetto gli pesava quanto un sasso, sebbene non fosse altro che una catenina d'argento con pendente.

Era entrato nella bottega dell'orafo per farsi valutare i pezzi d'oro ricevuti come pagamento, ma quando aveva visto un ciondolo a forma di croce ne era stato mesmerizzato; e il venditore, invogliato dalla fortuna che gli aveva sbandierato sotto il naso, non aveva esitato a tirar fuori la sua collezione di immagini sacre.

«A quale santo è devota vostra moglie?» gli aveva chiesto, quando Serge gli aveva spiegato che era a Marion che pensava.

«A tutti?» aveva risposto lui, colto di sorpresa. La situazione era diventata imbarazzante nel giro di poco e i volti stilizzati dei santi parevano fissarlo con riprovazione dalle medagliette su cui erano incisi. Alla fine, deciso a uscire da lì al più presto, ne aveva scelto una con l'immagine della Madonna, certo di non sbagliare.
Man mano che la fattoria si faceva più vicina, però, sentiva crescere nel petto una strana inquietudine, strettamente legata alla domanda che lo tormentava da quattro giorni a quella parte:
"Le piacerà? Sarà sufficiente per fare la pace?"

«Siamo quasi arrivati!» annunciò Étienne, quando in lontananza apparve il profilo della fattoria.
«Spero che la padrona ha fatto le focaccine di mais, posso divorarne trenta per la fame che ho adesso!»

Serge annuì distrattamente, gli occhi fissi sui campi che si dispiegavano attorno a loro. All'improvviso vide sul terreno una figura immobile.
«Étienne, ferma il carro!»
Prima ancora che il cavallo si arrestasse, Serge era balzato a terra sollevando una nuvola di polvere. Ora che poteva distinguerlo con chiarezza, il fagotto che all'inizio aveva scambiato per un animale aveva preso i contorni più definiti di un corpo umano, riverso supino e con la testa fracassata.

«È Pierre» mormorò Étienne con orrore, dopo averlo raggiunto. «È morto!»

Serge rimase a guardare il volto tumefatto del suo servitore per qualche istante, la mente intorpidita da troppi pensieri che si accavallavano gli uni sugli altri.
Poi prese a correre verso la casa, chiamando a gran voce Keme e Marion...
Già vedeva, pazzo di terrore, il corpicino straziato della figlia buttato in qualche angolo della casa come una vecchia bambola di pezza...
Invece fu la voce di Le Loup a rispondergli.

«Qua dietro, padrone!»

Louis era accasciato davanti al forno a legna, il capo e la camicia imbrattati di sangue; negli occhi ambrati non v'era traccia del solito acume e, anzi, lo sguardo appariva offuscato e confuso. Serge crollò in ginocchio accanto a lui e il vecchio gli prese le mani di scatto. Quando si chinò in avanti, mise in luce un profondo taglio sulla sommità del cranio. 

«Ho provato, padrone...» farfugliò. «Ho provato a fermarli, ma... La padrona e la bambina... Spuntati su dal nulla, ecco cos'hanno fatto... Ho gridato alla signora di scappare, come ha fatto Henri, cane maledetto... È fuggito, capite? È fuggito davanti al nemico! Il Gran Condé lo farà impiccare per questo, sissignore. Non appena torna dal fiume verrà impiccato all'albero più vicino.»

«Non m'interessa di Henri, adesso!» sbottò Serge, anche se nel petto sentiva ardere una furia bestiale. «Mia figlia e mia moglie: che ne è stato di loro?»

«Andate» rispose Le Loup, laconico. Poi, davanti all'espressione inorridita del padrone – al quale si era fermato per un istante il cuore nel petto – contrasse il viso in una smorfia e si sforzò di mettere insieme più parole di senso compiuto.
«Andate con i selvaggi, non so dove. La signora poteva mettersi in salvo, ma si è attardata per la bambina... E le hanno prese entrambe.»

Quella conversazione pareva averlo sfiancato. Serge si passò una mano sul viso, asciugando in fretta le lacrime che si erano rapprese ai bordi degli occhi.
"Sono vive."
Quel pensiero avrebbe dovuto consolarlo e riempirgli il petto di determinazione e furia. Invece Serge scoprì di non provare nulla oltre alla consueta disperazione. 
«Grande forza sta nell'ammettere di essere deboli» gli aveva detto Yarhata una volta e lui era caduto così dannatamente in basso da ascoltarla.

Aveva ammesso i suoi errori, la sua follia e i suoi patetici timori... Li aveva confessati tutti, in maniera frettolosa e grossolana, a Marion e a nessun altro.
E in una maniera che lui stesso non comprendeva appieno, sua moglie era capace di risvegliare in lui l'uomo che avrebbe voluto essere e che da solo non era mai stato in grado di diventare. In quel momento scoprì che senza di lei era ancora un mentecatto senza spirito, un codardo schiacciato dalle circostanze.
Non si era mai sentito così solo, pensò, mentre contemplava la vastità della foresta che si estendeva oltre i suoi terreni.

"Potrebbero essere ovunque da qui a Nuova Amsterdam. Non riuscirò mai a trovarle..."

Gli venne in mente il sorriso malandrino di Keme, l'odore di muschio che gli arrivava alle narici quando la sera si accoccolava contro di lui – e una lacrima sfuggì al suo controllo, scivolando lungo la sua guancia fino a perdersi nella barba.
"Vino" si disse, torcendosi le mani con fare smanioso. "No, non devo, non posso. Devo rimanere padrone di me, per la piccola e per Marion."

Ma il desiderio cresceva col passare dei minuti e neanche le chiacchiere concitate di Étienne, sopraggiunto nel frattempo, riuscirono a distoglierlo da quell'istinto che lo spingeva verso la cucina. Finché non gli si presentò davanti la soluzione al suo tormento: Henri apparve sul sentiero che conduceva al fiume, con il moschetto in una mano e un grosso secchio pieno d'acqua nell'altra.
Il ragazzo si accorse troppo tardi di lui, Serge gli piombò sopra senza dargli il tempo di retrocedere. Piazzare un pugno sul naso del suo servitore lo rinvigorì quasi quanto un bicchiere di vino e per buona misura gli rifilò anche un calcio nel ventre quando cadde a terra gemendo.
Il secchio si rovesciò e l'acqua – forse destinata alla ferita di Le Loup – si sparse tutt'attorno, bagnandogli la punta degli stivali.

«Figlio di cagna» sputò tra i denti.
Il sangue gli ruggiva furioso nelle orecchie, impedendogli di udire la voce della ragione che lo esortava a non lasciarsi trascinare dal suo temperamento.

«Ohi, era un branco di selvaggi!» piagnucolava Henri nel frattempo. «Non ho mica giurato di morire per voi!»

Serge alzò di nuovo il braccio, pronto a colpirlo, fin anche a ucciderlo, se solo fosse bastato a dargli soddisfazione, a colmargli quel vuoto bruciante nel petto... Poi pensò allo sguardo irato e disgustato di Marion e gli vennero meno le forze.
Fu in quell'attimo di incertezza, mentre il ricordo di sua moglie lo perseguitava e Henri se ne stava rannicchiato ai suoi piedi con le lacrime agli occhi, che Étienne venne a chiamarlo.
«Padrone? Dovreste venire a vedere.»

Sulla strada era apparso un reggimento di soldati. Era una visione così insolita per quelle terre dimenticate da Dio che Serge si passò una mano sugli occhi.
"Sto avendo le traveggole!"

Ma quando li riaprì i soldati erano ancora lì, con le loro divise inamidate e le spade alla cintura; e in testa a loro, sporca e trasandata, stava Jeannette. La sorpresa dell'uomo nel vederla fu grande e si vergognò nell'ammettere che nella foga del momento non si era affatto chiesto a quale destino fosse andata incontro.
Quando gli uomini furono più vicini alla fattoria, il loro comandante spronò il cavallo al trotto e si fermò di fronte a lui, Henri ed Étienne.

«Chi di voi è Serge Roux?» chiese, tirando le redini.

Serge si fece avanti e lo scrutò con fare sospettoso.
Era senza dubbio un nobiluomo, che vestiva un'uniforme che recava le insegne del Re e cavalcava uno degli stalloni più belli che si fossero mai visti da quelle parti – ma nella sua esperienza, la Francia non inviava i propri soldati in soccorso dei coloni.
E quand'anche un funzionario si fosse arrischiato a mettere il naso fuori da Québec, nella maggior parte dei casi si trattava di un lecchino della risma di Legrand, pronto a scommettere la pelle per un avanzamento di carriera.

«Sono il comandante Alexandre de Prouville de Tracy. Mi è giunta la notizia che la vostra casa sia stata invasa dagli Irochesi e che vostra moglie e vostra figlia siano state rapite.»

«È così» replicò lui, cauto. Non riusciva a leggere la mente che si nascondeva oltre gli occhi azzurri e il bel viso di de Tracy.

«Non parete molto addolorato, monsieur.»

Serge sostenne lo sguardo severo del comandante e arricciò le labbra.
«Se dovessi dar sfogo ai moti del mio animo, allora verreste cacciato da questa proprietà all'istante: devo mettermi sulle tracce di quei cani e voi siete giunto nel momento sbagliato.»

Una risata a mala pena celata fece fremere i folti baffi di de Tracy.
«Volete andare a caccia da solo?»

Serge si strinse nelle spalle e fece un cenno verso i soldati che si erano disposti in una formazione disordinata davanti la fattoria.
«Se voi e i vostri uomini voleste farci la cortesia di aggregarvi, non sono nella posizione di potervelo negare.»
Strinse le labbra e si costrinse a continuare, a voce più bassa:
«Vi sarei, anzi, eternamente grato.»
"Devo trovarle" voleva gridare. "Devo riportarle a casa e stringerle a me e non lasciarle andare mai più."
Ma non sarebbe riuscito a pronunciare un'altra parola senza scoppiare in lacrime, perciò se ne stette zitto.

De Tracy piegò il capo da un lato e la falda del cappello gli ombreggiò gli occhi.
«Non siete un uomo dalle molte amicizie, nevvero?» commentò, con il tono con cui avrebbe discusso del tempo.
«Permettetemi però di dissentire con voi: mi pare, monsieur, che non sarei potuto giungere in un momento più opportuno.»

NOTE STORICHE

• Alexandre de Prouville de Tracy, così come il reggimento di cui è a capo, è un personaggio realmente esistito.

• Curiosità: il reggimento di Carignano-Salières nella guerra dei trent'anni aveva fatto largo uso di picche. Quando fu stanziato in America, tuttavia, queste furono abbandonate perché sarebbero risultate inutili nelle schermaglie contro i nativi.

• Nuova Amsterdam è il villaggio olandese che nel 1674, quando verrà ceduto agli inglesi, diventerà New York. Gli olandesi, come forse ho già detto, erano alleati degli Irochesi.


Entrare nella testa di Serge non è mai stato così difficile 🙈 la stesura di questo capitolo è stata lenta, penosa e piena di corsi e ricorsi.

Ma non disperate: dal prossimo si torna a Marion e Keme nelle mani dei nemici 🥺🥺🥺

Enjoy ❤️

   Crilu

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