Serge IV
Monsieur Anthime Legrand era l'ultima persona che Serge avrebbe desiderato vedere sulla soglia di casa sua, poiché era stato lui a volerlo trascinare in tribunale. Poteva dire con sincerità di non odiarlo – ma lo disprezzava profondamente, questo sì. Disprezzava gli occhi accusatori, i modi sempre velati di minaccia e la servile vigliaccheria con cui l'uomo si faceva scudo del nome di Talon.
Anche Marion era inquietata dalla sua presenza, anche se Serge non avrebbe saputo dire il perché: sua moglie non gli sembrava affatto il tipo di donna in grado di infrangere la legge. Tuttavia non era neanche una sciocca, come gli aveva già dimostrato più volte, ed era quasi certo che avesse sentito le dicerie che giravano sul suo conto a Québec: chiunque le avrebbe messe in relazione con l'improvviso arrivo di un funzionario dell'Intendente.
"Sospetti di me?" le domandò con lo sguardo, ma Marion si limitò a poggiare un bicchiere di vino davanti a Legrand senza emettere un suono.
L'uomo non diede segno di essersi accorto di quella cortesia.
«Ricordo molto bene come ci siamo conosciuti» mormorò invece e un fremito di timore percorse la schiena di Serge.
Anche se il processo si era concluso nel nulla per mancanza di prove, Legrand sapeva.
Serge glielo leggeva nello sguardo rapace, nella postura contratta, nel gelido disprezzo con cui il funzionario gli rivolgeva la parola – e con quella consapevolezza arrivò l'impressione di avere già un cappio attorno al collo, pronto a soffocarlo. Ma fu la sensazione di un attimo e l'uomo stette ben attento a non lasciarla trasparire.
Legrand riprese a parlare con le sue solite maniere cortesi, un poco affettate, del tutto in contrasto con la sua indole di mastino da caccia.
«Dai carteggi risulta che entro i confini delle vostre terre vi siano folte macchie d'aceri. È corretto?»
«No, non del tutto. Non possiedo molto legname.»
La luce del fuoco si rifletteva nelle lenti degli occhiali di Legrand e gli disegnava strane ombre sul viso, mascherando la sua espressione.
«State dicendo che avete dichiarato il falso, negli anni passati?»
«No, affatto» sospirò Serge, che iniziava a intuire quale oscuro motivo avesse portato lì il funzionario. «Ho solo il presentimento che io e voi, monsieur, siamo in disaccordo sul numero di aceri necessari affinché un gruppo di tali piante possa essere definito folto.»
«Quisquilie da preti e poeti» ridacchiò l'altro. «Gli uomini di frontiera non si fanno molti di questi scrupoli, nevvero, monsieur Roux?»
«Se lo dite voi.»
«Sia come sia, il Re desidera ampliare la flotta di Francia e ha emanato un decreto affinché le Sue colonie forniscano il legno necessario. Considerata l'estensione dei terreni che Sua Maestà vi ha concesso, non ho dubbi che possiate facilmente produrre trecento steri di buon legno d'acero.»
La rabbia gli accecò il cervello nel tempo di un battito di cuore.
«Ma è una follia!» sbottò, incredulo. Si accorse di star tremando, tanta era la voglia di afferrare Legrand per il collo e sbattergli il capo contro il tavolo finché quel sorriso sardonico non fosse scomparso dal suo viso.
«Monsieur Legrand, voi sapete bene quanto me che neanche in tempi migliori la mia tenuta avrebbe potuto produrre una tale quantità di legname. Adesso anche se buttassimo giù ogni singolo acero non arriveremmo neanche alla metà di quello che state chiedendo! E in aggiunta rimarremmo anche senza legna per scaldarci durante il prossimo inverno.»
«Eppure, venendo qui, ho notato una ricca foresta appena al di là di quel fiumiciattolo che scorre poco lontano da qui...» commentò l'altro, senza scomporsi.
Restarono a fissarsi in silenzio come se nell'intera casa non ci fosse nessun'altro – come se fossero scomparsi Marion, impietrita accanto alla dispensa, Jeannette che cercava di confondersi con il muro e Le Loup, Étienne, Pierre ed Henri che di certo stavano origliando dalla sommità delle scale.
Come se nulla contasse, oltre a quel gioco di sguardi e di accuse sottointese.
«Le mie terre terminano sulla riva di quel fiume» disse infine Serge, scandendo bene ogni parola. Sapeva che ogni argomentazione che avrebbe mosso sarebbe stata inutile, perché Legrand conosceva forse anche meglio di lui le condizioni in cui versavano i suoi terreni. Non poteva far altro che lasciarsi attrarre nella sua trappola ben congegnata e recitare le battute che di certo quella vecchia volpe si aspettava. Il senso d'impotenza crebbe fino a mozzargli il respiro.
«Non mi risulta che abbiate qualche vicino, in quella direzione. Si direbbe che quei terreni... Non siano di nessuno» replicò infatti il funzionario, fingendo di cercare tali informazioni tra i fogli sparsi davanti a lui.
«Al diavolo! Lo sapete bene che in quella direzione c'è il villaggio!» ruggì Serge, questa volta incapace di trattenersi. «La foresta appartiene agli Uroni!»
«Gli Uroni...» mormorò Legrand in tono di scherno. «Gli Uroni non esistono più da molti anni.»
«Qui sopravvivono, invece. E io ho con loro un accordo che intendo rispettare.»
Legrand congiunse tra loro le punte delle dita, le labbra piegate in una smorfia assorta.
«Ciò che dite è molto grave. So che all'età di sette anni siete stato mandato presso un villaggio di Uroni per apprenderne le maniere e i costumi e posso perciò comprendere la vostra riluttanza nello scontrarvi con chi vi ha nutrito e accudito da fanciullo.»
«Oh, ne dubito» sibilò Serge tra i denti.
«Tuttavia» continuò il funzionario. «Come vostro padre prima di voi, nel momento di assumere la signoria su queste terre avete giurato fedeltà al Re. Se la vostra lealtà risultasse essere divisa tra Sua Maestà e gli amerindi, monsieur Roux, temo che il vostro maggior problema non sarà il legname.»
«Cristo d'un Dio, non è la mia lealtà il punto! Siete stato voi a chiedere un tributo esorbitante che non ho alcuna intenzione di pagare!»
«Avete anche giurato di servire il Re in ogni suo volere e necessità. Posso ricordarvi che la pena per il venir meno a tale giuramento è la morte?»
"Vecchio bastardo, vuoi proprio vedermi sul patibolo!" pensò Serge tra sé e sé e la sua furia era tale che sarebbe saltato all'istante al collo del funzionario, sancendo di fatto la propria condanna. A frenarlo fu solo il singulto che provenne dall'angolo della cucina in cui ancora sostava Marion: nell'incrociare gli occhi di sua moglie, Serge capì che quella conversazione l'aveva terrorizzata.
La preghiera silenziosa che lei gli rivolse ebbe il potere di costringerlo sulla sedia a riflettere – per la prima volta dopo molti mesi – sulle ricadute che il proprio comportamento aveva su tutti loro: se fosse stato arrestato, Henri, Étienne, Pierre e forse anche la ragazzina avevano qualche possibilità di trovare servizio presso i nuovi padroni, ma Le Loup e soprattutto Marion sarebbero caduti in miseria.
"Non posso abbandonarli" si disse.
Una cocente vergogna spense ogni proposito di violenza.
«Sta' bene» borbottò, con la voce distorta dall'astio — e vide Marion rilassarsi visibilmente.
«Sua Maestà avrà tutto il legno che vorrà per le sue navi. Non si dica che Serge Roux venga meno alla propria parola.»
«È un po' tardi per quello, non credete?» commentò serafico Legrand, raccogliendo le carte e infilandosi il tricorno. Pareva insoddisfatto quanto lui da quell'incontro e il pensiero fece arricciare le labbra di Serge in un ghigno di trionfo.
«Avevate promesso di rispettare e proteggere madame Adelaïde e ad appena un anno dal matrimonio ella è stata ritrovata strangolata!»
Serge mentì senza esitare e senza provare la benché minima scintilla di rimorso.
«È stato un tragico incidente: mia moglie è morta annegata, non strangolata. Perché non mi lasciate in pace, Legrand? Perché continuate a rivangare ogni volta questa storia?»
«Perché sono un ministro di giustizia» rispose quello, congedandosi da Marion con un inchino. «E prima o poi consegnerò il suo assassino al boia. La verità non può essere taciuta per sempre.»
Il silenzio che avvolse la casa dopo la sua dipartita venne rotto solo dallo scalpiccio del cavallo del funzionario che si allontanava al trotto. Fu così che il sussurro di Serge si udì in ogni angolo.
«Ho bisogno di un sorso di vino.»
NOTE STORICHE
• Mi sembra di averlo già detto in qualche altro capitolo, ma lo approfondisco meglio qui: bisogna fare una distinzione tra gli Uroni o Wyandot come popolo e la Confederazione degli Uroni (entità politica). La Confederazione perse la guerra contro gli Irochesi nel 1649 e di fatto smise di esistere; il popolo degli Uroni fu anch'esso quasi del tutto decimato. Col tempo, gli ultimi sopravvissuti si mescolarono alle popolazioni vicine (che, lo ricordo, erano Algonchini, quindi di un altro ceppo linguistico/etnico). Questo è il motivo per cui, anche se oggi esistono delle tribù Wyandot che riconoscono gli Uroni di questa storia come loro antenati, è improprio dire che siano sopravvissuti fino ad oggi.
Ok, ora sono curiosa di sentire la vostra sul toto-Adelaïde: credete a Legrand e alla colpevolezza di Serge? O credete che ci sia sotto qualcos'altro?
-2 capitoli alla fine della prima parte, quindi non disperate: qualche risposta arriverà presto 😝
Enjoy ❤️
Crilu
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