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Maggio 1670 pt. 8 *

La mattina dopo Ferraris si dimostrò immediatamente piuttosto nervoso. Galatea esitava a presentarglisi dopo quella notte e lui non la cercò. Si videro poco dopo la colazione e non scambiarono una sola parola, uno per dispetto, l'altra per pudore. Tra loro c'era l'ingombrante Donna Isabella che si alternava a guardarli dal suo divanetto, convinta di aver fatto abbastanza per indisporre Ferraris nei confronti della sua nuova favorita.

Non era accaduto nulla: Donna Isabella aveva sospettato subito quell'eventualità e si era premurata di far chiudere a chiave la porta della camera di Galatea. Quando era venuto il momento di sgattaiolare fuori per recarsi all'appuntamento, la giovane, volente o meno, si era trovata una volta di più prigioniera della sua protettrice. Solo che, ovviamente, Ferraris non aveva avuto notizia di una tale macchinazione ed era convinto che fosse tutto frutto di una mancanza di coraggio. Una mancanza imperdonabile dal suo punto di vista. E Galatea avrebbe preferito mille volte cedere di notte piuttosto che dover dare spiegazioni alla luce del sole.

Fu così che, con il pretesto di darle l'ultima infarinatura per preparare al meglio l'accoglienza del conte, Ferraris mise in chiaro dettagli di natura leggermente diversa: «Dovrai essere più disponibile, Teresa – la rimproverò secco, ignorando qualsiasi riferimento al pianto del giorno prima – Se ho insistito con la tua padrona affinché rimanessi, è anche per questo»

«Non è dipeso da me – si difese, senza rinfacciargli come aveva cercato di blandirla – Io sarei venuta da voi, ma la signora me lo ha impedito»

Ferraris si prese un momento per riflettere, si accarezzò il mento e poi tornò a lei: «Non succederà più, non deve succedere»

Galatea, però, aveva avuto a propria volta il tempo per ragionare sulle parole di lui e ribatté sulla difensiva: «Mi avete preso per una cortigiana?»

«Non fare quella faccia – sorrise Ferraris dandole un buffetto – Non hai il rango per essere considerata una cortigiana. Come ti è venuto in mente?»

Lei si era già morsa la lingua e la faccia perplessa che lui aveva assunto non la aiutò a scacciare l'impressione di essersi definitivamente tradita.

«Immagino che ti farai perdonare quando tornerò...» concluse, tornando serissimo.

Così andò la loro separazione. Nei giorni che trascorsero da allora Galatea rimuginò spesso sulla decisione da prendere: sottrarsi? Non le sembrava più possibile farlo, ora che si era spinta tanto in là. Scappare? Come? E dove, presso chi si sarebbe rifugiata? Non credeva possibile che il principe Ferdinando avrebbe cessato di darle la caccia; anzi, a maggior ragione si sarebbe dato da fare per catturarla. E proprio il fatto che Donna Isabella stesse pianificando di farla andare via la metteva in guardia dal fidarsi troppo della sua ambigua protettrice.

Maggio sfociò nei primi giorni di giugno e, con le temperature miti e i fiori, arrivò anche una comitiva di carrozze come non si erano mai viste al palazzo De Spini: tre vetture, delle quali una era più grande e sontuosa, stuccata e quasi scolpita nell'oro. La servitù si assiepava a bocca aperta alle finestre della soffitta per guardarle arrivare da lontano. Donna Isabella percorreva i corridoi a una velocità inusuale, impartendo ordini contraddittori con una voce divenuta improvvisamente stridula. Galatea era impegnata ad assicurarsi che tutte le disposizioni lasciate da Ferraris fossero state rispettate, quando vennero a dirle che proprio Ferraris la richiedeva in tutta fretta. Si precipitò all'esterno, pensando di trovarvi anche il conte francese. Invece Ferraris era solo e, così le spiegò, il conte era già stato accompagnato alla sua stanza affinché si ricreasse dal viaggio. Appurarono lo stato dei preparativi, indicarono dove lasciare i bagagli e poi si avviarono all'interno.

«Per il momento non si richiedono i tuoi servigi. Se vuoi possiamo riprendere quel discorso...»

Galatea trasalì, ma non fece in tempo ad opporre un rifiuto: Ferraris la prese per mano e la condusse in un'ala poco frequentata del palazzo, una di quelle che lei gli aveva consigliato di eleggere ad appartamento del conte perché era quieta e silenziosa. Lui aveva fatto un'espressione compiaciuta, come se avesse considerato l'idea. Invece, si scopriva ora, aveva scelto quegli ambienti come proprio rifugio. Entrò in un salotto dove gli unici mobili erano un divanetto con tre cuscini e un tavolino con una gamba inclinata.

«Vieni, Teresa» sussurrò ansioso. Galatea si trovò tra le sue braccia, agitata e spaventata.

«Non ora... – balbettò – Non ora che sono tutti presi dal vostro arrivo. Potrebbero cercarvi, potrebbero scoprirci e...»

«Lascia che ci scoprano – ribatté impaziente – Non perdiamo tempo prezioso»

«Aspettate, vi prego – singhiozzò, trattenendogli una mano che già premeva sul suo fianco – Stasera, ve lo giuro»

«Stasera avrai altro da fare; o meglio, avrai da fare con qualcun altro» tagliò corto, abbassandole una spallina della camicia e baciandole il collo. Galatea fremette e, non riuscendo più a resistere, lo spinse via. Lui la guardò amaramente, corrugando la fronte.

«Se la mia padrona venisse a sapere di noi mi caccerebbe senza nemmeno pensarci!» sbottò.

Ferraris sospirò: «Facciamo come vuoi tu. Ma promettetemi che, prima della partenza...»

Ottenuto quanto chiedeva, lui uscì a passo spedito dalla stanza, lasciandola sola e infinitamente più leggera. Galatea tornò nella propria camera, si pettinò, si cambiò d'abito, indossando il suo cambio pulito. Si giustificava con la scusa di voler apparire al meglio, ma la realtà era un'altra e ben più intima: voleva togliersi di dosso le mani di Ferraris. Non voleva soffermarsi troppo a pensare al fatto che quella notte nessuno avrebbe potuto sottrarla a ciò che la aspettava, perché avrebbe voluto dire rovinarsi il morale e giocarsi l'occasione di trovare una via di fuga da quel palazzo prima che fosse troppo tardi.

Con un tale spirito scese di sotto poco dopo per attendere al proprio compito di traduttrice, oltre che di serva personale del conte. Avvicinandosi al grande salotto, quello che si sarebbe potuto definire di rappresentanza, il suo cuore affrettò i battiti man mano che voci sconosciute e straniere invadevano il lungo corridoio. Paradossalmente le tornò alla memoria l'infanzia passata a casa, nel palazzo di suo padre. C'era un corridoio molto simile, là, e a lei piaceva correre a più non posso quando nessuno la vedeva. Quanto avrebbe dato per poter fare la stessa cosa: correre via, lontano, lontano da tutte quelle persone che fingevano di volerle bene e non facevano altro che usarla per i propri comodi. Invece camminava, con il rimbombo dei propri passi nelle orecchie, come un conto alla rovescia prima della fine. Raggiunse una porticina e afferrò la maniglia senza pensarci, chinandosi per entrare nell'apertura troppo bassa. Sbucò dietro un paravento ricamato con foglie tropicali e cominciò a raccogliere brani di conversazioni in francese. Riconobbe subito la voce di Ferraris che, squillante e festevole, decantava la bellezza di quel palazzo e della sua signora. E un'altra voce rispondeva, gaia e calda come l'estate, più matura di quanto si aspettasse. Un brivido le corse su per la nuca e non seppe spiegarsi il perché. Prese un profondo respiro ed ecco, uscì discretamente allo scoperto, sapendo che tutti i presenti si trovavano di spalle.

All'inizio nessuno le prestò attenzione: era stata troppo silenziosa e pochi si erano accorti del suo arrivo. Ferraris era tra questi, ma le rivolse solo uno sguardo sbadato, senza indugiare a lungo. Quello sguardo, inaspettatamente, la ferì. Ottavio non l'aveva mai guardata in quel modo superficiale nemmeno quando il loro rapporto era ancora freddo e immaturo; lui aveva un modo tutto particolare di posarle addosso i suoi occhi, accarezzandola a fior di pelle, avvolgendola in un manto di desideri contrastanti. Per Ferraris non avrebbe mai avuto alcuna importanza, sarebbe rimasta la serva di Donna Isabella, forse la più carina, forse la più aggraziata, ma nulla di più. Eppure doveva farlo, sebbene questo le costasse molto caro in quanto a onorabilità. Doveva scendere a patti per raggiungere gli obiettivi che si era posta. Ottavio avrebbe capito, ma d'altra parte Ottavio non avrebbe potuto far più nulla per aiutarla, se non intercedere per un miracolo. E se fosse stato proprio Ferraris il suo miracolo e il suo martirio? Lasciarsi scappare un'occasione del genere, che anche Fortuna aveva consigliato di cogliere, avrebbe potuto costarle ben altri sacrifici: il ducato si affacciava su un periodo di burrasche politiche e dinastiche e lei, prima o poi, sarebbe dovuta uscire allo scoperto, motivare un'assenza prolungata, dar conto di ciò che aveva fatto all'insaputa di tutti.

Galatea strinse i denti e avanzò verso il gruppo di uomini, avendo adocchiato un vassoio con tre bicchieri di cristallo vuoti abbandonato su un tavolino angolare. Afferrò i manici d'argento e sollevò con cura il vassoio, rimanendo invisibile come prevedeva il suo compito. Si volse ad occhi bassi, scivolando leggera tra gli uomini che erano rimasti del tutto indifferenti. Ebbe la sensazione, però, che il conte la stesse guardando. Un bisbiglio, troppo flebile perché riuscisse a carpire le singole parole. Ferraris doveva aver indicato al proprio signore la serva che parlava francese. Si sentì usata, anzi addirittura schiavizzata da loro, perché quella banale indicazione la connotava ai loro occhi come un semplice strumento, un manichino parlante e utile per poche mansioni indispensabili.

Nonostante la sgradevole sensazione, passando accanto all'ospite straniero, Galatea non poté fare a meno di trattenere un'occhiata curiosa al suo viso. Trovò un volto allungato, dai lineamenti regolari e morbidi, immerso nella cascata di capelli neri e ricci della parrucca alla moda; labbra nella norma, rilassate e solo un poco sfiorate dal rossetto, sormontate da un paio di sottili baffi scuri. Le guance erano spruzzate di fondotinta chiaro, ma la sua carnagione doveva essere già naturalmente pallida; il naso si profilava dritto e gli occhi, socchiusi, rivelavano un atteggiamento di sufficienza tipico dell'aristocrazia d'Oltralpe. Le iridi castane, però, tradivano uno spirito tormentato e riflessivo.

Galatea riabbassò fulminea la testa, affrettandosi a scomparire dietro il paravento; il conte non lasciò trapelare nessuna emozione, quasi che l'apparizione della fanciulla non gli suscitasse la benché minima reazione. Ferraris, invece, trasse un respiro ansioso guardandola, non visto, andare via.

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