Marion XI
Keme riapparve due giorni dopo la partenza di suo marito, ma Marion non poté seguirla subito, impegnata com'era a estirpare le piante di lenticchie, i cui baccelli si erano fatti grossi e duri; le piante sarebbero poi dovute rimanere sul terreno finché non si fossero essiccate e solo allora lei, Jeannette e Le Loup avrebbero potuto batterle per ricavare il vero e proprio legume.
Non fu l'unica ad accorgersi della presenza della bambina: anche Jeannette la scorse e glielo fece notare.
«Forse ha bisogno d'aiuto» ragionò la ragazzina, continuando a lanciare occhiate verso la boscaglia anche dopo che Keme era scomparsa alla vista.
«No che non ha bisogno d'aiuto» esclamò Le Loup. «Quella bambina sa badare bene a sé stessa, non è una sciocca. Sa che non deve venire qui e si sta nascondendo da noi. Ah, due ceffoni le farebbero bene, le farebbero proprio bene...»
«Viene spesso?» s'informò Marion.
«Non saprei dire» rispose il vecchio dopo qualche istante d'esitazione.
«Ma se hai appena detto che non le è permesso venire significa che si è fatta già vedere da queste parti, nevvero?»
«Beh, sì, qualche volta... Non lo so, signora, non so dirvi.»
"Sta mentendo" intuì Marion e un sentimento molto simile all'ira le incendiò il petto.
«Louis, dimmi la verità. Perché la bambina non può venire qui?»
Jeannette interruppe il suo lavoro e la guardò stupita, forse anche un po' intimorita da quell'ordine seccato. Le Loup, invece, continuò a sradicare con tenacia le pianticelle.
«Loro non vogliono.»
«Loro chi?»
«Loro, loro... I selvaggi. Non vogliono che venga qui.»
«Perché?»
"Che abbiano paura che qualcuno scopra che c'è una bambina bianca sotto quelle pelli?"
«Signora, con tutto il dovuto rispetto, queste son cose di cui dovete ragionare col padrone» biascicò Le Loup, messo alle strette. «È lui che parla con gli amerindi, non noi.»
Seppur insoddisfatta, Marion decise di non insistere oltre, temendo di richiamare troppa attenzione sulle visite di Keme e sulle conversazioni che aveva avuto con lei; riprese il suo lavoro col cuore turbato e per tutto il resto della mattinata una sottile tensione aleggiò sulla fattoria, tanto più che avvertiva gli occhi preoccupati di Le Loup fissi su di lei.
La sensazione di essere spiata si tramutò in certezza quando, dopo pranzo, i suoi servitori iniziarono a disturbarla per ogni quisquilia, chiedendo la sua attenzione e il suo beneplacito anche per prendere una fetta di pane dalla dispensa.
"Mi sembra di essere prigioniera nella mia stessa casa!" pensò la donna, inviperita, ricambiando il sorriso tirato di Étienne con uno sguardo truce.
Non poté sottrarsi a quella vigilanza finché non fu pomeriggio inoltrato, quando si incamminò verso il fiume nella speranza che Keme fosse ancora nei paraggi. Tirò un sospirò di sollievo quando la vide accucciata sulla riva, intenta ad agitare l'acqua del torrente con un bastoncello: non poteva esservi occasione più propizia.
Nel vederla così indifesa nel suo cuore montava la paura di vederla perire da un giorno all'altro come era accaduto a Catherine e l'urgenza di garantirle la vita eterna si faceva sempre più pressante.
Eppure, nel momento di amministrare l'atto vero e proprio Marion esitava.
Sapeva che uomini comuni, mai consacrati sacerdoti, avevano battezzato neonati durante la pestilenza di vaiolo che aveva distrutto la sua famiglia; padre Bernard le aveva altresì spiegato che, in simili situazioni di emergenza, tale pratica era non solo tollerata dalla Chiesa, ma anche considerata valida al pari di una cerimonia presidiata da chi avesse preso i voti.
Sebbene quella fosse certamente una circostanza inusuale – in quel territorio non v'era traccia di un sacerdote per miglia e miglia – Marion temeva che, in quanto donna, la sua fede non sarebbe stata sufficiente per lavar via da quella piccola anima il peccato originale. Non aveva né l'autorità né l'acume di un uomo e non voleva scadere nella blasfemia.
Quando Keme si voltò a guardarla con occhi pieni di gioia e fiducia, però, la donna si sentì scaldare il cuore.
"Non posso abbandonarla al suo destino, non posso" si disse. "La mia volontà di battezzarla nel nome di Cristo e della Sua Chiesa è sincera: il Signore capirà."
«Vieni» le disse allora, prendendola per mano e avvicinandosi al fiumiciattolo, il cui letto era stato ingrossato dalle piogge primaverili.
Keme puntò i piedi nella riva melmosa e le rivolse un'espressione di puro terrore.
«No!» singhiozzò, con gli occhi colmi di lacrime.
«Non aver paura» la rassicurò Marion, avanzando nel fiume e lasciando che la corrente le aggrovigliasse le gonne attorno alle gambe. «Vedi? Ci sono anch'io qui con te. La corrente è forte, ma io ti sosterrò. Non ti lascerò andare... Lo giuro.»
L'esitazione della piccola parve durare in eterno, ma infine si convinse di potersi fidare, le afferrò anche l'altra mano e immerse i piedi, avvolti in soffici mocassini, nel fondale del rivo.
Marion fece qualche passo all'indietro, finché l'acqua non arrivò a lambirle i polpacci; Keme era ormai immersa fino alla vita. Tenendola saldamente con un braccio, immerse una mano chiusa a coppa nella corrente e la lasciò ricadere sulla fronte della bambina, che strillò divertita.
Prima che potesse recitare la formula del battesimo, tuttavia, un grido straziato provenire dalla fattoria la fece sussultare: mai aveva udito un essere umano emettere un tale suono disarticolato.
Pochi istanti dopo Serge emerse dalla boscaglia, ansante e rosso in viso, i lineamenti distorti da una rabbia folle. Era, senza alcun dubbio, la personificazione del demonio; gli occhi, che vagarono giusto un attimo su Keme per poi posarsi su di lei, rifulgevano di una luce assassina.
Prima che Marion potesse emettere un fiato, l'uomo le raggiunse, le strappò la bambina dalle braccia e la poggiò, quasi lanciandola, sulla terra asciutta.
«Cosa...» provò a dire la donna, confusa, ma fu bruscamente interrotta dalle mani di suo marito che si serrarono attorno al suo collo, mozzandole il respiro.
Lo scorrere del tempo s'interruppe: v'era una spaventosa lucidità in quel gesto, talmente in contrasto con l'uomo che Serge era di solito che Marion rimase immobile a contemplarla come un agnello davanti al macellaio, incapace di realizzare il pericolo.
Poi la realtà la colpì in tutta la sua violenza e lei si dibatté nel vano tentativo di incamerare più aria, ma comprese subito che non avrebbe potuto mai vincere una lotta tanto impari: le dita di suo marito sembravano essere diventate di ferro e le iridi chiare rivelavano un odio viscerale e la chiara volontà di ucciderla. Con un ringhio ferino, Serge l'afferrò per la cuffia e la spinse in acqua, chinandosi su di lei in modo da assicurarsi che, per quanto si dimenasse e scalciasse, non potesse riaffiorare.
Si era già trovata in un pericolo mortale una volta, mentre era stesa febbricitante nel suo letto con il corpo divorato dalle piaghe del vaiolo; ma allora era prostrata dalla malattia e la morte le era apparsa non dissimile da un sogno — un oblio di pace, una liberazione dal dolore.
Ora, invece, il terrore di morire rischiò di spaccarle il cuore in due.
Annaspò alla cieca mentre l'acqua le invadeva la bocca e il naso e la corrente le sbatteva il capo contro i sassi del fondale, mentre il petto le bruciava in maniera insopportabile e gli arti perdevano forza e calore. L'unica certezza in quella tortura rimanevano le mani di Serge ancorate al suo collo: se avesse premuto con appena un poco di forza in più, di certo glielo avrebbe spezzato.
Fu allora che un secondo sentimento si fece strada oltre la nube oscura di paura e le schiarì la mente.
"Avevate giurato di proteggermi, di amarmi e onorarmi per il resto della vostra vita!"
Non si erano sposati per amore, questo era certo; Marion non era neanche sicura che suo marito le piacesse, o che lui trovasse in qualche maniera gradevole la sua compagnia. Ma in un certo momento negli ultimi due mesi aveva iniziato a credere che Serge non avrebbe mai permesso che accadesse qualcosa di male a chi abitava sotto al suo stesso tetto.
Si era cullata nella convinzione di aver sposato un uomo buono.
La fiducia tradita si tramutò in una rabbia pari, se non superiore, a quella di lui: con una forza che non le apparteneva, Marion inarcò la schiena e sollevò il capo oltre il pelo dell'acqua. Il sole abbagliò i suoi occhi offuscati, l'aria le invase i polmoni con un orribile risucchio e alle sue orecchie giunsero contemporaneamente diverse voci.
«Padrone, no, in nome del Cielo!»
«Signora!»
«Cristo, Étienne, fa' qualcosa!»
Sopra a tutti si udivano le grida di Keme, acute e penetranti come solo il pianto di un bambino può essere. Alcune parole appartenevano a una lingua che Marion non conosceva, ma altre le comprese molto bene.
«Fermatevi!» urlava la piccola. «Basta, padre, basta!»
La sorpresa e la confusione le fecero perdere concentrazione e Serge ne approfittò per spingerle nuovamente la testa sott'acqua. Marion avvertì un dolore improvviso alla nuca e sprofondò in un'oscurità fitta come una notte senza stelle.
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Ok, neanche io so bene come commentare questo capitolo 😂🙈
Innanzitutto complimenti a LifiaDoe che è stata la prima a suggerire che Keme fosse la figlioletta di Serge ☺️
Idee sulle motivazioni di Serge? Tranquilli, avete da qui all'8 febbraio per pensarci su 😝
(Sì, niente aggiornamento la prossima settimana, perché purtroppo ho un esame che — se va bene — durerà tre giorni 😭 però arriverà il capitolo-divisore della seconda parte e FORSE il nuovo prologo quindi dai, non vi lascio proprio a bocca asciutta!)
Enjoy ❤️
Crilu
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