Jeannette II
L'ultimo legno ancora integro all'interno del camino si sgretolò con un fruscio quando Henri smosse le braci con l'attizzatoio. Piccole fiammelle rosseggiarono qua e là, divorando ciò che rimaneva dei due tocchi che avevano scaldato la casa e permesso a Marion e Jeannette di arrostire una lepre incauta per cena. La bestiola si era avventurata nell'orto alla ricerca di cibo ed era stata centrata nelle cervella da una pallottola di moschetto sparata da Le Loup; il vecchio, ringalluzzito, aveva poi tenuto banco tutta la sera coi racconti delle volte in cui la sua buona mira gli aveva salvato la pelle.
Ora la padrona si era ritirata nella sua camera e non si vedeva l'ombra di padron Serge, che a mezzogiorno si era attaccato a un fiasco di vino e non l'aveva lasciato più andare. C'erano delle sere in cui Jeannette si ritrovava a sperare che non tornasse dal luogo in cui si rintanava a smaltire la sbornia, cosicché la sua buona Marion non dovesse più vivere nell'eterno tentativo di interpretare l'umore del marito, mutevole come il vento del Nord.
I servi erano stanchi, ma con l'avvicinarsi dell'estate le giornate si erano fatte più lunghe e la luce del crepuscolo invitava a sedersi davanti al camino per chiacchierare ancora un poco, almeno finché le braci non si fossero del tutto spente. E Jeannette aveva preso a rannicchiarsi a lato del camino, zitta e quieta, per ascoltare i loro discorsi.
Non era più spaventata da quegli uomini come all'inizio, quando vedeva nei loro volti quello arcigno e severo di suo padre. Aveva imparato a distinguere i passi zoppicanti di Le Loup da quelli agili di Pierre e le imprecazioni di Étienne, soffocate e sbuffanti, dalle colorite esclamazioni di Henri. A ognuno di loro poteva assegnare un odore, un vizio, un modo di sorridere o di arrabbiarsi che le parevano oramai familiari: si era affezionata a essi come a Marion e loro, di contro, l'accoglievano di buon grado quando s'intrufolava nel loro ristretto circolo. Tranne quando parlavano di donne: allora Pierre, e ancor di più Étienne, si facevano inflessibili e la scacciavano in cucina, lontano da quelle conversazioni peccaminose.
«Centotrenta piedi, ti dico, e non uno in meno!» tuonò Le Loup, agitando il pugno per dare maggior enfasi alle sue parole.
«Certo, vecchio, centotrenta piedi... Misurati con la tua stampella di legno, però!» sghignazzò Étienne.
«Ah sì? Provaci te, a beccare qualcosa a quella distanza!»
«In guerra una volta un mio commilitone centrò un nemico a cinquanta iarde di distanza» disse Pierre, con il suo solito tono pacato.
«Oé! E chi misurò tale prodigio, gli asburgici?»
Nella voce di Henri si udivano incredulità e scherno.
«Ridi quanto ti pare, ragazzo, ma in Baviera ci sono uomini grandi e grossi, soldati veterani, che tremano al ricordo dei moschetti francesi e di come li massacrarono a Nördlingen. Io c'ero, sapete, e ho visto quando il loro comandante si beccò una palla in pieno petto e cadde sul terreno sboccando sangue: non fece in tempo a raccomandare l'anima a Dio che era già morto...» intervenne Le Loup.
«Raccontala di nuovo, quella storia, che Jeannette non l'ha mai sentita» lo invitò Étienne e la ragazzina si fece più vicina al focolare, le labbra curvate d'istinto in un sorriso riconoscente.
Le Loup si accomodò meglio sulla sedia e attese qualche istante prima di iniziare a parlare, in modo da avere su di sé la completa attenzione di tutti i presenti.
«Era estate, in agosto - un caldo boia che non vi dico - e noi marciavamo da quattro giorni. Eravamo agli ordini del Gran Condé, che era animato dal desiderio di rivalersi sui mangia crauti per Mergentheim. Che poi egli non era nemmeno presente a Mergentheim, ma la sconfitta gli bruciava nell'orgoglio di generale francese, capite.
Fatto sta che, marcia e marcia, a un certo punto incontriamo gli asburgici e i loro compari bavaresi. Noi di qua e loro di là, fu subito chiaro a tutti che era uno di quegli scontri decretati dal valore degli uomini, perché di numero eravamo alla pari. Forse loro contavano qualche fante in più, ma poca roba.
Noi attaccammo per primi: corpo d'un diavolo, ricordo ancora il fischio delle palle che mi passavano sopra la testa mentre correvo verso il nemico!»
Jeannette faticava a figurarsi Le Loup come qualcosa di diverso da un vecchio curvo e zoppo; eppure doveva essere stato ragazzo, come lei, e poi uomo e poi soldato che si lanciava impavido contro i nemici della Francia. Una vita così lunga, piena di corsi e ricorsi come un fiume che scorre su un terreno accidentato, lei non riusciva neanche a immaginarla.
Gli occhi gialli di Le Loup mandavano bagliori eccitati, come se di colpo fosse tornato sul campo di battaglia.
«Due volte assaltiamo il castello e due volte ci ritiriamo, bastonati come cani, portandoci dietro i feriti e lasciando molti compagni ancora sul terreno. La terza volta il Gran Condé in persona cavalca avanti a noi e pure lui è costretto a fuggire dai cannoni bavaresi che non ci danno tregua - è finita, mi dico, se anche il nostro generale fa voltare il cavallo.
Invece fu proprio allora che il comandante nemico cadde stecchito e tutti presero a correre, chi da una parte, chi dall'altra, nella confusione più nera; e il Gran Condé, che stupido non è mai stato, colse l'occasione per sfondare le linee nemiche. Travolgemmo tutto, lui in testa e noi dietro: il castello, il villaggio e poi giù dalla collina, a inseguire i bavaresi, che dopo un po' vista la mala parata gettarono le armi e s'arresero. Che gran bottino fu quello... Fuggirono, e si lasciarono indietro non so quanti cannoni e stendardi e più di settemila uomini tra morti e prigionieri - tra cui ben più di una testa nobile, eh.»
Henri si grattò il mento, su cui cresceva una disordinata barba rossastra.
«Ma non è stato a Nördlingen che ti sei beccato quella pallottola nel ginocchio?»
«Sì, sì, è stato proprio quella volta lì.»
«E allora come fai a sapere che i bavaresi se la diedero a gambe a quella maniera?» rise il ragazzo.
Il vecchio si raddrizzò sulla sedia, sbuffando e grugnendo come un grosso cinghiale imbestialito, i denti scoperti nel solito ghigno da lupo, reso ancora più inquietante dalla rabbia che gli si leggeva nello sguardo. Sembrava sul punto di rispondergli per le rime, quando si udì un lieve rumore provenire dalla camera padronale e Louis si immobilizzò con i pugni contratti.
«Ma cosa vuoi saperne tu, che non eri neanche nato!» sbuffò dopo qualche istante, tornando ad abbandonarsi contro lo schienale della sedia. Si era calmato, ma la sua espressione rimase torva e ricolma d'orgoglio ferito. «Li ho visti, per Dio! E poi me l'hanno raccontato. Così come mi hanno raccontato che il Gran Condé fece erigere una lapide per il generale morto, tanto lo rispettava: non erano certo omuncoli da nulla, quelli con cui ci siamo battuti!»
«Sarà, vecchio, ma a me mi sembra che ogni volta che la racconti questa storia diventa più lunga!»
Battibeccarono per un po' ma Jeannette smise ben presto di ascoltarli, persa dietro al filo dei suoi pensieri.
«È per questo che hai una gamba di legno?» chiese a un certo punto. «È perché fosti colpito in quella battaglia?»
«Jeannette» la richiamò Pierre, con voce lievemente preoccupata. «Che domande sono queste?»
«E lasciala parlare, che sarà mai?» disse invece Le Loup, fiutando l'occasione per zittire Henri e continuare il suo racconto. «Sì, ragazza, la palla mi attraversò la carne e spaccò l'osso a metà e il medico del campo fu costretto a tagliare via la parte di sotto per evitare che il marciume si spandesse a tutto il corpo. Quanto a quest'affare che mi trascino dietro, me lo sono fatto da solo - ché l'esercito mi rimandò a casa con l'ultima paga e si dimenticò di me. Ne conoscevo tanti, di storpi di guerra che avevano finito i loro giorni a ciondolare appesi a una stampella, nella speranza che qualche buon cristiano gli facesse un'elemosina, e non volevo crepare a quel modo.»
«Basta così» lo interruppe Pierre. «Non è bene incoraggiare la curiosità di una fanciulla: come pensi che riuscirà a trovare marito, se continui a riempirle la testa di battute di caccia e gambe mozzate?»
Jeannette socchiuse le labbra per replicare, poi le serrò in un broncio frustrato.
"Se mi lascio scappare che non voglio sposarmi affatto, Pierre non mi farà più sedere qui con loro."
«Non ti preoccupare, Jeannette, che se nessuno ti vuole come moglie ti sposo io» replicò Henri al suo posto, ma il ghigno che aveva dipinto in viso le fece dubitare della serietà di quella proposta.
«Non vorrei che finissi come la povera padrona, a correre dietro a un marito innamorato del vino e non di lei.»
La ragazza arrossì di rabbia, ma non aveva alcun argomento con cui controbattere: per quanto le dolesse ammetterlo, la pensava come lui e soffriva nel vedere Marion spaccarsi la schiena per quell'uomo ingrato.
C'era stato un momento, quando era andata a svegliarlo per chiedergli aiuto con i coureurs des bois, in cui le era parso di vedere nel volto truce di padron Serge un barlume di preoccupazione per altre persone all'infuori di sé stesso. Ma quell'illusione era svanita già il mattino dopo, quando l'aveva trovato a sonnecchiare in un angolo della stalla, riverso ai piedi di una vacca.
«Via, non è cosa da discutere tra noi» borbottò Étienne.
«Stavo scherzando!» protestò Henri.
«C'è poco da scherzare, con padron Serge. Ora andiamo a letto, che fuori si è fatto scuro da un pezzo.»
Mentre Henri, Étienne e Pierre si affaccendavano a rimettere a posto sedie e sgabelli e Jeannette spegneva le ultime braci, Le Loup esalò un lungo sospiro.
«Se solo le dicesse...» mormorò.
La fierezza e la vivacità di pochi istanti prima avevano lasciato il posto all'espressione addolorata di un cane a cui avessero appena ammazzato il padrone. La ragazza si ritirò in cucina senza far rumore, meravigliata, chiedendosi se Roux sapesse che c'era qualcuno, in quella casa, che si crucciava a tal punto per lui.
NOTE STORICHE
• Centotrenta piedi = 38 metri, cinquanta iarde = 45 metri, che approssimativamente era il range massimo di un moschetto dell'epoca.
• La battaglia a cui Le Loup fa riferimento è avvenuta a Nördlingen, in Germania, nel 1645 — da non confondere con lo scontro del 1634, avvenuto sempre presso questa cittadina, che i francesi persero.
• Il racconto di Le Loup è infarcito di retorica. Se c'era uno schieramento leggermente in vantaggio erano i francesi, con un'armata stimata di 16000 uomini contro i 12-13000 degli Asburgo. Inoltre, è vero che i francesi vinsero, ma lasciarono sul campo molti più morti dei loro nemici e la battaglia non ebbe alcun effetto decisivo sull'andamento della guerra dei trent'anni. Lo scontro si svolse più o meno come ho descritto nel capitolo, anche se Le Loup tralascia di precisare che l'ala sinistra dell'esercito francese fu completamente travolta e il suo comandante catturato.
• Luigi II di Borbone-Condé, appartenente a un ramo cadetto dei Borbone di Francia, fu uno dei più abili e famosi condottieri del Seicento. Già amico di Richelieu, a 21 anni sconfisse i tercios fiamminghi, da tutti considerati invincibili, e guidò la repressione contro la Fronda nei turbolenti anni dopo la morte di Luigi XIII. Per i suoi numerosi successi militari era soprannominato «il Gran Condé» o anche «l'Alessandro Magno di Francia».
• Il condottiero tedesco morto a Nördlingen era il barone Franz con Mercy, altro nome ben noto tra gli schieramenti della guerra dei trent'anni — tanto che nel punto in cui cadde Condé fece erigere un memoriale con l'iscrizione «Sta, viator, heroem calcas» (Fermati, viandante, stai calpestando i resti di un eroe).
Fun fact: i tedeschi chiamano questo scontro battaglia di Allhereim, dal nome del castello e non da quello della città.
Ho una passione insana per gli inutili dettagli del background dei personaggi secondari? Oh, sì. E voi ve li sorbirete tutti 😈😈😈
Scherzi a parte, questo capitolo è un po' di passaggio ma avevo bisogno "di tirare il fiato", per così dire. Una pausa che permettesse al racconto di ampliarsi oltre i confini della fattoria (oltre i confini della Nuova Francia, in effetti) e di far conoscere meglio i servi di Serge prima che le cose precipitino.
Perché sì, le cose precipiteranno di brutto 🤩
Enjoy ❤️
Crilu
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