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Capitolo 44

Appollaiata sul comignolo di un tetto, Altair tamburellava le dita contro il ginocchio. Splendeva nella notte, un faro nel buio del quartiere con i fulmini che le scorrevano lungo il corpo. La Tempesta fuori ruggiva con rabbia, e la sua voce le attraversava la schiena in un brivido.

Una torre di metallo, isolata, si slanciava verso l'alto. Raggiungeva la cupola, lì dove le crepe si facevano più numerose. Al contrario del primo luogo in cui aveva cercato però, era ancora intatta; il che significava che, forse, ci avrebbe trovato un qualche stronzo intento a maneggiare aggeggi dall'aspetto ridicolo per distruggerla.

Altair stirò le braccia sopra la testa. I muscoli delle spalle si allungarono, i fulmini accorsero a sciogliere tutti i nodi che le ostruivano i movimenti.

Era l'ora dello spettacolo.

Si sollevò in equilibrio sulle punte dei piedi. Allargò le braccia e si lasciò cadere giù, di testa. L'aria le sferzò il viso. Il pavimento si avvicinò veloce. Attese fino all'ultimo istante, poi roteò su se stessa e atterrò in ginocchio.

Gli agenti di guardia all'entrata dell'edificio erano già fuori gioco al suo arrivo. Li trovò sdraiati, a pancia a terra, le guance premute contro il cemento, le bocche dischiuse. Un rivolo di bava colava dalle labbra di due di loro. Altair inclinò il capo, si massaggiò il collo – un ultimo nodo le bloccava i muscoli, ci premette il polpastrello intriso di fulmini e lo sentì distendersi a poco a poco.

Qualche stronzo era arrivato prima di lei. Perciò forse l'avrebbe trovato dentro. Sorrise.

Chiunque fosse passato di lì non si era preoccupato di richiudersi la porta alle spalle. Altair si addentrò con altrettanto disinteresse. Si bloccò sulla soglia, le sopracciglia abbassate in un cipiglio. Forse doveva controllare che quei tre coglioni di agenti non fossero schiattati. Ci rifletté un secondo di troppo, poi scrollò le spalle e andò avanti.

Salì una rampa di scale dopo l'altra. I fulmini la inebriavano di un'energia insolita. Una sfera di energia pura, ecco come si sentiva: una cazzo di sfera di energia distruttiva che correva sulle scale. Più si avvicinava alla cima, più le gambe acceleravano, mosse da una volontà propria.

Trovò davvero lo stronzo della S.d. Teneva un cristallo dotato di ventosa attaccato alla superficie interna della cupola. I fulmini che si abbattevano da fuori si riflettevano sulle diverse facce del cristallo, lanciando indietro un bagliore accecante. L'intricata rete di crepe lì era più fitta.

Alto e ingombrante, l'uomo allontanò una mano dal cristallo e la lasciò penzolare lungo il fianco. Un'armatura dall'aspetto plasticoso, di un nero opaco, gli copriva busto e gambe. Sugli avambracci, sul petto e sulle tibie, l'armatura gli si apriva, e al suo interno erano incastonati dei contenitori trasparenti; delle luci imbizzarrite si contorcevano al loro interno.

Tra tutte le cose che si aspettava di incontrare, Altair non aveva previsto un coglione nel cosplay del più sfigato dei supercattivi di qualche fumetto.

Alzò il mento ad ammiccare nella sua direzione. «Ohi, bamboccione. Cos'è, ti alleni a reggere la cupola?»

Lui gli mostrò i denti in un sorriso. Manteneva la pettinatura da belloccio delle telenovele, ma appariva più spettinato del solito. Un bagliore particolare gli luccicava negli occhi. «Altair. Ci rincontriamo. Vuoi un altro ballo?»

Lei sollevò il palmo. «Mi spiace, stronzo, la tua occasione l'hai sprecata. Ormai il treno,» indicò il proprio corpo, dall'alto in basso, «è partito.»

«Senza offesa, ma non mi interessa. Il mio cuore appartiene già a qualcuno.»

«Chi, la stronza che non ti fila nemmeno?» In un'alzata di sopracciglio e un sorrisetto obliquo, Altair indicò l'armatura che lo copriva. «Speri di conquistarla con quella merda addosso?»

A capo chino, Drake si prese del tempo per rispondere. Boccheggiò all'inizio, come se non trovasse le parole; poi serrò le labbra e sfoggiò uno dei suoi falsi sorrisi. Gli attraversava entrambe le guance, che si gonfiavano, cancellando la mascella squadrata e facendolo somigliare a un bambino troppo cresciuto. «La convincerò,» disse, ma la voce gli tremò.

Altair si lasciò andare a uno sbuffo divertito. Quanto cazzo era patetico.

«E questa,» continuò, la mano poggiata contro la superficie di vetro che gli decorava il petto, «non è una merda. Può assorbire la Tempesta, e no, non ce l'ho perché spero di conquistarla, ma potrebbe aiutarmi.»

«Assorbe la Tempesta?» Altair scrocchiò le nocche. «E come? Facendola schiattare dalle risate?»

Drake agitò l'indice nella sua direzione. «Fossi in te ci penserei due volte prima di prendermi in giro.» Abbassò lo sguardo sul braccio, rimirava l'armatura ridicola. «Questa bellezza è fatta di materiale isolante termoresistente.»

«E quindi?» Paroloni o meno, non lo rendeva certo immune a un bel pugno sul naso.

«Ho dei fili con un cuore di rame, qui, collegati ai sensori dei miei guanti.» Aprì e chiuse le dita, nascoste sotto la plastica dei suoi stupidi guanti. «Raccolgono i fulmini e trasmettono l'elettricità in questi contenitori.» Picchiettò il vetro che aveva sul cuore e sull'avambraccio. «Seguendo lo stesso procedimento, posso rispedire i fulmini indietro all'intensità che preferisco.»

Altair sbadigliò, il braccio proteso sulla testa. «Hai finito la lezione di merda? Perché me ne frega meno di un cazzo delle tue cazzate da nerd.»

Il sorriso di Drake tremolò. Si disfece. Per una frazione di secondo soltanto, la durezza del suo sguardo divenne un'imitazione delle espressioni di Mira. La cancellò subito, tornando alla classica faccia da bamboccione delle telenovele, mentre la mano gli si agganciava alla pistola che gli ciondolava sul fianco. «Ah, già, dimenticavo. La pazienza non è mai stata una tua qualità, eh, Furia Rossa?»

I fulmini le scoppiarono sulle spalle. Quel soprannome non le apparteneva più da tempo ormai. Non si aspettava di risentirlo, di certo non da lui. Come cazzo faceva a conoscerlo? «Mi dispiace dirtelo, bamboccione, ma la tua amata ha un debole per me, perciò dubito gliene fregherà qualcosa delle tue puttanate su un'armatura per babbei.»

«Mira non...» iniziò lui. Si bloccò, il labbro incastrato fra gli incisivi. Estrasse la pistola, gliela puntò addosso, la maschera in frantumi.

Altair gli andò incontro prima ancora che lui potesse sparare. Gli prese il braccio sospeso, il piede premuto contro il suo petto. Lo spinse in avanti, e Drake barcollò indietro; perse la presa sulla pistola. Quella cadde a terra; il cristallo attaccato alla cupola, invece, rimase dov'era.

Altair si chinò a recuperare l'arma, poi scivolò via in una danza veloce, la canna puntata contro di lui. «Quindi è davvero la pazza sadica, la tua cotta proibita,» rise.

«Non me la porterete via.»

«Portartela via? Che cazzo è, un cane?»

Senza quello stupido sorriso da ebete, la mascella squadrata di Drake e i lineamenti duri, ricordava più il classico fidanzato geloso e tossico dei thriller che il protagonista sdolcinato di una soap opera. «Vuoi uccidermi con una pistola?» le disse. Cambiava argomento, lo stronzo.

Altair accarezzò il grilletto. Un solo colpo e gli sarebbe esplosa la testa. Facile, veloce e pratico. Anche se noioso. «Non so se te lo meriti un combattimento vero, sfigato come sei.»

Lui si fece avanti di un passo. «Ti credi invincibile, eh?»

«Più forte di una scartina come te di sicuro.» Sparò un colpo. Lui rovesciò i palmi. Delle scariche di fulmini gli fuoruscirono dalle dita; si lanciarono contro la pallottola, la afferrarono a metà strada. La fecero esplodere. Un bel trucchetto del cazzo, il suo.

«Tutto qui?» Drake piegò le ginocchia. Agitò due dita, la incitò a farsi avanti.

Che sbruffone, la testa di cazzo.

Avvolta nei suoi fulmini, Altair lasciò la presa sulla pistola. Si sbagliava, quel coglione andava preso a pugni in faccia. «Tu assorbi quelli che ti mandano, di fulmini.» Allargò le labbra in un sorriso. «Peccato che io li uso per potenziarmi. Provaci, ad assorbire un calcio nel culo.»

Spiccato il balzo, gli fu addosso prima ancora che lui se ne rendesse conto. Il piede gli cercò il viso, ci impresse la suola. Spinse con una quantità moderata di energia, un gioco per divertirsi. Drake cadde di schiena.

«E secondo te la pazza sadica perderebbe la testa per uno che non sa reggere nemmeno un calcetto?» Altair infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. E lei che ci aveva pure sperato, in un combattimento divertente.

Drake rotolò all'indietro e scattò in piedi. «Lasciala fuori. Che cazzo ne sai, tu?» Un lato della faccia era annerito. La pelle sfrigolava ancora, un uovo nella padella.

«Ho gli occhi, ecco come lo so, bamboccione coglione.»

Lui spinse i palmi in avanti. Due scariche di fulmini saettarono verso di lei.

Altair si chinò. I fulmini le crepitarono sulla testa per una manciata di istanti prima di dileguarsi. «Hai finito di prendermi per il culo con i tuoi giochetti di merda? Possiamo fare sul serio?» Si passò una mano fra i capelli; la cute era ruvida, le ciocche elettrizzate.

«Sei davvero terribile come dicono, Furia Rossa.» Si tastò il petto, proprio sotto il vetro pieno di luci agitate. Lì dove un'ammaccatura gli rovinava l'armatura.

«Smettila di usare quel cazzo di nome.»

«Ma come? Non era il soprannome che ti eri data tu?» Sogghignava, lo stronzo. Si credeva simpatico.

Altair piantò un piede a terra. La forza dell'impatto crepò il pavimento. «Come lo sai?»

«La S.d. non ha mai smesso di seguirti. Sei uno dei soggetti più pericolosi. E non fai altro che scombussolarci i piani.»

«Che posso dire? Mi state sul cazzo.» Sollevò le mani, i fulmini le crepitavano fra le dita. «Ma adesso scusami, signor Piango-perché-Mira-non-me-la-darà-mai, ma mi sono rotta le palle di chiacchierare.»

Sferrò una serie di calci. Lo stinco destro gli si piantò nella tempia, il tallone colpì solo l'armatura. Gli altri, Drake li evitò o si protesse con le braccia. Altair allora girò su se stessa, caricò i muscoli di fulmini, li sentì crepitarle sulla pelle; sferrò l'ultimo calcio, ma si bloccò a mezz'aria: Drake le aveva intrappolato la gamba fra le braccia. Non resse bene la botta, e le sue stesse nocche gli sbatterono contro il sopracciglio, ma non lasciò la presa.

Il polpaccio di Altair tremava, vittima di spasmi. Un prurito fastidioso le si espanse lungo la gamba. Chiamò a raccolta tutti i fulmini e tirò a sé; Drake le sorrise, il sangue che gli colava sugli occhi e gli macchiava le labbra.

Le stava assorbendo i fulmini, lo stronzo.

«Scartina di merda.» Altair sollevò l'unico piede su cui si reggeva. In un salto, gli centrò il mento, abbastanza forte perché la lasciasse andare.

Drake rotolò sulla schiena. Lasciò una scia rossa dietro di sé.

Altair picchiò a terra con il piede che lui le aveva intrappolato. Le scariche elettriche le scoppiarono con energia sulla gamba. Gli spasmi cessarono. I muscoli si distesero. Farsi fregare i fulmini era una delle sensazioni più odiose che avesse mai provato.

Drake sputava vermiglio. Si puntellò sui gomiti e, con un gemito, fece per rialzarsi. Altair gli pestò il petto e lo spinse giù. In una smorfia di dolore, lui spalancò le braccia.

«Allora? Ti piace giocare a fare il figlio della merda?» gli disse. «Tanto a rompere i coglioni con la straordinaria potenza dell'armatura da nerd, e poi sei una scartina qualsiasi.»

«Tu...» Un colpo di tosse lo interruppe. «Lo credi davvero?» Innalzò un dito, l'indice. La scarica arrivò prima che lei si rendesse conto dell'errore.

Altair si protesse gli occhi con il braccio. I fulmini attaccarono i suoi, lottarono, penetrarono nella sua difesa. Prima tornò il prurito, poi arrivò l'odore di bruciato. Il dolore esplose all'improvviso. Si allontanò in un balzo, si controllò gli abiti: della manica restava solo qualche brandello. Della pelle al di sotto, invece, una chiazza nera fumante, da cui saliva una puzza nauseante.

La Tempesta dentro di lei accorse in quel punto. Le premeva sopra e sottopelle, mentre sanava la ferita.

«Allora, chi è la scartina?» Drake tornò in piedi, il suo stupido ghigno tornato a infestargli il volto.

Altair serrò le dita. «Ancora tu, supercattivo di 'stocazzo.» Ripartì all'attacco. Niente più fregature, questa volta. L'avrebbe ucciso e basta.

Un rumore improvviso. Sopra la sua testa. Altair si arrestò, il capo reclinato. Il suono di venti e più bottiglie che si frantumavano una dopo l'altra proveniva dalla cupola. Delle gocce d'acqua le bagnarono il viso.

Poi arrivò il tuono. Si schiantò contro il palmo sollevato di Drake.

Altair chiuse gli occhi. Li riaprì subito dopo, e cercò la figura agonizzante di quello stronzo; invece lo trovò in piedi, illeso. I fulmini gli si agitavano nel petto, battevano contro il vetro.

«Adesso sono pronto a farti il culo,» ghignò Drake.

Altair recuperò la pistola da terra. L'elettricità le ululava nelle orecchie. Le saette le si contorcevano nello stomaco, strepitavano. Le scariche si protrassero verso i polsi, avvolsero la pistola, la inghiottirono nelle loro fauci rabbiose.

L'eccitazione della Tempesta le scombussolava perfino il sangue che le circolava nelle vene. Il cuore aumentò i battiti.

Le chiedeva di sfogarsi. La pregava di distruggere.

«Anche io, stronzo.» Altair gli lanciò contro la pistola. Lui non ebbe il tempo di fermarla, se la ritrovò appiccicata alla faccia; i capelli gli si rizzarono, l'odore di carne bruciata si sparse sotto il profumo della pioggia.

Altair gli corse incontro. Spiccò un balzo e gli piantò entrambi i piedi sull'armatura. Drake volò verso il muro. L'intero edificio venne scosso dai tremiti. Poi la parete si piegò fino ad aprire una fessura. Drake sprofondò giù.

Lei gli andò dietro. Con le braccia allargate, saltò nel vuoto. Atterrò in piedi, si guardò attorno. Questa volta era morto per forza. Così pensò, invece lo trovò appeso a un lampione. Lo guardò scendere, flettendo le dita di mani e piedi. La pistola gli aveva folgorato metà guancia.

«Tutto qua?» le urlò. Distese i palmi. «Te la faccio vedere io, la vera forza della Tempesta.»

E i fulmini esplosero.

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