Novembre 1669 pt. 3
Da quel giorno si inaugurò una nuova tradizione: a una data ora del pomeriggio, non troppo vicina al pranzo ma nemmeno incline al tramonto, Ottavio bussava alla porta di Galatea, Maria ne usciva per qualche commissione e i duchini, seduti sul letto, aprivano a sorte il volume - che conteneva i primi dodici libri dell'opera - e leggevano dal punto in cui erano capitati. Galatea leggeva con voce appassionata e talvolta, presa dalla musicalità dei versi, scordava di soffermarsi sul correre della vicenda. Ammettevano di saltare intere parti, scorrendo più in fretta laddove trovavano che il testo si dilungasse troppo. Si sentivano liberi di rigirare tra i canti senza seguire un filo e trovavano sempre qualcosa di interessante su cui soffermarsi. Poi parlavano, scambiavano opinioni, ma a volte accadeva che il silenzio parlasse più delle parole. E in uno di quei silenzi Ottavio si diede alla contemplazione del suo viso; per un buon momento Galatea fece finta di nulla, lo ignorò volutamente, poi, per metterlo alla prova, si distese sul letto adducendo qualche scusa inventata; che era stanca, che non aveva dormito tutta la notte... E Ottavio, sorridendole, continuò a vegliarla con un desiderio fortissimo di coricarsi accanto a lei. Ma si trattenne per onorare il patto cui si sentiva legato; Galatea capì e desistette dal proposito di attrarlo contro il suo volere. Si volse sul fianco e disse che avrebbe schiacciato un pisolino.
«Allora ti lascio riposare...» sussurrò Ottavio alzandosi. Lei chiuse gli occhi, credendolo ormai fuori dalla camera. Invece sentì un solletico sulla guancia: «Cosa...?»
Giusto in tempo, vide Ottavio rialzarsi con le labbra ancora tese al bacio. E subito saltò seduta additandolo: «Ma... Ma...! La punizione!» pensando di coglierlo in fallo.
«Ah, no, mia cara! - si discolpò lui avviandosi - Sei tu quella che non può dar baci, e io non ne posso ricevere... Ricordi?»
Detto ciò, non si trattenne un istante di più: serrò la porta dietro di sé sentendosi addosso gli occhi grigi di lei che, con le dita, si sfiorava la guancia.
Ma era solo questione di tempo prima che capitasse una pagina del libro VIII: quando venne quel momento, Ottavio si sentì pervadere da una strana sensazione. L'opera aveva già dato prova, in alcune occasioni, di contenere qualche accenno impudico che lo aveva fatto tentennare nella lettura. Galatea non notò la sua esitazione e gli consegnò il libro aperto, esortandolo a cominciare. Prese il volume e si schiarì la voce:
«Ma da più ninfe è circondato e chiuso
che non voglion soffrir ch'innanzi passi.
Qual dal bel fianco la faretra scioglie,
qual gli trae la cintura e qual le spoglie.»
«Promette bene» ridacchiò Galatea, coprendosi la bocca con la mano e guardandolo di sottecchi. Ottavio prese un altro respiro e continuò a leggere, udendo lui stesso la propria voce farsi a volte stridula, a volte cavernosa, per via di ciò che la storia raccontava.
«Ella tra'l verde del'ombrosa chiostra
vergognosetta trattasi in disparte,
sue guardinghe bellezze or cela or mostra,
fa di sestessa inun rapina e parte;
impallidisce, indi i pallori inostra,
sembra caso ogni gesto ed è tutt'arte;
giungon vaghezza ai vaghi membri ignudi
consigliati disprezzi, incolti studi.»
Galatea continuava a ridere sommessamente, ma anche la sua risata aveva un che di imbarazzato. La divertiva sicuramente vedere con quanta difficoltà lui progredisse nel passo che gli era capitato, di certo era arrossito, o forse era pallido. Proprio come diceva il poema.
«Continua, continua!» lo incitava battendo le mani. E lui obbediva, benché le scene si facessero via via più esplicite. Poi, fortunatamente, un passo descrittivo di quelli che Marino si concedeva spesso, che gli avrebbe ridato fiato a sufficienza per prolungare la lettura. Ma Galatea, appena si accorse dell'allentare della tensione, fremette d'impazienza, si lanciò sul libro e ne sfogliò rapida qualche pagina: «Salta, salta!» diceva ora, con la stessa foga con cui prima lo incalzava a continuare. E Ottavio, alzate le mani, la lasciava fare, non sapendo prevedere cosa sarebbe successo. Non nutriva però molte speranze. A un tratto Galatea arrestò la corsa, contenta di aver spinto la narrazione un po' più avanti: «Forza!» esclamò cedendogli nuovamente il posto e il libro.
«Tra' bei confin dele gemmate rive
sì serena traspar l'onda raccolta
che i non suoi fregi usurpa, e'n sé descrive
tutti gli onor dela superba volta.
Non tanto forse in sì bell'acque e vive
sdegneria Cinzia esser veduta e colta;
forse in acque sì belle il suo bel viso
meglio ameria di vagheggiar Narciso.»
«Se continua su questo tono per altre due strofe, cambia pagina» commentò Galatea, piuttosto delusa. Ottavio, leggendo l'ottava successiva, sperò con tutto il cuore di aver superato lo scoglio più ostico.
«Venne allor l'una coppia, e l'altra scorse
de' bei lavacri al più vicin recesso;
né molto andò che quindi uscir s'accorse
d'accenti e baci un fremito sommesso.
Adone a quella parte il passo torse
tanto che per veder si fè dapresso.
Vide, e gli cadder gli occhi in fondo al fonte
tanta vergogna gli gravò la fronte.
Su la sponda...»
E le parole seguenti gli morirono sulle labbra, mentre gli occhi, ammaliati dalle immagini che la scrittura dipingeva nella mente, scorrevano riga dopo riga; la gola si chiuse e anche respirare divenne una preoccupazione. Galatea lo osservava estatica, agognando sapere di cosa si trattasse.
«Ottavio?» lo chiamò, scuotendogli leggermente la spalla. Lui non le rispose, lasciò il libro sul letto e si alzò in piedi, dirigendosi alla finestra. Si aggrappò al davanzale, rifiutandosi di dare spiegazioni. Galatea raccolse il libro e lo provocò: «Chissà cosa sarà! Leggerò io: Su la sponda...» ma nemmeno lei andò oltre.
Ottavio allora si volse, per godersi la sua faccia: e Galatea leggeva avidamente sottovoce, con gli occhi grandi e intenti, le labbra socchiuse e frementi, le dita della mano sospese a breve distanza dalla sua bocca. Il cuore gli si strinse nel petto, come se lo ingombrasse una forza tutta nuova e immensamente piacevole. La guardava e voleva baciarla, perché quell'espressione di pudico sbigottimento era troppo affascinante; si staccò dal davanzale, camminò in punta di piedi e, appena lei sollevò il viso interrogativo per cercarlo, lui si chinò e la baciò delicatamente sulla guancia, molto, molto vicino all'angolo sinistro delle labbra.
«Ottavio!» lo ammonì, respingendolo per gioco. Risero tanto e arrossirono anche di più.
«Devi smetterla di prendermi alla sprovvista! - si lamentò - Se vuoi darmi un bacio, dimmelo!»
«E' più divertente darli quando meno li si aspetta» ribatté scrollando le spalle.
Galatea si mise le dita davanti alle labbra, guardandolo intensamente dal sotto in su: «Quindi - sussurrò - Se fossi io a chiedertene, tu non me ne daresti?»
Ottavio si prese un momento per assaporare la dolcezza del suo invito. Il respiro si fece affannoso senza che potesse controllarlo, come se un peso gli gravasse nel mezzo del petto. Si avvicinò di nuovo, ma non sedette accanto a lei. Meditava su una risposta adatta alla domanda, e alla fine sussurrò a propria volta: «Te ne darei eccome, non me ne chiederesti mai abbastanza»
Gli occhi di Galatea brillarono, le sue pupille si dilatarono un poco: «Lo dici per blandirmi. - lo accusò senza una reale intenzione - Vuoi che me ne stia buona e non me la prenda per quello che è successo»
Ottavio negò, poggiò la mano sul materasso e si chinò nuovamente a baciarle l'altra guancia, indugiando a ritrarsi.
«Un altro» ordinò lei, e lui rispose: «Sì, mia signora» e schioccò un altro bacio.
«Ancora», e obbedì. Galatea si lasciò cadere sdraiata sul fianco sospirando: «Baciami sulla fronte»
Mentre lui si chinava zelante, lei lo afferrò per il bavero e lo trasse a sé, facendoselo cadere addosso. Ottavio si divincolò per gioco, deciso a separarsi da lei; ma lei lo tratteneva con vigore, ridendo a pieni polmoni. Alla fine lo lasciò andare e lui, invece che rialzarsi, si accontentò di coricarsi leggermente discosto, guardandola fissa negli occhi. Galatea ricambiava quello sguardo ansimando per la lotta, i capelli spettinati attorno al viso delicato. Anche Ottavio riprendeva fiato sorridendo della sua audacia e considerava tra sé quanto fosse bello starsene lì, senza pensieri di sorta che non fossero rivolti a lei.
«Baciami sulle labbra» sussurrò Galatea; e lo desiderava ardentemente, non ne faceva mistero. Ottavio fece per alzarsi, seguendo lo slancio con cui il suo cuore avrebbe corrisposto a quella richiesta. Ma qualcosa lo fermò; la consapevolezza che, superata quella prova, niente avrebbe più arrestato la corsa dei suoi desideri.
«Non è ancora il momento» rispose desolato, volgendosi a pancia in giù senza smettere di guardarla.
«Capisco» fece Galatea con un pizzico di delusione in fondo alle pupille grandi e nere.
«Non perché non voglia, ma perché...»
«Non scusarti, ho capito» sorrise sincera, muovendo una mano verso di lui. Accarezzò la sua fronte, poi la sua guancia e poi le labbra; lui le baciò le dita, il palmo e il dorso, a seconda di come lei ponesse la mano.
«Ho capito che vuoi rispettare il patto per provarmi che mi sei fedele, che sei di parola. E voglio esserlo anch'io. - continuò Galatea parlando dolcemente - Non cercherò più ciò che non mi è concesso...»
Strisciò sul materasso per avvicinarsi a lui e, quando gli fu accanto, immerse una mano tra i suoi capelli. Ottavio chiuse gli occhi, consegnandosi alle sue carezze.
«Voglio fare qualcosa per te - bisbigliò lei - Non posso baciarti, ma non voglio sembrarti ingrata»
A quel punto lo lasciò, si mise seduta contro la testiera del letto e poi, picchiettandogli la spalla, lo richiamò a sé: «Vienimi in braccio» gli disse, tendendogli le mani. Ottavio si inginocchiò e la guardò: «Ti schiaccerò» disse scontato, facendo per alzarsi in piedi.
«No! - lo redarguì, trattenendolo per la manica - Ora si fa come dico io. Siediti qui accanto e stenditi sul mio petto»
«Tea...» si oppose, ma lei insistette fino a vincere le sue resistenze. Ottavio sedette dove lei gli indicava, coricandosi poi tra le sue braccia, nella posa di un bambino o forse di una Pietà. Galatea lo guardò intensamente da quella prospettiva, accarezzandogli le guance e la fronte. Poi la sua mano scese alla cravatta e gliela allentò: «Altrimenti finisce che ti strozzi» scherzò.
Lui respirò avidamente il profumo della sua pelle e reclinò la testa sulla sua spalla, senza badare ai capelli lunghi di lei, e chiuse gli occhi. Galatea premette la propria guancia contro la sua fronte e guardò in alto, per nascondergli le lacrime. Non sapeva cosa gliele suscitasse, ma preferiva che lui non le vedesse. Non voleva che credesse che fossero lacrime di tristezza, perché in quel momento era tutto fuorché triste. Sentiva un formicolio alle labbra, tanto forte era il desiderio di baciarlo... Alla fine chiuse gli occhi e, in breve, entrambi si addormentarono.
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