Gennaio 1669 pt. 2
Erano giunti troppo tardi.
Questo riportarono due giovani guardie dell'ultimo turno di notte. Avevano sentito le sue urla, le urla dei suoi due amici. Quando erano arrivati in strada, uscendo di corsa dal loro posto di guardia, avevano trovato un corpo disteso supino, dilaniato dai colpi di un pugnale. Accanto, l'assassino era stato immobilizzato. Aveva due occhi da pazzo, dissero, che non lasciarono loro nessun dubbio: l'azione di un folle che non comprendeva né la portata del suo atto né le conseguenze che si sarebbero abbattute su di lui. Ma solo dopo un accurato esame del cadavere avevano loro stessi compreso di chi si trattasse: il duchino Luigi. E l'assassino aveva cominciato a ridere, con quegli occhi inquietanti persi chissà dove. Poi erano arrivati gli abitanti delle case affacciate sulla strada.
La notizia circolò rapidamente, partendo dall'ambiente dei servi. Il corpo senza vita era stato avvolto in un lenzuolo e portato via, approfittando delle ultime tenebre per sfuggire agli occhi avidi annidati negli scantinati, nelle cucine, nei corridoi. Ma era impossibile far finta di nulla, pretendere di essere all'oscuro di ciò che era accaduto. La voce ormai correva di bocca in bocca. Più veloce di un cavallo al galoppo, ben presto la città fu informata e così i paesi vicini. Al tramonto di quella triste giornata, tutti, nella capitale, erano a conoscenza del delitto consumatosi quella notte, all'incirca alle sei.
Testimoni, fortunatamente, ce n'erano; ma erano scossi, tremavano di rabbia e paura, non articolavano bene i discorsi. I ricordi erano confusi: c'erano i due amici del duchino che affermavano si fosse trattato di un solo sicario, mentre un abitante della strada sosteneva di aver visto almeno tre persone aggirarsi in modo strano nella zona. Una donna dichiarò di aver udito dei passi di corsa; un'altra, invece, riferì di aver sentito l'assassino gridare a qualcuno di andare, senza sapere aggiungere altre indicazioni. Le cose, quindi, erano molto confuse quando il duca e la duchessa vennero informati del fatto. La duchessa incorse immediatamente in una crisi di nervi che la lasciò prostrata a letto per tutta la giornata. Il duca, invece, incurante delle proprie condizioni di salute, insistette per vedere il corpo del figlio.
La servitù ricamava intanto attorno alla vicenda: la storia più appassionante raccontava di una gelosia amorosa - era risaputo che il duchino non era un marito fedele. Il giovane sarebbe caduto vittima di un rivale, forse un amante rifiutato, forse un marito tradito. Si facevano già i primi nomi.
Altri, ben più realistici, imputavano l'assassinio a qualche congiura ordita per indebolire il ducato in un momento di difficoltà come era quello: un duca malato, un figlio eunuco e un nipote infante. Di troppo c'era quel duchino aitante e in salute che era stato prontamente eliminato con la complicità del buio.
*
Galatea era rimasta in camera, pietrificata dalla paura. Aveva smesso di preoccuparsi del passare del tempo, accucciata sul letto con le mani contro le tempie. La blanda luce che penetrava dallo scuro scostato le era sufficiente per scacciare i fantasmi del buio. Respirava così piano da non fare il minimo rumore; spalancava gli occhi, assicurandosi di essere sola. E, di tanto in tanto, sussurrava a se stessa: «Solo un sogno, Tea. Un sogno»
Qualcuno all'improvviso prese a battere forsennatamente contro la sua porta. Sobbalzò, Galatea, e si lasciò sfuggire un urlo.
«Tea! - chiamò la voce di Bice dall'esterno - Apri, ti prego! Presto!»
Galatea si riscosse e saltò in piedi con una prontezza che la stupì. Arrivò velocemente alla porta e girò la maniglia. Avrebbe potuto specchiarsi nel volto di Bice: le sue guance erano rosse e il suo respiro grosso per la corsa che l'aveva condotta fin lì. Nelle sue pupille si apriva un vortice di emozioni e di confusione, di incredulità e di rassegnazione.
«Hai già saputo?» bisbigliò Bice osservandola. Di colpo sembrava che non si dovesse più urlare. Tutto andava detto sottovoce perché si trattava di parole che facevano paura.
Galatea non trovò facilmente il coraggio di rispondere: «No...»
Bice entrò e chiuse la porta alle proprie spalle.
«Allora siedi sul letto»
Obbedì grata a quell'ordine.
«Tea, non oso chiederti cosa ti riduca in quello stato ma... Il duchino Luigi è morto, ecco. Non c'è modo di dirlo più delicatamente di così» disse Bice parlando piano.
«Il duchino? Come?» balbettò Galatea.
«E' successo questa notte - continuò l'altra, scossa dai brividi - L'hanno aggredito mentre si trovava fuori dal palazzo con alcuni suoi amici. L'hanno colto con tre coltellate al cuore e non è vissuto abbastanza per vedere il cappellano. È spirato in strada. Il suo sangue è ancora là, secco sul selciato»
Galatea ripeté: «Il duchino?» e crollò svenuta giù dal materasso.
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