Capitolo 26
Il mondo vorticava. L'umidità permeava l'aria. L'odore della pioggia penetrava nella cupola, si spargeva lungo le strade di Nuova Folk.
Mira agonizzava, stesa a terra. Non era il dolore, a immobilizzarla, quanto una sensazione di totale vuoto interiore. L'energia che la animava, i fulmini, le si erano riversato tutto fuori; a rimanere erano solo muscoli troppo contratti e stanchi per muoversi. Eppure, con uno sforzo titanico, serrò le dita e sollevò il busto di qualche centimetro.
I capelli le dondolarono davanti agli occhi, verso il basso. Arruffati, sporchi, con alcuni ciuffi ancora elettrizzati.
Ricadde di faccia contro una crepa nell'asfalto. Allora strisciò, strisciò per raggiungere una meta che non conosceva nemmeno. Le labbra le tremavano; le morse per fermarle. Il sapore ferroso le pizzicò la punta della lingua.
Dov'erano Elettra e Altair?
Concentrati sui fulmini. Prova a immaginare di rinchiuderli in una scatola.
Ci aveva provato. Mira ci aveva provato davvero. Ma come poteva una semplice scatola imprigionare la rabbia feroce della Tempesta? Il coperchio era saltato prima ancora di chiudersi.
Eppure non aveva più importanza, perché ormai non le era rimasto nulla.
Si tastò il petto. Intrappolò la divisa bruciacchiata in una morsa. Le scottò le dita, ma non allentò la presa. Stilettate pulsanti le strisciavano nei muscoli, raggiungevano il cervello. Assurdo che ancora avesse una testa e non fosse scoppiata.
Passi pesanti in corsa, verso di lei. Mira fece leva sulle braccia e mantenne il busto sollevato. Immaginò Elettra e Altair, le vide quasi entrare nella sua visuale, inginocchiarsi a controllare che stesse bene. Avvertì perfino il peso del calcio di Altair sulla schiena.
Delle mani la afferrarono per il colletto. La alzarono di peso. Il miscuglio di Tempesta e ambra tipico di Altair non c'era però; al suo posto, assaporò solo sudore e i rimasugli lontani di un deodorante da donna.
Con le dita, Mira cercò quelle che la stringevano, affondò le unghie in qualcosa di metallico. Lo stomaco le si contrasse, ma i fulmini non tornarono. Così diede solo qualche colpo letargico alle braccia che la tenevano. Le arrivò un pugno dritto sulla guancia.
Mira urtò di nuovo il terreno. Si acciaccò la lingua fra i denti; il dolore tuttavia non lo distinse, si disperse nel mare di sensazioni e pulsazioni che le invadevano il corpo.
«Mi fidavo di te.» Alex le puntò contro l'indice: un fucile carico di rabbia, pregiudizi e disprezzo. «Mi fidavo. Ho sempre pensato che fossi una stronza, ma mi fidavo, cazzo!»
L'asfalto sotto di lei ardeva ancora. Mira ci poggiò le dita, fissò le macchie nere che lo percorrevano e si intrecciavano fra loro, il lascito delle creature della Tempesta ormai svanite nel nulla. Aprì le labbra per replicare e le richiuse subito dopo: che senso aveva parlare? Per dire cosa, poi?
Alex aveva ragione.
«Ci siamo parate il culo a vicenda quante volte? E invece tu hai sempre mentito...»
«Alex.» Norton le abbassò il braccio. «Calmati. Sono sicuro che c'è una spiegazione.»
«Certo che c'è. Mira è un'ibrida. Una schifosissima figlia della Tempesta.» Alex terminò la frase con un mezzo grugnito, poi gli diede le spalle.
Una figura imponente le coprì la visuale. Drake si abbassò su di lei. La osservò soltanto, gli occhi spenti, pensierosi. Del suo snervante, odioso sorriso niente traccia. Non disse niente, la squadrò e basta; sostò prima sul suo viso, ne incrociò lo sguardo, poi scese sulla divisa bruciata e, infine, cercò le mani tremanti.
Mira strisciò via, voleva sottrarsi al suo giudizio.
«Ascoltatemi.» Norton lo convinse a voltarsi. Mira tirò un sospiro di sollievo. «Una di quelle creature le è entrata dentro, come... come un fantasma. L'ho vista. Per quanto ne sappiamo, quello che è successo dopo potrebbe essere stato solo una conseguenza di questo. Non dovremmo giungere a conclusioni affrettate.»
La stava difendendo. Perché?
Alex gli andò incontro, come se volesse investirlo. «Smettila di arrampicarti sugli specchi.»
Norton non batté ciglio. «Non mi sto arrampicando sugli specchi, ti sto solo dicendo di guardare alla vicenda con occhio oggettivo e non lasciarti sempre accecare dai pregiudizi. Ci sono tante cose che non sappiamo, sulla Tempesta. Non puoi dare sempre tutto per scontato.»
«Sai dove puoi ficcartelo, il tuo occhio oggettivo?» Alex gli gridava a un palmo dal naso, agitando le braccia. «Io lo so benissimo cosa ho visto: Mira è un'ibrida. Punto.»
«Ragazzi...» Drake si avvicinò con fare pigro, poco convinto. Si frappose fra la figura calma di Norton e quella furiosa di Alex. Era il perfetto anello di congiunzione fra quei due.
Norton si lasciò andare a un sospiro esasperato. «Se davvero è così, se davvero è un'ibrida, mi spieghi perché si è fatta atterrare da te senza neanche difendersi?» Indicò Mira, ancora spalmata sul terreno.
La consapevolezza la colpì con più violenza del pugno di Alex: Norton sapeva. Aveva sempre saputo. Il perché la difendesse però non lo comprese. Niente, del comportamento di Norton, aveva senso.
Drake annuì, prima piano, poi con più energia. «È vero,» borbottò, e Alex gli scoccò un'occhiata in tralice. «È vero, pensaci, ci deve essere per forza un'altra spiegazione. Insomma, è Mira.»
«Si può sapere che cazzo vi prende? È palese che è una figlia della Tempesta!»
Tre paia di occhi si posarono su di lei. Carichi di aspettative. Attendevano una replica, una spiegazione o anche solo una qualche reazione.
Mira lottava per alzarsi in piedi. Si puntellò sui gomiti. Il secondo successivo, picchiò il naso contro l'asfalto. Il sangue le strisciò fino al labbro. Lo ripulì con la manica e provò ancora. Ricadde di nuovo.
Alex si sbagliava. Forse un tempo Mira era stata davvero una figlia della Tempesta, una creatura fiera, piena di forza, come Altair, come Elettra. Ormai però non era più nulla, solo un essere patetico e vuoto.
Un guizzo di luce attirò la sua attenzione. Nel buio di un vicolo, dei vetri rotti riflettevano un bagliore lontano. La chioma rossa di Altair faceva capolino, la pistola a doppia canna posata sulla spalla. Accanto a lei, un'altra donna, che la spinse indietro; entrambe vennero inghiottite dal vuoto.
La tenevano d'occhio.
Mira avvertì un guizzo dentro di sé. Fu questione di un attimo, una scintilla di calore che morì subito. Emise un piagnucolio. Come si era ridotta. Si faceva schifo da sola.
«A me sembra solo una donna spaventata,» disse Drake.
Norton la raggiunse. Le mise le mani sotto le ascelle e la aiutò a rimettersi in piedi. Lei gli si aggrappò alla divisa. «Faremo degli accertamenti. Non ho intenzione di perdere il mio agente migliore senza prima essermi assicurato che non sia tutto un errore.»
Alex gli rispose sbuffando, ma non aggiunse altro. Drake si precipitò a sorreggere Mira. Lui e Norton se la passarono come se non fosse altro che un misero fardello fastidioso, una creatura fragile, da proteggere.
Che schifo.
Non si era mai sentita tanto umiliata in vita sua.
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Seduta sul divano, Mira era tornata se stessa. Più o meno. L'elettricità le scorreva sulle punte delle dita, le collegava l'una all'altra in un unico circuito.
Appoggiato al bracciolo opposto, Norton si tamburellava le gambe. Dietro gli occhiali, in bilico sul naso, gli occhi scrutavano il riflesso di Mira sul televisore spento. Sopra di loro, un ventilatore da soffitto girava lento.
«Da quanto lo sai?»
Lui sbatté i palmi contro le cosce. Distolse l'attenzione, seguì il perimetro del muro con lo sguardo, fino a fermarsi sulle mensole piene di cornici vuote e oggetti decorativi inutili – gufi, tartarughe e gattini, lasciati lì dalla donna che le aveva affittato la casa. «Da sempre.»
Mira congiunse il medio e il pollice. I fulmini si incontrarono, si unirono in una danza frenetica. Era stata una stupida a credere di poter mantenere il segreto con uno come Norton. «Perché mi hai difesa?»
«Ho faticato troppo per pararti il culo fino a ora.» Lui si spinse gli occhiali sul naso. «Sarebbe uno spreco perdere un'agente come te, nonostante i problemi che provochi.»
Mira rinchiuse i fulmini – non in una scatola, ma solo dentro di sé, al sicuro, dove dovevano essere. «Pararmi il culo?»
«Non mantieni proprio un basso profilo.» Norton si spiaccicò il palmo sulla testa, appiattendosi i capelli. «Insomma, anche tralasciando quegli spacciatori che hai ucciso nel vicolo...»
«Non sono stata io.» Fu più forte di lei. Mentire era inutile, eppure l'istinto la spinse a rispondere. Si morse il labbro subito dopo e si abbandonò contro lo schienale.
Norton tirò un sospiro che si trasformò in sorriso. «Non ho intenzione di rimproverarti. Della vita di tre scarti della società mi interessa poco.» La tranquillità con cui lo disse la sorprese.
Anni trascorsi a lavorare insieme, e Mira aveva sempre dato per scontata l'alta moralità di Norton. Il perché non lo sapeva nemmeno lei. Le provocò un certo sollievo scoprire che condividevano molto più di quanto credesse.
«Sei sempre stata di più di un semplice essere umano, era ovvio.» La affrontò soltanto allora, con i suoi occhi troppo grandi oltre lo spesso strato delle lenti.
Ridicolo come si fosse sempre preoccupata senza alcun motivo. Ad accettarla nella squadra speciale era stato proprio Norton, e l'aveva fatto con la consapevolezza della vera natura di Mira. Accettare una figlia della Tempesta nella propria squadra non era una cosa da tutti; difenderla e coprirla pur di evitare che gli altri la scoprissero però era tanto straordinario da diventare stupido.
Distese il braccio lungo lo schienale. Sfiorò la spalla di Norton e cercò, in quell'istante di contatto prima che lui si scansasse, un guizzo di energia dentro di lui. Una motivazione che spiegasse un comportamento altrimenti insensato. Si aspettò una scintilla che rispondesse alle sue, invece niente.
Un taglio gli percorreva il sopracciglio sinistro, incrostato di sangue. Sotto la camicia pulita, la pelle presentava macchie annerite.
Era una persona comune. Nulla di più e nulla di meno.
Una domanda le premeva contro la gola. La lasciò uscire in un verso rauco. «Perché?»
Norton intrecciò le dita delle mani sulle gambe. «Non ho mai condiviso l'odio per gli ibridi. Siete forti, veloci, risorse preziose per combattere il marcio di questo mondo. Combattervi non ha senso.»
Il neon sul soffitto ronzò un paio di volte.
«Non è solo odio,» disse Mira. «È la legge che ci vuole morti.»
Lui reclinò la testa. «Lo so. Ma è sbagliato. E stupido. Voglio dire, guardati.» Girò il busto. All'improvviso era troppo vicino, ne sentiva il calore. «Nonostante tutto sei la mia agente migliore. Quanti criminali hai fermato? Quante persone hai salvato? E se per averti in squadra vuol dire lasciarti la libertà di sfogarti e prendertela con qualche scarto ogni tanto, allora ben venga. Sono sicuro che ne valga la pena.»
Le si sollevò il sopracciglio, un riflesso involontario. Si alzò in piedi, per sfuggire al calore del suo corpo e all'odore di sangue che si portava ancora appresso. «E i ribelli? Stai coprendo anche loro?»
«Tu li stai coprendo?»
Mira preferì restare in silenzio. Non ci teneva, a tirare troppo la corda. Soprattutto perché, con la protezione di Norton, non aveva più alcun bisogno dell'alleanza con Elettra.
Una manina piccola ma forte le afferrò le viscere, le schiacciò in una morsa ferrea. Le rivide entrambe, Elettra e Altair, una a respingere l'avanzata delle creature della Tempesta, l'altra a rassicurarla mentre il mondo perdeva di significato. Rivide Xander – o comunque si chiamasse – prenderla per le spalle e prometterle che non sarebbe stata sola.
Norton si asciugò il sangue sul sopracciglio. «Non so bene cosa pensare di loro. Non capisco cosa vogliano. Mi piacerebbe parlarci, chiedere le loro motivazioni, comprenderli.» Fece una pausa, scuotendo la testa. «Non li sto coprendo, per rispondere alla tua domanda. Li sto cercando come tutti. Ma continuano a sfuggirmi, non mi sembrano nemmeno persone vere, per quanti indizi possiamo trovare, continuano a essere inesistenti. Io non ne ho mai nemmeno visto uno.»
Questo la fece sorridere. Fra tutti i componenti della squadra, Norton era quello più incline a conversare con Xander.
«Certe volte mi chiedo se non sto inseguendo soltanto un concetto. Una personificazione di tutto ciò che la gente di Nuova Folk teme e odia.»
«I concetti non picchiano così forte,» gli rispose.
Norton scoppiò a ridere. Un suono piacevole, dopo la tensione che aveva permeato la stanza fino ad allora. «Non riesco nemmeno a capire cosa c'entrino McRaven e Moore, in tutto questo,» disse poi, in un sospiro stanco. «Evelyn Moore è la figlia di Kirk Moore, ex dipendente della S.d., cacciato fuori tredici anni fa per motivi ignoti.» Incrociò le braccia. «McRaven è la figlia di Nolan McRaven e Paula Green. I due non si sono mai sposati. Suo padre era un attivista pro ibridi, ma è scomparso dieci anni fa. Sua madre lavora tutt'ora per la S.d.»
Mira ascoltò in silenzio. Elettra non le aveva detto niente a proposito di Evelyn e Keira, se non che facevano parte della sua squadra.
Norton aprì il palmo, il gomito poggiato sul ginocchio. «Sono molto più collegate alla S.d. che agli ibridi. Non capisco. Ho tante di quelle teorie sugli ibridi e la S.d. eppure nessuna mi sembra giusta.»
Si avvicinava alla soluzione molto più di quanto avesse fatto Mira. Presto o tardi ci sarebbe arrivato. Cosa sarebbe successo allora però lei preferiva non scoprirlo.
«Mira.» Norton si levò in piedi, di nuovo troppo vicino. «Posso farti tornare in squadra, evitare il disastro.»
«Come? Mi hanno vista.»
«Nessuno di noi sa che cos'abbiamo visto. Ho dei contatti con dottori ed esperti della Tempesta, basterà trovare una spiegazione plausibile per farti passare per umana. Ma da oggi in poi devi stare attenta.»
Nemmeno Norton poteva prometterle l'immunità per sempre. Le pillole non bastavano. Rimaneva una sola soluzione: Elettra.
Annuì soltanto.
«Ti lascio una settimana di riposo,» riprese Norton. «La situazione è già abbastanza incasinata di suo. Drake non sarà un problema, ma Alex deve darsi una calmata prima di rivederti. Non ti accetterà subito.»
«Non mi accetterà mai.»
Lui inspirò a fondo prima di parlare. «Lo farà. Per lei è difficile, dopo quello che ha passato, ma ti prometto che...» Si bloccò, perché intercettò la nota interrogativa nell'occhiata di Mira. «Ha perso il padre in un incidente sul posto di lavoro. Un suo collega nascondeva la sua natura di figlio della Tempesta e un giorno ha sbagliato qualcosa, non si è trattenuto, non lo so. È esploso un intero palazzo.»
«Che lavoro faceva?»
«L'elettricista.»
Dimenticòil resto delle domande che le vorticavano nella testa. Ascoltò il resto delleraccomandazioni di Norton e lo osservò uscire. Quando rimase sola, nella stanzasilenziosa, si lasciò sprofondare sul divano.
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