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Agosto 1669 pt. 2

Ottavio non la svegliò la mattina seguente: si vestì da solo e uscì senza far rumore, senza tirare le tende. Quando aprì gli occhi, Galatea si trovò abbandonata a se stessa, con i suoi incubi nascosti negli angoli bui della stanza, pronti ad assalirla. Chiamò Maria come se chiamasse l'ultimo soccorso e Maria venne e le parlò come a una figlia. Galatea pianse, si lasciò abbracciare, si lasciò coccolare e si rivide in seno alla sua nonna quando, da bambina, cadeva e si sbucciava un ginocchio.

Maria ne aveva viste di donne sposate che piangevano e le aveva sapute tutte consolare. Con la duchessina temette di andare incontro al primo fallimento: non trovava dove fosse la ferita da sanare, ma c'erano sempre nuove lacrime da asciugare nel grembiule bianco. Le domandò se il marito l'avesse trattata male; no. Se l'avesse tradita; no. Ottavio ne usciva ritratto come il marito migliore del mondo, senza un difetto se non uno. Ma non fu Galatea a proferirlo, Maria capì per intuito.

La crisi passò con i suoi tempi: Galatea si fece coraggio e cercò Ottavio in biblioteca, seguendo un consiglio di Maria.

«Devo parlarti» sussurrò al suo orecchio. Lo condusse fuori in un cantuccio riparato dove nessuno potesse scorgerli.

«Bice è incinta» disse, stringendosi nelle braccia.

«E' una bellissima notizia! Più tardi vedrò Vincenzo, mi congratulerò con lui» rispose, parlando sinceramente.

«C'è dell'altro - aggiunse Galatea - Dice che ormai anch'io potrei esserlo»

Ottavio arrossì e di colpo comprese l'atteggiamento scontroso che lei aveva tenuto il giorno prima: «E' questo, dunque... Ma non preoccuparti, non è possibile che tu lo sia»

«Lo so» tagliò corto, ostinandosi a guardarlo fisso.

Ottavio esitò: «Vuoi dirmi che vorresti esserlo?» chiese alla fine, nel tentativo di trarsi da una situazione imbarazzante.

«Assolutamente no!»

«Allora non ti capisco...»

Galatea incalzò: «E' proprio questo il problema, non vedi?»

Ottavio cominciò a sentire che la situazione da imbarazzante diveniva drammatica: «In effetti, no»

Galatea, per contro, si sentì venire meno di fronte alla sua incomprensione: «E' tutto inutile»

«Cosa?»

«Il nostro matrimonio, la nostra vita, il nostro essere qui... Non c'è un senso in tutto questo»

Le lacrime la sopraffecero. Pian piano la sua vista si velò e le guance le solleticarono al passaggio irregolare delle lacrime. Le ciglia erano pesanti, adesso; gli occhi bruciavano. Si coprì il viso con le mani, lasciandosi cadere contro la parete dietro di sé. Il tempo le sembrò fermo. Solo i suoi singhiozzi le davano l'impressione che ancora passasse, ma il suo stesso pianto sembrava qualcosa di destinato a durare in eterno.

Poi una mano scivolò delicatamente dietro la sua nuca, un braccio strisciò dietro la sua schiena. Ottavio la trasse vicino a sé, la fece appoggiare al proprio petto e la tenne lì, con la testa sulla sua spalla, avvertendo il suo corpo esile e giovane scuotersi e tremare. E Galatea, invece, lo sentiva resistere ai suoi ansiti, opporre una presa salda ai suoi impeti di tristezza. Sfogò l'ultima riserva di lacrime sul suo giustacuore, nascondendo il viso sotto la sua giacca.

«Dove vedi tutta questa fretta di trovare un senso? - le disse quando i singhiozzi diventarono sospiri - Non è detto che ci sia un senso, dopotutto. Ci siamo noi due»

*

Siccome trovava che le cene con l'intera famiglia le cagionassero la malinconia, Ottavio aveva disposto che per qualche giorno pranzassero e cenassero di nuovo soli nel loro appartamento. E Galatea gli era grata perché ciò significava nascondimento, intimità e confidenza. Significava non dover apparire altro da ciò che erano.

Bice intanto parlava ed elencava i nomi che fin da piccola le erano piaciuti, dicendo che tra uno di essi avrebbero scelto il nome del nascituro. Galatea talvolta interveniva, esprimendo preferenze o dicendo la propria. Aveva ritrovato una certa serenità nello scoprire che nemmeno Ottavio aveva intenzione di diventare padre in quel preciso frangente. L'argomento sarebbe stato abbandonato fino al momento opportuno: allora se ne sarebbe riparlato con più maturità.

Bice non si era mai posta interrogativi del genere: era stata preparata all'idea del matrimonio e della maternità, era sempre stato chiaro quale sarebbe stato il suo ruolo nella sua nuova famiglia. Vincenzo aveva già venticinque anni.

«Non mi dispiacerebbe un nome greco come il tuo...» disse a un tratto Bice.

«Un nome non è diverso dagli altri per la sua origine. È la persona che fa la differenza» replicò.

Bice dovette ribattere qualcosa, ma a quel punto Galatea fu distratta da una visione che le mozzò il respiro. C'era un pozzo in quell'angolo del giardino in cui si trovavano e da quel pozzo sorse una figura nera che lei ben conosceva. Colta di sorpresa non poté fare altro che pensare ad una cosa: Ottavio era in pericolo. Il cuore martellava come impazzito.

«Bice, perdonami. Non mi sento bene» sibilò e si affrettò dietro la nera signora. La ghiaia sotto le suole dava alla sua andatura un che di insicuro e malfermo; il fango, retaggio delle piogge dei giorni precedenti, sporcava la stoffa del suo vestito. Ma Galatea non aveva tempo né voglia di farci caso. La seguì sulla scalinata, entrò dopo di lei attraverso il porticato, sgattaiolò tra gli inchini dei cortigiani mentre la Morte la precedeva sfilando il mantello con infinita leggerezza. I suoi passi non facevano rumore e la sua figura non proiettava ombra. Gli occhi degli altri erano ciechi in confronto a quelli di Galatea che, per quanto andasse di fretta, non riusciva quasi a starle dietro. Troppi ostacoli, troppi inciampi a cui stare attenta; la gente era sbadata, era lenta, si accorgeva sempre troppo tardi di lei e della sua premura. A un tratto poté solo vedere la Morte imboccare il corridoio su cui si affacciava il suo appartamento. Fremette, sapendo per certo che Ottavio era lì solo. Un muro di servi e dame si parava tra loro a dividerli proprio in un momento cruciale come quello. Galatea spintonò, si aprì un varco, ignorò le scuse e si mise quasi a correre. Qualcuno tentò di fermarla, di chiederle chiarimenti, ma non ci fu verso.

Imboccato finalmente il corridoio, lo trovò vuoto. Solo allora si accorse del respiro spezzato, delle mani tremanti e pallide e sudate. Gli ultimi passi furono rapidi, precipitosi. Si aggrappò alla maniglia e spinse la porta, che andò a sbattere contro la parete accanto.

«Ottavio!» gridò trasalendo.

*

«Ottavio! Ottavio!» chiamò ancora, più e più disperata di fronte al silenzio. Poi Ottavio spuntò sulla soglia della camera. Aveva i capelli arruffati, il giustacuore slacciato e la guancia sinistra arrossata.

«Scusa, dormivo...» rispose stropicciandosi gli occhi. Solo dopo essersi schiarito la vista la guardò meglio e capì in che stato si trovasse.

«Ti hanno fatto qualcosa? Ti hanno aggredito?» C'era una luce tutta nuova nel suo sguardo; qualcosa di simile alla paura, ma rivestita di quell'aspetto aggressivo che assumono le persone miti quando si arrabbiano.

«No... Ma...» balbettò mentre sentiva il cuore rallentare la folle rincorsa dei battiti. Ottavio pendeva dalle sue labbra: «Ma?»

Per chi era venuta la Morte se non per lui? Dovunque fosse diretta, ormai doveva essere arrivata. Presto sarebbe andata via, sarebbe tornata al pozzo. Galatea non indugiò a rispondergli; avrebbe avuto tempo in un altro momento. Non allora.

Uscì di nuovo in corridoio e lo percorse per tutta la lunghezza. Camminava in uno stato di alterazione che la separava da ciò che accadeva attorno a lei. Avanzava senza accorgersi di Ottavio che la seguiva; non si accorse nemmeno quando lui smise di starle dietro, attratto da ciò che stava succedendo in una delle camere. Galatea andò avanti, portata da un istinto solo suo. E la trovò.

«Ferma!» disse, come se non avesse aspettato altro che questo in tutto il suo camminare. La Morte le dava le spalle e avanzava sulla propria via, incurante del pianto che lasciava dietro di sé. Per lei, però, obbedì. Arrestò il passo, volse la testa, e il cappuccio custodiva come sempre il suo volto nell'oscurità.

«Per chi sei venuta oggi?» domandò esitante.

La Morte la fissò. La fissò perché non si mosse e questo era un segnale della sua attenzione.

«La figlia di mercante... - disse all'inizio - Perché ti interessa? Vedo paura nei tuoi occhi»

«Temevo per mio marito» rispose. Percepì un brivido di freddo lungo le braccia, come se la Morte avesse sorriso.

«No - rispose l'altra - Non sono venuta per lui. Era un altro che dovevo portare via»

«E chi?»

«Un bambino con i polmoni troppo deboli»

Galatea trattenne il respiro: «Il piccolo duca...» bisbigliò. Il suo petto riprese a sussultare di pianto.

«E' ormai da molto tempo che non osi parlarmi. Perché l'hai fatto oggi? Ti avevo ordinato di non farlo mai più» riprese la Morte con voce di ferro.

Galatea alzò le spalle: «Non ho saputo trattenermi. Mi spingeva una forza invincibile»

«Certo» approvò.

«Non ti ho visto quando il duchino Luigi è morto... Ha sofferto tanto prima che tu arrivassi?» domandò, stringendosi le mani sul cuore.

La Morte ristette: «Non mi hai visto perché non sono io che traggo le anime di chi muore a causa della violenza altrui» spiegò.

«Cosa?» si stupì Galatea abbassando gli occhi.

«E sono sicura che tu abbia visto abbastanza per saperlo»

La scena tornò prepotentemente davanti a lei. Era di nuovo alla finestra, i due amici del duchino avevano scaraventato lontano l'assalitore, ed ecco il suo complice avvicinarsi e chinarsi sul corpo nell'incuranza di tutti gli altri. Non era incuranza... Galatea si sentì svenire al ricordo di quella figura nera che si mondava la bocca dal sangue con il braccio. Fu come se l'avesse visto negli occhi.

«E il vecchio duca?» le chiese vedendola andare via. La Morte si volse un poco: «Per lui sono venuta io»

Un movimento del cappuccio svelò a Galatea che l'attenzione di lei era caduta su qualcosa alle sue spalle. Si guardò dietro e vide il principe Ferdinando: la osservava con discrezione e alzò una mano quando si trovò scoperto. Galatea ricambiò il cenno e si rivolse nuovamente alla Morte, forte del fatto che Ferdinando non potesse capire cosa stesse facendo.

«Ti dirò un'ultima cosa - aggiunse la figura nera - Se tuo marito non fosse stato così caparbio nel combattere il suo male, non sarei venuta io a prenderlo»

Detto ciò, la Morte si tirò dietro il lungo mantello e si avviò lungo il corridoio, proseguendo sul suo cammino fatto di silenzio e cenere.

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