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Ahiga e Ahanu I




La luce del tramonto s'intrufolava tra gli alberi furtiva come una volpe e si specchiava nelle pozzanghere lasciate dalla pioggia del pomeriggio.
La foresta e i suoi abitanti si godevano i tiepidi raggi del sole, che aveva deciso di tornare a illuminare brevemente quella terra prima di calare oltre le montagne: piccoli e agili scoiattoli si apprestavano a rifugiarsi nelle loro tane, mentre un paio di gufi lanciavano acuti richiami insonnoliti.
Tra i cespugli del sottobosco, una volpe grigia frustava l'aria con la folta coda macchiata di nero e aspettava pazientemente l'occasione migliore per attaccare la sua preda – un ignaro coniglio selvatico intento a brucare qualche tenero germoglio prima dell'arrivo della notte.
In mezzo agli alberi dalla corteccia ancora umida e al brusio degli uccelli e degli insetti, i due uomini appostati sulla cima dell'altura passavano quasi inosservati.

Eppure erano due individui alti e ben fatti, con lunghe gambe allenate dalla corsa e ampie spalle coperte da un mantello di pelle di castoro, che difficilmente sarebbero stati ignorati in uno qualsiasi degli insediamenti francesi sorti lungo il San Lorenzo: la loro carnagione, infatti, aveva lo stesso colore della terra bruciata. Gli occhi, allungati e scuri, avrebbero attirato lo sguardo di gran parte degli abitanti di Québec, al pari dei simboli rossi e neri che si erano dipinti su tutto il corpo.
Ma forse la caratteristica più insolita dei due nativi era il fatto che nessuno, a prima vista, avrebbe potuto distinguerli.
Avevano la stessa altezza, lo stesso naso diritto e dalle grandi narici, la stessa bocca scura, larga e carnosa, gli stessi capelli neri e lucidi, lasciati liberi sulle spalle. Erano venuti al mondo insieme e insieme si muovevano sin da allora, impersonando l'uno l'ombra dell'altro, così che agli occhi degli estranei spesso sembravano una sola persona, guidata dalla medesima mente.
Tuttavia le profonde differenze nel carattere dei due gemelli emergevano non appena uno dei due apriva bocca.

«Non tornerà» ridacchiò Ahiga a mezza bocca e afferrò il sacchetto di tabacco che portava appeso sulla schiena tramite un laccio di pelle.
«Probabilmente è caduto in un fosso qua intorno. Ubriaco, come al solito.»

«Tornerà» replicò invece Ahanu con voce profonda. «Torna sempre.»
I pendenti di porcellana che portava alle orecchie tintinnarono e rifletterono la luce del sole morente mentre si voltava verso il fratello, trattenendo un verso di esasperazione nel vedere che aveva perso l'acciarino – di nuovo.
«Non dovresti fumare mentre siamo qui» mormorò, ma gli passò ugualmente la sua pietra focaia per permettergli di accendere la pipa.

«Non siamo mica a caccia.»

«No, ma siamo di vedetta e il fumo potrebbe mettere in allarme gli uomini bianchi. Potrebbero venire a cercare delle tracce e le troverebbero. Potrebbero innervosirsi e decidere di disobbedire al padrone...»

«La tua mente vaga troppo, Ahanu, quasi quanto quella di nostro padre.»

«Dev'essere un tratto di famiglia. Spiegherebbe perché la tua testa è più vuota di un vecchio alveare.»

Un sorriso sghembo arricciò le labbra di Ahiga, che scrollò la testa e buttò fuori il fumo, indicando il pianoro davanti a loro con la canna della pipa.
Diverse iarde più in basso, in mezzo a diversi acri di campi coltivati, si ergeva una casa di legno segnata dal tempo e dalle intemperie.

«Mai vuota quanto la loro, che lavorano per Roux e si spaccano la schiena al suo posto mentre lui beve e vaga per i boschi. Un giorno o l'altro troveremo i suoi resti spolpati da un orso, vedrai.»

«Non vuoi davvero che succeda!» protestò l'altro, innervosito.

Ahiga tornò serio.
«No, certo che non lo voglio. Sto dicendo solo che prima o poi gli capiterà qualcosa di brutto... L'ha detto anche la mamma e lei non sbaglia mai su queste cose.»

«Preghiamo Gitchi Manitou che questa volta sia la prima, allora. Serge Roux è un brav'uomo.»

«Serge Roux ha smarrito la strada. Quel che non capisco è perché la mamma vuole che lo vegliamo da quassù invece che aiutarlo.»

«Ha le sue ragioni e non sta a noi contestarle. Guarda!»

Ahanu si era chinato di scatto verso il pianoro, sporgendosi dalla cima del piccolo declivio su cui si trovavano e aguzzando la vista: all'orizzonte, proprio lungo il sentiero che percorreva la foresta in direzione di Québec, si era sollevata una nuvola di polvere.

«È lui?»

«Chi altri?»

«Andiamo più vicino!»

I due fratelli corsero per i sentieri nascosti della foresta, disturbando uccelli e piccoli animali al loro passaggio. A ovest, il sole era ormai sceso dietro i picchi delle montagne più alte e lunghe ombre si addensavano sulla terra.
Quando arrivarono sul limitare degli alberi, protetti dalla prima oscurità della notte, erano abbastanza vicini da vedere le froge dilatate e i manti sudati dei cavalli attaccati al carro che si era appena fermato davanti alla fattoria.
Uno dei servitori, udito il rumore, aveva acceso una lanterna ed era uscito ad accogliere il padrone; ma Roux non era solo sul calesse.
Prima scese una donna bianca, che si strinse meglio il mantello blu attorno al corpo. Era alta, secca e per qualche ragione sembrava voler nascondere il viso dalla fiamma della lanterna. Di lei i gemelli riuscirono solo a scorgere l'ampia gonna che toccava il terreno e ciocche di capelli bruni, scivolati oltre i bordi del panno di stoffa marrone appuntato sul capo.
Poi la lanterna illuminò la figura di una ragazzina ossuta e disordinata, che seguiva dappresso la donna più anziana.

«La figlia?»

«Non lo so, Ahiga, perché mi fai domande di cui non posso sapere la risposta?»

«Perché la dobbiamo scoprire, e in fretta! L'ultima volta che abbiamo lasciato la questione nelle mani di Roux...»

«Non succederà più. L'abbiamo promesso alla mamma e allo spirito di Yarhata.»
Lo sguardo serio di Ahanu non abbandonava ancora la figura snella della donna sconosciuta. Si muoveva a scatti, le membra indolenzite dal lungo viaggio sullo scomodo carro di Roux, e non abbassava mai la guardia – un dettaglio che strappò al ragazzo un sorriso di approvazione.
«C'è qualcosa in lei, fratello. Qualcosa che mi dice che questa volta Serge potrebbe aver compiuto una delle poche scelte sagge della sua vita.»

NOTE STORICHE:

Ahiga vuol dire "colui che combatte" e Ahanu "colui che ride" in lingua algonchina.

• Le loro descrizioni fisiche sono basate sui resoconti dei gesuiti inviati a convertire queste popolazioni, che furono redatti a partire dal 1632:

"Sono robusti e tutti sono molto più alti dei francesi. La loro unica copertura è una pelle di castoro, che indossano sulle spalle sotto forma di un mantello; scarpe e calzoni in inverno, un sacchetto di tabacco dietro la schiena, una pipa in mano; intorno al collo e alle braccia bordano collane e bracciali di porcellana; li sospendono anche dalle loro orecchie e intorno alle loro ciocche di capelli. Si ungono i capelli e i volti; [...] Si striano anche i volti con vernice nera e rossa."

(François du Peron,
Relations Jésuites de la Nouvelle-France)

Qualche lettore che mi segue da un po' potrebbe chiedersi: ma perché tutti 'sti gemelli? Ares ed Eris in Olympus Inc., Joey e Bart in Argon e ora questi due... Sì, lo ammetto, mi piacciono i gemelli, ok? 😂🙈

E poi, scusate, con due nomi così belli e ben abbinati come Ahiga e Ahanu potevo mai resistere? Senza contare che nella mitologia degli Algonchini (di cui fanno parte anche i Wyandot, o Uroni) i due figli della madre terra sono proprio gemelli e ci sono degli interessanti parallelismi tra questi dei (uno buono, l'altro un po' meno) e Ahiga e Ahanu.

Ora, perché gironzolano attorno alla fattoria e spiano Serge è un quesito su cui vi lascio speculare un altro po' 😝

Enjoy ❤️

   Crilu

P.S. Ho ritrovato il passaggio relativo alla descrizione fisica dei Wyandot che mi ero appuntata qualche mese fa e ho pensato di aggiungerlo per maggiore chiarezza ☺️

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