Marion XII
Respirare non era mai stato così difficile, neanche quando il dolore per la perdita dei suoi cari la opprimeva fino a lasciarla senza fiato. Alzare e abbassare il petto le costava un'immane fatica, così che Marion non aveva neanche la forza di aprire gli occhi.
Stesa su una superficie morbida e calda, ascoltava ciò che avveniva attorno a lei: diverse persone si muovevano nella stanza, che presumeva essere la camera padronale della fattoria. Riconobbe il passo leggero di Jeannette e quello cadenzato della gamba di legno di Le Loup allontanarsi, ma ancora non voleva aprire gli occhi, poiché la densa oscurità in cui era sospesa era il rifugio migliore che avesse mai avuto.
«So che sei sveglia.»
L'acqua assassina la stava soffocando.
Marion strizzò forte gli occhi, decisa a non lasciarsi strappare a quella sicurezza illusoria da una voce che sperava di non udire mai più.
Mani che la trattenevano sul fondo, strette attorno alla sua gola.
«Apri gli occhi, Marion.»
Era una supplica, non un ordine, e lei non era mai stata capace di ignorare una preghiera accorata.
Dischiuse le palpebre e desiderò all'istante non averlo fatto: Roux era in piedi a braccia incrociate e la fissava dai piedi del letto.
Dita d'acciaio, occhi senza calore.
A vederlo così, con i lunghi capelli biondi baciati dal sole che penetrava attraverso la finestra aperta e gli occhi ricolmi d'infinita tristezza, non lo si sarebbe creduto capace di alcuna violenza; pareva semmai un cavaliere, un paladino d'animo nobile.
Lui la voleva morta.
All'improvviso Marion realizzò di essersi rannicchiata contro la testata del letto a occhi chiusi e che dalle sue labbra era sfuggito un lamento inconsulto, da preda braccata.
La porta si socchiuse, ma chiunque fosse dall'altra parte fu scacciato da una brusca esclamazione di suo marito, che poi prese a passeggiare nervosamente per la stanza.
"Mio Signore, fa' che non si avvicini a me" pregò Marion. "Salvami, Signore, ti supplico!"
Il suo desiderio fu esaudito, perché quando si azzardò a riaprire gli occhi per spiare le mosse dell'uomo lo vide di nuovo abbandonato contro la parete, gli occhi persi nel vuoto.
«Non ti ho sposata perché cercavo una moglie» mormorò a un tratto. «L'ho fatto perché mi serviva una madre. Per Keme. Per... Per riaverla con me.»
Parlava con voce appena udibile, eppure ogni parola risuonò chiara e spietata alle orecchie di Marion, quasi fossero colpi di frusta. All'improvviso si rese conto di aver aspettato una spiegazione sin dalla prima notte di nozze– o forse ancora da prima, forse dal momento stesso in cui Roux l'aveva chiesta in moglie.
Ma quella confessione era arrivata tardi e non sollevò nel suo animo neanche un barlume di costernazione o sorpresa; in tutta onestà, avrebbe volentieri rinunciato a scoprire la verità, ora che ne conosceva il prezzo.
Suo marito, invece, una volta tanto pareva incapace di tacere.
«È mia figlia, la mia unica figlia, nata da una donna che amavo profondamente e che ho perduto troppo presto. Saperla di nuovo in pericolo, di nuovo per la mia disattenzione... Dannazione, non c'è un senso in questo discorso, vero? Tu non mi comprendi, lo vedo.»
Più volte aprì e chiuse i pugni nella ricerca di un modo per continuare il suo discorso e Marion rabbrividì:
"Perché non mi sono mai resa conto della violenza che alberga dentro quest'uomo? Perché ne ho solo visto la disperazione, la solitudine, il dolore?"
«All'età di otto anni, per volere dell'allora governatore della Nuova Francia, fui mandato a vivere presso quelle genti che noi francesi chiamiamo Uroni e che sono note agli altri amerindi come Wyandot. Era pratica comune, al tempo, volta a mantenere e rafforzare la pace con gli alleati e a isolare quelle popolazioni – prime tra tutti gli Irochesi – che tramavano contro il dominio della Francia nel Nuovo Mondo.»
Un sorriso privo di gioia mise in mostra i suoi denti anneriti dal vino.
«La volontà di mio padre era quella di fare un servigio alla Corona e allo stesso tempo dimenticarmi laggiù. Forse l'unica cosa su cui io e lui siamo mai stati d'accordo è proprio che sarei stato un uomo molto più felice se avessi potuto trascorrere il resto della mia vita in quel villaggio.
Avevo un fratello, sai? Jean-Jaques, più grande di me di sei anni. Questa vita... La vita che sto vivendo... È la sua. Tutto che vedi avrebbe dovuto essere suo. Ma cascò da cavallo, batté la testa e così, tutt'a un tratto, mio padre perse il suo prezioso erede.
Fu allora che mi richiamò a sé.»
Lo sguardo di suo marito era acceso da quei vecchi ricordi, vivido ed espressivo come mai prima, tanto che Marion provò l'intenso impulso di sottrarvisi. Si portò una mano alla testa e sussultò per la subitanea fitta di dolore che si diramò dalla nuca: sotto le dita avvertì una protuberanza sensibile e calda, probabilmente risultato di quando aveva sbattuto contro il fondo pietroso del fiume. Trattenendo a stento le lacrime, voltò il capo contro il cuscino e lasciò che i capelli sciolti le nascondessero la vista di Roux.
Lo udì trattenere un'imprecazione, ma con suo grande sollievo non fece alcun tentativo di avvicinarsi; riprese invece a parlare con studiata lentezza, col tono che si usa con le bestiole spaventate.
«Tornai a casa che ero un uomo fatto e mio padre s'infuriò oltre ogni misura quando scoprì che avevo sposato una donna degli Uroni, Yarhata, che non avevo alcuna intenzione di ripudiare.
Come ho già detto poc'anzi, l'amavo teneramente ed ella mi ricambiava: nulla ci spaventava, tanto meno le vuote minacce di un vecchio, ormai giunto alla fine della sua esistenza. Difatti mio padre morì di lì a poco, con la soddisfazione di vedermi annegare nei debiti che lui stesso aveva contratto; ad oggi non riesco a liberarmi dall'idea che l'abbia fatto di proposito, poiché aveva fatto della morigeratezza un vanto e della tirchieria virtù. Non era uomo da incorrere in affari sbagliati, no di certo. Eppure i debiti erano tanti e onerosi e io dovevo escogitare una maniera di pagarli...»
Scrollò la testa:
«Sono stato così stolto» ringhiò, di nuovo rivolto più a sé stesso che a lei. «Così spavaldo, così arrogante a pensare che non ci fosse ostacolo che non fossi in grado di superare! Forse è per questo che Dio mi ha abbandonato, forse è per questo che mi ha maledetto e me l'ha portata via, nella stessa notte in cui ha messo al mondo nostra figlia. Tutte le promesse che le avevo fatto e le speranze e l'amore che provavo per lei – l'amore che, il Signore mi sia testimone, io provo ancora... È stato vano. Mi... Mi è scivolata via tra le braccia...»
La voce gli si incrinò e svanì in un singhiozzo che mise a nudo senza pietà la debolezza di suo marito: senza preavviso e senza vergogna alcuna, l'uomo lasciò che le lacrime strabordassero dal bordo degli occhi, bagnandogli le guance e la gola e perdendosi oltre i lembi della camicia. Se il cuore di Marion non si fosse tramutato in pietra durante il suo tentato assassinio, era certa in quel momento avrebbe pianto con lui davanti al suo stato pietoso e commosso.
«Keme ha una famiglia, dall'altra parte della foresta» riprese Roux dopo qualche istante, asciugandosi gli occhi con un gesto brusco. «Nel villaggio vivono ancora i suoi nonni, Chosovi e Sašęndwat, e i suoi due zii che sono miei amici fraterni; forse li avrai anche visti qui intorno, talvolta Chosovi li manda a sincerarsi che io sia ancora vivo. Nei primi giorni dopo la morte di Yarhata io non sapevo come occuparmi di mia figlia; alla fattoria con me c'erano solo i servi e loro erano inesperti d'infanti al pari di me. Perciò l'affidai a Chosovi.»
D'un tratto Roux si sporse verso di lei e l'osservò con occhi nervosi:
«Non dici nulla? Perché non dici nulla? Dannazione, donna, lo so che hai qualcosa da dire, qualsiasi cosa! Tu hai sempre un'opinione su tutto, Cristo santo, dunque perché non parli?»
Marion si sorprese nel constatare che sì, in effetti aveva qualcosa da dirgli. Voleva sapere se aveva rischiato la vita per una valida ragione, ma le ci vollero diversi tentativi per riuscire a parlare: la gola le bruciava come se qualcuno vi avesse acceso un fuoco infernale dentro.
«Keme ricevette il sacramento del battesimo?»
Lo vide aggrottare la fronte per poi distenderla in un'espressione di puro sconcerto.
«È questo che stavi facendo? Volevi battezzarla?»
Troppo stanca per replicare, lei dondolò la testa in avanti, mentre il torpore si tramutava in stupore e la paura in diffidenza.
"Quanti altri segreti mi ha tenuto nascosti?"
Roux si lasciò sfuggire una risata tagliente, incredula.
«Cristo, Marion, solo tu potevi rischiare di annegare entrambe per buttarle un po' d'acqua benedetta sulla fronte» la sbeffeggiò, con amara ironia. «No, io non la battezzai allora e Chosovi non crede nel Dio dei cristiani, non importa quanti gesuiti vadano a bussare alla sua porta.»
"Almeno su questo avevo ragione" si disse con un sospiro e si diede della sciocca per esseri abbandonata con tanta facilità a fantasie prive di fondamento.
La pelle ambrata di Keme, la strana forma degli occhi e degli zigomi, i capelli lucenti... Ora vedeva chiaramente in essa il riflesso della gente di sua madre, di quella Yarhata che era stata in grado di accendere una passione senza pari nell'animo di suo marito. Lo stesso uomo che solo poche ore prima era stato deciso a spezzarle il collo.
«Com'è morta davvero vostra moglie?» chiese dunque, senza curarsi di nascondere l'astio nella sua voce. «Di parto o per mano vostra?»
Roux non raccolse la provocazione, ma il tremito delle sue labbra era una chiara indicazione che le sue parole lo avevano colpito nel profondo e Marion ne gioì con segreta crudeltà.
«Yarhata morì di parto. Se invece ti riferisci ai sospetti di monsieur Legrand... Beh, egli intendeva la mia seconda moglie, Adélaïde, ritrovata morta sulla sponda del fiume un poco più a valle di qui. Aveva ragione, non si annegò né scivolò sulla riva. L'ho uccisa io.»
NOTE STORICHE
• Charles Huahult de Montmagny non fu il primo né il solo Governatore a cercare di rinsaldare i legami con i nativi americani inviando giovani rampolli della Nuova Francia a vivere con loro, per impararne usi e costumi. Una delle particolarità delle colonie francesi nel Nord America fu proprio il fatto che sin dal '500 i coloni intuirono l'importanza di avere queste popolazioni come alleate e si adoperarono per mantenere stretti rapporti con esse.
• In realtà si conoscono circa 101 nomi con cui gli Uroni erano conosciuti in Canada, alcuni dovuti a varianti fonetiche e/o grafiche riportate negli scritti dei colonizzatori francesi e altri che invece gli furono dati da altre popolazioni. Per comodità e chiarezza in questo racconto ho scelto di usarne solo due (Uroni e Wyandot).
• Devo un ringraziamento immenso a John Steckley, professore canadese che ha studiato la lingua Wyandot per oltre trent'anni, di fatto riportandola in vita a partire da fonti scarsissime e contraddittorie. A proposito dei nomi che ho usato per i miei personaggi scrive:
Yarhata: pronuncia [yah-rhah-tah]
ya- = pronome femminile singolare (lei/ella)
-rh- = radice nominale (foresta)
-a- = vocale di congiunzione
-ta = radice verbale (essere alla fine)
Significato: ella è sul limitare della foresta
Sašęndwat: pronuncia [s-ha-shen-dwat]
s- = rafforzativo (molto)
-a- = pronome maschile singolare (lui/egli)
-šęnd- radice nominale (nome)
-wat = radice verbale (essere grande)
Significato: egli (ha) un nome molto grande ≈ il suo nome è davvero grande
• Chosovi, così come Ahiga, Ahanu e Keme, è un nome di origine algonchina che vuol dire "uccello blu". C'è un motivo per cui più della metà della famiglia ha nomi algonchini, ma verrà spiegato più in là 😝.
Eh, sì, ho aggiornato con un giorno d'anticipo 😝🥰
Prima parte di uno spiegone un po' lungo ma necessario per capire meglio il personaggio di Serge... Poi si torna all'azione, tranquilli! 😈
Enjoy ❤️
Crilu
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