Capitolo 10
Le punte dei due proiettili sostavano in attesa di fronte a Mira. Una piccola pressione ai suoi fulmini, e quelli li disintegrarono in uno scoppio di energia. Bestemmiò in un sussurro: l'obiettivo era di rispedirglieli in faccia, non di farli esplodere. Calibrare la forza in un punto di risonanza si prospettava un'impresa titanica.
«Ma li sai usare, almeno?» La rossa le puntò un dito addosso. «I fulmini, intendo. Di solito che fai, li usi per friggere le uova?»
Mira non le rispose; la vena sulla tempia le fremeva, forse per la forza della Tempesta, forse per il commento della rossa. Non lo sapeva e non le importava.
Scattò all'improvviso. Raggiunse la rossa con un salto e le sferrò un calcio sulla nuca. Si aspettava una resistenza, di colpire il vuoto, invece l'altra cadde con la schiena contro il pavimento e lanciò un'imprecazione. Non un urlo né un lamento, solo una strana sequela di parolacce mescolate fra loro e un insulto – "figlia della merda". L'arma le sfuggì di mano e scivolò sul pavimento.
Mira batté le palpebre, sorpresa, il sangue che le pulsava nelle orecchie. Se l'era aspettata più forte.
Fece appena in tempo a formulare il pensiero.
Se la ritrovò davanti l'istante successivo, assieme a un pugno dritto sulla tempia. Una scossa elettrica l'attraversò, mentre volava verso il muro. L'urto le tolse il respiro. Una nebbia fitta le offuscò la vista; una manciata di secondi, poi evaporò assieme al dolore. Le gambe le tremarono, ma mantenne l'equilibrio.
L'altra si tastò la guancia, riaggiustandosi la mascella. «Adesso ragioniamo,» disse. «Dovevi atterrarlo prima, quel gorilla.» Si abbassò per recuperare la pistola.
Mira si passò la manica sulla tempia, imbrattandola di sangue. «Dov'è la stronza platinata?»
«La platinata?» La rossa controllò il caricatore della pistola. «Ah, intendi la ghiacciolina. Non è qui, oggi tocca a me gonfiarti come una zampogna.»
Perciò si conoscevano. Lavoravano insieme, probabilmente. Un gruppo di ibridi riuniti per attaccare la cupola. Una situazione davvero di merda.
«Allora che aspetti?» rispose Mira, a denti stretti. «Vieni a gonfiarmi!»
L'altra accolse subito l'offerta. Sferrò una raffica di pugni e calci, che Mira parò per puro miracolo. La velocità della rossa la superava di gran lunga, erano su due piani totalmente differenti: se quell'ibrida rappresentava un predatore, Mira simboleggiava al massimo un cervo aggressivo. Eppure, fatta eccezione per un paio di ganci, ne uscì illesa, finché l'altra non le afferrò entrambi i polsi e le abbassò le braccia. Senza difese, Mira subì impotente la testata sul naso.
Il sangue si mescolò ai capelli già scarlatti dell'ibrida. Mira le sputò un altro grumo sulla maschera, centrando il buco di un occhio. Approfittò di quel breve momento di esitazione per frantumarle il ginocchio con la suola della scarpa.
Le ossa non crepitarono come si era aspettata, i fulmini la protessero.
La lotta continuò, una danza selvaggia e brutale; Mira indietreggiava impotente. La forza della Tempesta le ululava nelle orecchie, ma non riusciva a fare nulla se non ripararsi dalla furia della rossa.
Finché non le arrivò una ginocchiata in pieno stomaco. I succhi gastrici le risalirono lungo la gola. Un sapore immondo, aspro, e un bruciore insopportabile. Mira scivolò via, reggendosi la pancia. L'odore dei fulmini della rossa le pungeva il naso.
«Tutto qua? Ho fatto tutto quel casino per questo schifo?»
Mira increspò la fronte, sollevando la testa per guardarle la maschera priva di espressione. Che cazzo voleva dire?
La rossa premette le nocche contro la coscia; lo scrocchio delle ossa le provocò un brivido. «E io che speravo di sfogarmi un po'. Lo sai quanto tempo è, che affronto solo scartine?»
«Hai organizzato tutto solo per incontrarmi?»
«Per chi cazzo mi hai preso?» Una risata secca. «Io non organizzo un cazzo, non ho tempo da perdere a fare piani e cazzate simili. Ho solo pensato di approfittarne. Non pensavo facessi così cagare, a combattere.»
Mira prese un respiro profondo. L'aria le entrò a fatica, il petto ebbe uno spasmo. Non provava dolore, ma era convinta di essersi rotta almeno una costola. «Quindi qual è il vostro piano?»
A passi lenti e tranquilli, la rossa la raggiunse. «Mi spiace, pazza imbranata, è top secret.»
E arrivò un pugno dritto sul naso. Mira sollevò le braccia, ma si mosse troppo lenta. Sentì le ossa incrinarsi e i propri fulmini sollevarsi in risposta. Fece scattare la gamba, alla ricerca del bersaglio. La nebbia era tornata a ostruirle la visuale.
Incontrò solo l'aria. La potenza della Tempesta le trascinò il piede in avanti; atterrò con un tonfo e una brutta vibrazione che le risalì lungo la coscia. Un paio di istanti e ritrovò l'equilibrio. Si voltò di scatto, i gomiti alzati per coprirsi le orecchie.
La rossa si era allontanata di nuovo, passeggiava avanti e indietro. Si fermò per sferrare un calcetto al corpo disteso di Drake. «Sai fare anche qualcosa, a parte cadere da sola?»
Calò un gelo improvviso. Mira si strofinò il naso sanguinante con la manica. Il sapore ferroso le bagnò le labbra, le si insinuò sulla punta della lingua e, in un istante, le riempì il palato. Non ci era abituata, alla forza dirompente dei fulmini che le scoppiettavano lungo il corpo. Non la sapeva gestire.
L'energia le si concentrò sul ponte del naso, un cuore pulsante che cercava di riaggiustare l'osso incrinato.
«Fammi indovinare,» disse la rossa, spalancando le braccia in un gesto plateale, «di solito affronti solo scartine. Criminali di bassa lega e ibridi del cazzo che al massimo sanno ricaricare la batteria del cellulare.»
Vero. Sebbene di figli della Tempesta ne avesse affrontati solo un paio, e in entrambe le occasioni non le era nemmeno servito di impegnarsi più di tanto. Avere il potere della Tempesta dava una spinta in più, ma non tutti erano fatti per combattere.
La stronza che le stava di fronte, invece, era nata per tirare calci.
«Dammi solo il tempo di adattarmi e ti spacco il culo.»
La risata della rossa le provocò uno spasmo della palpebra. «Quindi sei un'altra repressa.» Un'affermazione. Ne suonava convinta. «Come ti sfoghi di solito? Ogni tanto fai esplodere il televisore per divertimento?»
In un'alzata di sopracciglio, Mira raddrizzò la schiena. Non riusciva a capire quale fosse lo scopo di quelle domande. Forse voleva solo prendere tempo. «Tu ti sfoghi facendo esplodere televisori?»
«Ne ho fatti saltare un paio,» ammise l'altra. «Per sbaglio.»
«Per sbaglio,» ripeté Mira.
«Sì. Sai, vai a infilare la spina e ti scappa la scintilla.» Aprì le dita della mano, nell'imitazione di un'esplosione.
Quello stesso gesto scatenò un vero scoppio di ricordi; Mira strinse i denti, mentre lo schermo di un cellulare saltava in aria fuori dall'aula di scuola in una realtà sbiadita e dimenticata. Un errore. Un messaggio del fratello le aveva fatto perdere il controllo – cos'era che voleva? Doveva nascondergli la droga prima che la mamma tornasse da lavoro, forse.
L'ondata di energia le aveva obnubilato il cervello. Aveva provato un piacere unico, perverso, e aveva impiegato diversi secondi ad accorgersi di non possedere altro che un mucchio di plastica bruciata fra le dita.
Scosse la testa e il ricordo svanì. «No,» rispose solo.
La rossa picchiettava il terreno con la punta del piede. «Se lo dici tu.»
«Vuoi ancora perdere tempo a chiacchierare o posso prenderti a pugni, ora?»
Una scrollata di spalle, poi la rossa sprigionò una scarica di scintille; le scorrevano lungo le braccia, le serpeggiavano fra le nocche. «No, in effetti mi sono rotta le palle.»
Meno di un secondo, e le fu addosso. Mira si ripiegò su se stessa, e il peso di un gomito le arrivò sul fianco. Una lancia conficcata fra le costole, ecco cosa le sembrava. L'altra la spinse indietro. Mira spostò entrambi i piedi, li piantò sul terreno con tutta la propria forza, per mantenere l'equilibrio.
Lo capì quando provò a contrattaccare e il suo calcio mancò il bersaglio: non avrebbe vinto. La differenza di abilità, di forza, di consapevolezza fra loro due era troppa. Nonostante l'energia dirompente della Tempesta che la invadeva, nonostante non fosse mai stata tanto forte come allora, non era abbastanza.
Un ennesimo pugno, e Mira finì con il mento contro il pavimento. Sbatté i denti, li sentì stridere al punto da provocarle un brivido. Poggiò le mani a terra. Le osservò, nascoste dentro quei guanti che tanto detestava. Dentro quei guanti vuoti.
La Tempesta ancora le ululava nella testa. Era come una chiamata, un grido di battaglia. Sii te stessa, sembrava dirle.
Ma Mira non sapeva come.
La rossa si preparò a balzarle addosso. Contava di darle il colpo di grazia, un bel calcio dritto sulla tempia. Mira alzò la testa, tirò il braccio indietro e sferrò un pugno con tanta forza che i muscoli le vibrarono.
L'aria compressa raggiunse la rossa in una folata violenta. La centrò in pieno, e le pareti dell'edificio tremarono. La maschera di cera le cadde di dosso, si frantumò in tanti piccoli pezzetti accanto a lei, finita a gambe a all'aria. Emise un lamento mentre si sollevava in piedi; Mira non glielo lasciò fare. Le scagliò un altro pugno da lontano per rallentarla. Le si avvicinò piano, fra una raffica e l'altra, ansimando.
Le imprecazioni e i gemiti dell'altra divennero sempre più lontani. L'elettricità le scorreva nel sangue. Era la vita che le pompava nel cuore. Ogni movimento, ogni passo, perfino ogni respiro le sembrarono difficili, quasi dolorosi. La Tempesta continuava a pomparle nelle vene, voleva uscire, voleva sfogarsi. Non si fermò finché raggiunse l'avversaria, ancora riversa a terra.
Allora si lasciò andare.
L'estasi selvaggia la comandava. Mira si abbassò. I guanti le si colorarono di rosso, ma non si arrestò. Il sangue le schizzò sul viso, ma continuò a colpire. Il corpo dell'altra sobbalzava, e lei attaccava ancora.
Viva.
Si sentiva viva.
La Tempesta le cancellava il dolore. Le toglieva la stanchezza. Era il suo stesso sangue, e più forte Mira colpiva, più quella urlava.
Poi la rossa smise di muoversi, e la coscienza tornò a galla. Seduta su di lei, sporca e malmessa, Mira deglutì a fatica un grumo di saliva fatto di saette. Si perse a osservare il naso deturpato dell'altra, gli occhi chiusi, infiniti tagli e contusioni che le rovinavano il volto.
Intendeva questo, quando la rossa le parlava di come ci si sfogasse? Parlava di quell'ebbrezza?
Mira lasciò la presa sulla tuta dell'altra. La guardò cadere sulla sua stessa pozza di sangue, i capelli che si mescolavano con quel liquido vitale, fino a diventare un'unica cosa. Mira si rimise in piedi, ancora stordita. La pelle le prudeva e le orecchie le pulsavano, ma non era finita.
La stronza rossa era solo di guardia. Lo sapeva. Lo percepiva, un altro ibrido, la sua energia un cuore pulsante.
Si diresse lungo le scale che conducevano al piano superiore, il più in fretta possibile: il dolore alle costole la invase, mentre i fulmini si disperdevano dentro di lei. Impiegò un'eternità a raggiungere il punto più vicino alla cupola.
Alzò il braccio e poggiò le dita sulla superficie liscia della cupola. Nonostante i guanti, le vibrazioni della Tempesta al di fuori, dei suoi tuoni, le regalarono un'ondata di piacere.
Al termine della scalinata la attendeva una figura. Grande, imponente, scura, teneva uno strano marchingegno attaccato alla cupola. Armeggiava con dei fili penzolanti, fra una bestemmia e l'altra. Le dava le spalle, e Mira pensò di lasciarlo fare, di aspettare e scoprire cosa sarebbe accaduto, se il loro misterioso piano fosse andato a buon fine.
La cupola sarebbe esplosa. Nuova Folk sarebbe piombata nel panico. La Tempesta avrebbe distrutto tutto.
Qual era lo scopo di un mondo del genere?
Fletté le dita, pronta a fermarlo. Ridotta com'era, non credeva sarebbe sopravvissuta a un altro scontro, però se lo prendeva di sorpresa magari aveva una qualche possibilità.
L'uomo si voltò. Gli occhi le mandarono un guizzo di energia oscura. Sollevò entrambe le mani; l'oggetto che stava utilizzando rimase attaccato alla cupola, come una ventosa.
Mira imprecò. «Allontanati da lì,» disse. Le saette le si incagliarono nella gola, la pizzicavano.
«Aspetta,» le rispose lui. «Ti assicuro che sono dalla tua parte.»
«Perché? Perché sei un ibrido? Io non sto dalla vostra parte.» Tutta la frustrazione le uscì in un ringhio.
Un tuono scoppiò contro la cupola, proprio sulla sua testa; lo sentì risuonare dentro di sé, scuoterla dall'interno. Il piacere fu tanto intenso che perfino il gemito le morì in gola. «Allontanati da lì,» ripeté quando si fu ripresa, ansante.
Un rumore alle spalle la avvertì troppo tardi del pericolo. La suola di una scarpa le si conficcò nella schiena, una corrente elettrica le scosse la spina dorsale. Cadde in avanti, reprimendo a stento le lacrime.
Una mano le afferrò i capelli e la costrinse a reclinare il capo all'indietro. «Sai, ora sono proprio incazzata.» La rossa premette la guancia contro la sua, lasciandole inalare il suo odore, un miscuglio fra ambra e sangue.
«Altair, porca troia,» sbottò l'uomo. «Te l'avevo detto di non mandare tutto a puttane.» Sospirò. «Ce la fai a tenerla ancora per qualche minuto?»
La rossa gli rispose con un largo sorriso. «Qualche minuto?» Le tirò ancor di più i capelli, e Mira emise un guaito. «Questa figlia della merda deve ringraziare se non avrà le ossa spappolate, fra qualche minuto.»
«A me sembra che te le abbia suonate, però.»
«Vaffanculo.» Altair sfiorò l'orecchio di Mira con le labbra. «La ghiacciolina l'aveva detto, se sei una pazza, però cazzo, non pensavo fossi una sadica.» Con un movimento brusco, la lanciò contro il muro, come se non fosse altro che una carta stracciata.
Mira boccheggiò, il petto premuto contro il pavimento freddo. Che cazzo ne sapeva, quella figlia di puttana, sul suo conto? Che ne sapeva di lei e come si permetteva a giudicarla? Non rifletté nemmeno, quando sferrò un pugno con il guanto, in direzione dell'uomo.
Il marchingegno attaccato alla cupola emise una serie di scintille e un rumore stridente. Si aprì come un frutto tagliato a metà quando crollò a terra con un tonfo, proprio sul piede dell'uomo, che lanciò un'imprecazione.
Altair sbuffò un mezzo sorriso, osservando la scena; durò un paio di secondi, poi le rivolse un'occhiata glaciale. Dalla mano chiusa colarono delle gocce di sangue. Mira perse un battito.
Era morta. Era ufficialmente morta.
Il pugno le arrivò proprio su un occhio, e un altro subito dopo le aprì una ferita sulla tempia. Mentre incassava un calcio in pieno stomaco, il sangue le finì negli occhi che, ormai, non erano più in grado di mettere a fuoco.
Fra la nebbia che le offuscava la vista, riconobbe la pelle scura dell'uomo, il suo viso, contratto in una smorfia di rabbia pura. Quindi non era Altair a picchiarla, ecco perché quei pugni sembravano diversi. Più potenti, ma meno veloci.
In un'altra occasione, forse avrebbe avuto una qualche possibilità contro di lui.
Lui parlava, e Mira faticava a sentire le sue parole, a seguire il senso del suo discorso, che andava avanti assieme ai pugni. L'unica cosa che giunse distinta alle sue orecchie fu una canzone. Poche note, poi Altair disse qualcosa a bassa voce.
«Ehi, superuomo incazzato!» Aggiunse qualcosa, e finalmente i colpi cessarono.
Lui aveva i denti digrignati, e negli occhi lampeggiava una scintilla. «Cosa?» tuonò.
«Stanno per arrivare i rinforzi. Che facciamo, li friggiamo tutti?»
Lui scosse la testa. Abbassò il pugno. Uno schizzo di sangue volteggiò verso il pavimento. «No. Ormai è andato tutto a puttane. Andiamocene e basta.» Si dissero qualcos'altro, raccattarono i resti del marchingegno distrutto e schizzarono giù per le scale.
Mira rimase lì, con il busto che si sollevava appena, mandandole delle fitte di dolore a ogni respiro. Le energie che l'avevano animata fino a quel momento le erano scivolate via.
Respirava ancora. Tutto sommato era fortunata.
Altair... che razza di forza disumana possedeva per essersi ripresa così in fretta dopo tutte le percosse che le aveva dato? Ne era capace anche lei? Magari le fitte che la dilaniavano sarebbero scomparse a breve, grazie a una qualche capacità miracolosa da ibrida.
Ma i fulmini sembravano averla lasciata. La sofferenza rimase lì, vivida, mentre la sua coscienza si affievoliva.
Note:
Ok, dal prossimo capitolo si comincia a sbrogliare un po' il senso della matassa di cose che sono successe, giuro xD
Intanto grazie per aver letto!
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