Marion V
Louis Le Loup, Louis il lupo.
Bastava guardarlo in faccia per capire come si fosse guadagnato quel soprannome: c'era qualcosa, in quei lineamenti allungati e negli occhi gialli, che ricordava da vicino una bestia feroce. E quando le sorrise, mettendo in mostra una chiostra di denti bianchissimi e affilati, l'inquietudine di Marion aumentò a dismisura. Tuttavia si vide costretta a seguirlo mentre si avviava verso la stalla con una strana andatura barcollante.
"Che sia anch'egli un ubriacone come il padrone?"
A metà strada tra la casa e la stalla si voltò indietro, frenando a stento l'impulso di correre a rifugiarsi di nuovo nella camera da letto; ma sull'ingresso la figura alta e ben piazzata di suo marito si stagliava contro la luce del sole di primo mattino e Marion non aveva intenzione di avvicinarsi a lui più del dovuto.
Sentì le guance imporporarsi e si morse furiosamente le labbra al ricordo di come aveva riso di lei e dei suoi timori solo pochi minuti prima.
"No, non so come si fanno i figli" pensò, raddrizzando le spalle e affrettandosi a seguire Le Loup. "Ma che senso ha la mia presenza qui, se non ne posso mettere al mondo nessuno?"
Si guardò attorno, stando attenta a non affondare i tacchi squadrati delle scarpe nelle pozze di fango lasciate dalla pioggia del giorno precedente.
I possedimenti di Serge Roux le apparvero ancora più estesi e floridi alla luce del giorno: dietro la stalla si ergeva un grosso magazzino, anch'esso di legno, e un recinto in cui pascolava placidamente un piccolo gregge di pecore.
Dai campi d'orzo le giungevano le risate e gli sbuffi degli uomini impegnati nell'ingrato compito della scerbatura: inginocchiati sul terreno, tagliavano via le malerbe che rischiavano di soffocare le spighe ancora verdi.
«Che senso ha tutto questo, se non ci sono bambini a cui lasciarlo?» mormorò tra sé e sé.
La voce aspra di Le Loup giunse dalla stalla, secca come una frustata:
«Sbrigatevi!»
Quando mise piede all'interno, per la prima volta da quando era arrivata in Nuova Francia inalò un odore vagamente familiare – quello delle pelli delle quattro grosse vacche pezzate che stavano aspettando con pazienza di essere munte.
Jeannette era già al lavoro e sebbene lanciasse di tanto in tanto occhiate spaventate all'inquietante figura di Le Loup, sembrava molto più a suo agio del giorno prima, tanto che le rivolse anche un radioso sorriso quando la vide esitare sulla soglia.
«Buongiorno, Marion!» mormorò, incassando la testa sulle spalle quando Le Loup le lanciò un'occhiata di rimprovero.
«È la padrona, piccoletta!»
Il fastidio e la noia che Marion lesse in quelle iridi gialle la infastidì non poco.
«Jeannette, puoi rivolgerti a me come preferisci.»
L'uomo arricciò il naso, ma non rispose e Marion si costrinse ad aprire i pugni che aveva contratto attorno alla stoffa della gonna.
«Padron Serge mi diceva che voi non sapete gestire la casa» borbottò Le Loup, afferrando uno dei secchi di ferro appesi a un gancio vicino alla porta.
«So gestire una casa molto bene» puntualizzò Marion, seguendo il suo esempio. «Ma non ho mai vissuto in una fattoria. Non so cosa c'è da fare e quali sono i miei doveri.»
Le Loup, che si era inginocchiato accanto a una grossa mucca dal manto nero, soffocò un suono che somigliava molto a una risata di scherno.
«Il padrone che sposa una dama di città, chi l'avrebbe mai detto!» sussurrò e Marion strinse le labbra, indecisa se riprenderlo o meno.
Ma Le Loup era un uomo fatto, sulla quarantina, non molto alto ma con braccia nerborute che le incutevano timore, perciò scelse il silenzio.
Eppure, nonostante non lesinasse i ghigni e gli sbuffi impazienti, l'uomo fu molto gentile nell'insegnarle l'arte della mungitura – anche se lei non riuscì a scrollarsi di dosso l'impressione che il suo tono basso e quieto fosse volto più a non spaventare le bestie che a rassicurare lei.
«Ebbene, non era poi così difficile, nevvero?» ghignò infine, osservando il secchio colmo di latte che Marion gli porse.
La donna rispose con un sorriso incerto e fu allora, mentre Le Loup era già preso dalla faccenda successiva, che si accorse che l'uomo era stato il primo a guardarla negli occhi da quando era arrivata nelle colonie.
Le sue cicatrici, per qualche motivo, sembravano non fargli alcun effetto.
***
L'evento che Marion paventava accadde mentre era china sul terreno dell'orto per seminare le lenticchie. Jeannette la precedeva di qualche passo, intenta a scavare le postarelle sulla terra nera e brulla che Le Loup aveva già preparato il giorno prima.
Marion era così intenta a lasciar cadere i tondi e piatti semini in quelle buche – timorosa di sbagliare anche in un compito così facile – che non si accorse dei due uomini finché non le furono al fianco e la salutarono, facendola sussultare.
«Henri Durand e Pierre Petit, signora. Siam venuti a porgervi i nostri omaggi» disse il più alto tra i due, un giovane smilzo e dai capelli rossicci che ben si accordavano alla carnagione chiarissima, macchiata da numerose efelidi sul naso e sulle guance. Quando sorrise, mettendo in mostra due grandi incisivi un po' storti, gli occhi blu rimasero stranamente privi di calore.
I capelli neri di Pierre, invece, erano striati di bianco in più punti e numerose rughe gli solcavano il volto dai lineamenti scolpiti e regolari. La donna immaginò che in gioventù dovesse essere stato un uomo piuttosto piacente, con occhi gentili e un sorriso quieto; e si chiese come fosse finito in quella sperduta fattoria della Nuova Francia, alla soglia della vecchiaia, a lavorare per suo marito che sembrava essere fatto di tutt'altra tempra.
«Saremmo venuti prima» aggiunse Henri, con tono di scuse. «Ma Étienne ce l'ha detto solo ora, che il padrone vi ha presa in sposa.»
"Étienne? E mio marito, lui non vi ha detto nulla?" si chiese.
Non riuscì a trattenere una smorfia sconfortata, ma preferì non ripetere quelle domande a voce alta. Dubitava inoltre che i due l'avrebbero udita, concentrati com'erano sul suo volto. Marion sapeva che non stavano guardando lei.
Nessuno si prendeva mai la briga di ricercare i lineamenti di un tempo sotto la trama di cicatrici e spesso si era chiesta se i suoi interlocutori realizzassero che c'era ancora una donna dietro a quelle ferite.
Il tempo pareva essersi fermato in quel piccolo angolo di mondo: anche Jeannette aveva smesso di saltellare sul terriccio smosso e si era fermata a guardarla, in attesa di un cenno per poter riprendere il lavoro. Marion avvertiva tutta la pelle bruciare e lasciò cadere a terra i semi che ancora stringeva nel palmo per calcarsi meglio la cuffietta sulla fronte, tentando al tempo stesso di sottrarsi agli occhi dei due servitori.
«Vi... Vi ringrazio» balbettò, resistendo all'impulso di voltar loro le spalle.
Henri e Pierre parevano non aspettare altro e con un veloce cenno del capo si congedarono.
Solo allora Marion riprese a respirare normalmente, rilassò le spalle e fece un gesto d'incoraggiamento verso Jeannette; anche mentre riprendeva a seminare, tuttavia, sentiva lo sguardo acuto di Le Loup pesarle sulla nuca.
Appena finita la fila di postarelle l'uomo le si affiancò per osservare quanti semi infilasse in ogni buca, ma Marion sapeva che non era alle lenticchie che l'uomo stava pensando.
«Dovreste essere più autoritaria» mormorò infatti lui dopo qualche istante.
«Come si può rendere autoritario un ringraziamento?»
«Non è quel che dite che importa, ma il vostro comportamento!» sbottò Le Loup, fermandosi e costringendola a fare lo stesso. «Siete la moglie di un seigneur, adesso, lo capite? Un seigneur in rovina, sì, ma pur sempre un seigneur!»
Marion strinse le labbra tra i denti fino a farle diventare esangui.
«Ciò che ho capito da tutta questa faccenda è che il vostro padrone ha commesso un grave errore nel momento in cui mi ha scelta come sposa!» sibilò, con voce atona.
Louis si passò una mano tra i radi ciuffi grigi che aveva alla base del cranio.
«Ah, signora, dite così solo perché quei due imbecilli di Henri e Pierre non riuscivano a staccare gli occhi dalle vostre cicatrici!»
«Potete biasimarli?» replicò lei con aria di sfida, ma l'uomo si limitò a scuotere la testa con un brontolio.
«Beh, è proprio di questo che parlo! Dovevate tirargli un ceffone sul muso a tutti e due!»
«Non è così facile.»
«Facile?»
Con un grugnito, Le Loup afferrò il bordo destro delle brache e lo sfilò dallo stivale: con sorpresa e raccapriccio, Marion vide che dove avrebbe dovuto esserci la gamba c'era un blocco di legno, scolpito in modo da rassomigliare pressappoco a un arto umano.
«A questo mondo non v'è nulla che valga qualche cosa e che sia facile al tempo stesso. Se così non fosse, io danzerei alla corte del Re!»
All'improvviso puntò un indice ammonitore contro il suo naso.
«Non voglio impicciarmi negli affari vostri, perciò non verrò a chiedervi perché avete sposato il padrone – anche se posso immaginarlo; ma ora siete qui, siete sua moglie e tutti noi vi dobbiamo rispetto. Imparate a prendervi ciò che vi è dovuto!»
Louis se ne andò borbottando senza darle il tempo di replicare.
«È un buon consiglio» mormorò la donna ai semi sparpagliati ai suoi piedi, e si stupì d'inghiottire un paio di lacrime. Non si era resa conto di star piangendo.
"Impara a prenderti ciò che ti è dovuto. Sei una figlia del Re, dopotutto!"
Non valeva niente, quel titolo, non era neanche reale. Era solo un'espressione che avevano affibbiato a lei e alle sue compagne, un ultimo legame con la madrepatria.
Ma quel giorno, nel bel mezzo di un campo di lenticchie Marion si sentì una regina.
***
Fu con un certo sollievo che Marion accolse la fine della mattinata, decretata da Louis che si appoggiò contro il recinto delle pecore, detergendosi il sudore dal viso.
«Il sole è già alto. Meglio che una di voi due vada a prendere l'acqua al fiume, mentre io cucino qualcosa per pranzo.»
Marion socchiuse gli occhi nel vedere il modo incerto con cui arrancava verso casa.
«No» disse, in tono gentile ma fermo. «Cucineremo noi. Jeannette, accendi il fuoco, sarò di ritorno tra poco.»
«Siete sicura? Posso andare io, se volete!» si propose la ragazzina, premurosa. Al suo sguardo attento non era sfuggito il fatto che Marion si fosse affaticata parecchio nel lavorare all'aperto.
«Il fiume non è lontano» replicò la donna con una scrollata di spalle.
Più che di un fiume si trattava di un rivo, che al più arrivava a misurare un braccio di profondità e che alcune miglia più a sud s'allargava per gettarsi nel San Lorenzo. Mentre era china sulla riva a lottare con la vivace corrente e a rabbrividire per gli schizzi gelidi che la colpivano sulle braccia e sul viso, chiedendosi perché mai suo marito non avesse fatto costruire un pozzo più vicino alla casa, a Marion parve di udire una voce.
Si guardò attorno, perplessa, cercando d'individuarne la fonte, anche se non era del tutto certa di aver sentito una voce umana: poteva anche essere stato il vento che stormiva tra le foglie degli alberi, o lo zampillio dell'acqua contro una roccia...
Poi la udì di nuovo, più vicina, e questa volta il suo cuore mancò un battito.
«Catherine» sussurrò e quasi si lasciò scivolare il secchio dalle mani quando vide sua sorella apparire sulla riva opposta del torrente.
Aveva la stessa età di quando l'aveva vista l'ultima volta e i lunghi capelli neri svolazzavano allegri mentre correva tra le frasche.
«Catherine!» gridò Marion, col cuore in gola, arrancando sul fondo scivoloso del rivo per non perderla di vista.
Si sarebbe anche buttata in acqua nel tentativo di raggiungerla, benché non sapesse nuotare, ma veloce come era arrivata Catherine scomparve alla sua vista, nascosta dalla foresta che si estendeva oltre le proprietà di Serge.
Marion scandagliò con occhi lucidi la boscaglia, ma la visione non tornò a ripresentarsi e a malincuore la donna raccolse il secchio colmo d'acqua e s'incamminò verso casa.
NOTE STORICHE
• Spiegare il feudalesimo in Nuova Francia in poche righe è difficile. Parto col dire che Serge non è nobile, ma quello che oggi definiremmo alto borghese: a questa classe sociale il Re aveva concesso ampi appezzamenti di terreno, che questi latifondisti suddividevano tra varie famiglie di coloni. Era una sorta di subappalto in cui la terra essenzialmente apparteneva a chi la lavorava, che però doveva pagare ovviamente diverse tasse per questo privilegio. Il seigneur (sto ancora cercando la traduzione italiana più adatta 😅) aveva anche il compito di mettere a disposizione un mulino per i suoi coloni. Serge di questi problemi non ne ha e il perché lo vedremo nel prossimo capitolo 😑
• È piuttosto nota la passione di Luigi XIV per la musica e la danza: pare che inventasse egli stesso delle coreografie per i balli a Versailles.
Sono combattuta.
Da un lato il dialogo tra Le Loup e Marion mi piace da morire (cosa strana, sono sempre super critica di ciò che scrivo 😂) dall'altro non mi sembra perfettamente calato nel contesto storico. Boh, c'è qualcosa nel lessico che non mi torna... Magari ci tornerò sopra più in là, a mente fresca!
Nel frattempo vi lascio con questo nuovo personaggio, brontolone solo all'apparenza, che spero vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me scriverne 😝😍
E poi con il mistero del fantasma intravisto da Marion al fiume... Che dite, un giorno con Serge e già sta perdendo la ragione? 😂
Enjoy ❤️
Crilu
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