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Primi di agosto 1669

Ottavio sedeva su una poltroncina; la finestra era spalancata, ma ne entrava ben poca aria a dare sollievo dal caldo. Il duchino, di tanto in tanto, si tamponava la fronte con un fazzoletto bianco, mentre con l'altra mano teneva il segno nel libro che stava leggendo. Galatea gli faceva compagnia leggendo qualche pagina di un romanzo trovato quasi per caso. Talvolta alzava gli occhi per controllare come stesse; una premura giustificata dallo spavento che, per quanto sopito, era rimasto dentro di lei dal giorno del suo malore. Era ombroso, Ottavio, e alzava il sopracciglio ogniqualvolta gli si ricordasse che era stata colpa dell'alta temperatura e dell'umidità. Si rifugiava nella lettura per ammazzare la noia della convalescenza e svagare la mente dalle preoccupazioni. Leggeva libri di speculazione filosofica che lo soddisfacevano poco perché di rado si trovava d'accordo con l'autore. Ogni tanto sbuffava a qualche argomentazione debole, o a qualche pensiero accampato senza fondamento.

«Dove ha imparato a filosofare, questo?» commentò a un tratto, tornando indietro fino al frontespizio, dove troneggiava un ritratto a incisione del filosofo in questione. Lo fissò per un po', quindi chiuse il libro e lo abbandonò sul grembo.

«Non posso uscire a respirare dell'aria buona?» piagnucolò.

Galatea sospirò e accennò un sorrisetto di compatimento: «Sai benissimo che non puoi esporti al sole»

«Magari più tardi, verso il tramonto...» insistette.

«Se il medico dice di no, io dirò di no»

Ottavio afferrò il libro e si alzò di scatto borbottando: «Cosa ne capisce?», ma un capogiro lo fece ricadere indietro. Galatea lo raggiunse, gli tolse il libro e lo appoggiò sul cassettone.

«Ti tornerà la febbre - minacciò, mettendogli una mano sulla fronte - Non riesci a stare tranquillo qualche giorno?»

«Mi sembra di buttare via tempo» si giustificò mentre stropicciava gli occhi.

Galatea capitolò: «Chiederò di poterti accompagnare in giardino più tardi, ma dovrai promettermi di non affaticarti: se ti sentirai debole dovrai tornare in camera. Non farti scrupoli a mostrarti nelle tue reali condizioni»

Ottavio si accontentò della proposta senza sollevare obiezioni. Si rialzò con più calma e, affidandosi al sostegno di lei, percorse la stanza per tutta la lunghezza. Arrivato al cassettone vi si appoggiò con entrambe le mani e si volse verso Galatea.

«Mio fratello ha detto quando partirà?» domandò.

Galatea negò: «Dice che vuole aspettare che tu guarisca...»

«Non è necessario che io parta con lui...»

Alcuni colpi alla porta lo interruppero. Dopo una rapida occhiata, il duchino invitò ad entrare. Si presentò un paggio: «Vostre Altezze, vostro zio, sua Eccellenza il principe Ferdinando, vorrebbe salutarvi»

Ottavio accettò la visita e, scomparso il paggio dietro la porta, il principe Ferdinando si introdusse nella stanza. Aveva un portamento quasi teatrale e la sua statura contribuiva a dare di lui un'impressione positiva di forza e giovialità. Le sue gote erano rosse, forse per il caldo, forse per il trucco che, seguendo la moda francese, si faceva cospargere regolarmente.

«Nipote! - esclamò avvicinandosi - Vedo che vi tenete in piedi, ora!»

«Precisamente, zio» annuì Ottavio, sorridendo.

Ferdinando guardò Galatea, che si profuse in una aggraziata riverenza. Ottavio cercò subito la sua mano e, stringendola, la fece accostare a sé.

«Non tutti hanno chi badi loro con tanta solerzia - commentò lo zio - Ora capisco qual è la vostra medicina e mi spiego il vostro buono stato»

Il duchino accolse il motto con un cenno affermativo del capo. Galatea limitò la sua risposta a un umile sorriso.

«Guardate! - indicò Ferdinando - Felice età spensierata»

Il piccolo duca correva nei giardini e dalla posizione della loro finestra era possibile vederlo: la sua testa spuntava di tanto in tanto dai cespugli di rose; gli teneva dietro la sua bambinaia. Forse lo richiamava, forse gli diceva di star tranquillo, o forse ansimava per la fatica della corsa.

Galatea lo seguì con gli occhi finché le fu possibile. Poi volse lo sguardo a Ottavio e lo scoprì malinconico. Gli accarezzò le spalle in un gesto spontaneo, dimentica dello zio.

«Non so chi invidiare di più» disse questi, osservandoli.

«Direi decisamente Sua Grazia il duca» ribatté Ottavio con un'espressione scontata. Galatea rabbrividì e puntò gli occhi sullo zio, che era come impallidito improvvisamente. Non che potesse impallidire, con il trucco che aveva in faccia; era più un modo di atteggiare le labbra, di battere le palpebre, una luce diversa nelle profondità delle pupille.

«E' più giovane e in salute di me, gli si promette una lunga vita di onori e di piaceri» aggiunse il duchino subito dopo, con naturalezza. Il viso dello zio si distese in una risata.

«Voi sottovalutate ciò che vi regala la vostra età e la vostra nuova condizione. Si vede che siete ancora inesperto» ribatté, tendendogli la mano. Ottavio porse la sua, ringraziò della cortesia della visita e gli promise che sarebbe stato di più piacevole compagnia una volta ristabilitosi del tutto. Lo zio gli augurò una guarigione rapida e li lasciò di nuovo soli.

*

Il medico passò per la visita giornaliera, trovò il paziente abbastanza in forze e concesse la passeggiata che Ottavio desiderava. Fu un'uscita molto breve, perché presto i capogiri e la stanchezza ebbero la meglio. Tornati in camera, sedettero alle poltroncine finché non venne loro servita la cena. Come era la prassi, un servo assaggiatore favorì di tutte le pietanze e non mostrò segni preoccupanti. Congedata la servitù, Ottavio aspettò ancora un momento prima di parlare: «Ho paura di mio zio Ferdinando»

Galatea non accolse l'affermazione con stupore: le aveva già fatto qualche cenno, in precedenza, su alcuni sospetti che nutriva verso di lui. Non gliel'aveva mai detto così apertamente; anzi, non aveva mai parlato apertamente di nulla né con lei né con nessun altro, per timore che ci fossero spie.

«So che non è prudente - continuò infatti - Ma non posso più far finta di nulla. Ogni giorno che passa mi convinco che lui sia coinvolto. E più me ne convinco, più mi si stringe il cuore di disperazione»

Galatea esitò, ma lui la pregò di dirgli la sua opinione in merito.

«Cosa posso dirti? Se fosse come pensi sarebbe una situazione molto dolorosa»

Ottavio storse il naso: «Sbilanciati pure; la tua opinione mi interessa»

Galatea trattenne il respiro: «Da quanto tempo è vedovo?»

Era una domanda che le ronzava per la testa da tutto il giorno. Da quando, almeno, Ferdinando l'aveva guardata. Nei suoi occhi aveva visto qualcosa che l'aveva spaventata, anche se non sapeva indicare nemmeno a se stessa cosa avesse visto. Il solo tornare con la memoria a quel momento le faceva accapponare la pelle.

«Due anni, ormai. Ma cosa c'entra questo con quello che ho detto prima?» la interrogò lui, un po' scocciato.

«Nulla, veramente nulla - rispose a volto basso, poi tornò a guardarlo - Comunque sì, i tuoi sospetti potrebbero essere fondati»

«Cosa ritieni che lo spinga? - le chiese unendo le mani sotto il mento - Io ho già una mia idea, voglio vedere se coincide con la tua»

Galatea deglutì un boccone, poi parlò: «Per quello che so, che è poco, un uomo nella posizione di tuo zio potrebbe aspirare al titolo. Fino a pochi mesi fa era quarto in linea di successione, ma aveva davanti a sé Luigi, un uomo in salute e sposato con una donna giovane, e un bambino, oltre ovviamente ad Antonio. Tu avresti rinunciato a breve ai tuoi diritti ereditari... Solo non capisco cosa volesse guadagnare agendo ora. Voglio dire, avrebbe potuto attendere fino a che tu fossi sacerdote»

«Certo - ammiccò lui - Avrebbe potuto, se tutto fosse rimasto come prima. Ma tu non sai una cosa che io invece so: e cioè che mio fratello Luigi, poco prima di morire, era tornato in buoni rapporti con sua moglie. E questo significava la possibilità di altri figli, altri figli maschi. La mia ordinazione era ormai prossima e mio zio deve aver pensato che, a conti fatti, era piuttosto meglio uccidere un duchino che un duca. Tieni conto che mio padre era già condannato»

«Sì - ammise Galatea - Ma in ogni caso avrebbe consegnato la corona ad un bambino, e poi a tuo fratello»

Ottavio prese un sorso di vino: «Un duca bambino è molto più fragile di qualsiasi altro bambino. E per quanto riguarda mio fratello, sarebbe stato semplicemente una dilazione. Presto o tardi la corona sarebbe scivolata sulla testa o sua o di uno dei miei cugini»

Galatea si sentì seccare la gola tutto d'un colpo: «Scusami - disse - Mi risulta ancora difficile immaginare che qualcuno intenda ucciderti»

Ottavio, con un sorriso smagato e a tratti inquietante, rispose: «A me no»

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