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II


"Bagno?"
"Certo," Danilo si tolse la maglia, "ma mettiamoci la crema, prima."
"Tu, fai pure. Ti aspetto in acqua, fa troppo caldo."

Il Sole splendeva torrido sulla spiaggia, rendendo la sabbia bollente e fastidiosa, il mare un brodo e i bagnanti un branco di candele sciolte prima di essere accese. I piedi piangevano un attimo dopo aver toccato terra. Era come se ogni singolo granello di sabbia racchiudesse un incendio infernale. La gente correva, si riparava all'ombra degli ombrelloni.
Per Marino era molto più facile, la palma era un passo dalla riva. A lunghi balzi coprì la distanze e si ritrovò con i palmi bagnati dalle onde. Si fermò un momento, guardò a destra, poi a sinistra. Le risate dei bambini e i richiami furibondi di nonne e madri preoccupate intasavano l'aria. Donne e uomini passeggiavano sul bagnasciuga, demolendo i fantasiosi castelli di tanti abili carpentieri di otto anni. Certi temerari correvano, pestavano il suolo con rabbia, altri parlottavano a voce bassa. Marino riconobbe al volo i loro volti. Non ricordava i nomi, ma le facce gli erano famigliari. Uno era un impiegato in banca, la moglie lavorava in un vistoso negozio d'abbigliamento. L'ultima era un po' di tutto, ma al momento una cameriera. E Marino era sicuro di averli beccati a spettegolare spesso. Non era mai riuscito a intrufolarsi nelle loro conversazioni (come nessun altro), ma aveva una vaga idea di cosa li impegnasse tanto. "Lo sai, Tizio ha combinato questo... Caio ha buttato i soldi... Semprogno si è rovinato." Erano (molto probabilmente) le solite tragedie da paese di provincia. Sui teramani, poi, ne circolavano a bizzeffe, un numero temo incalcolabile. Se un bel dì qualcuno riuscisse a raccoglierne una discreta parte e a pubblicarla in un volume, ne farebbe bei soldi. Perché, beh, c'era quanto di più bello ci si possa aspettare da una raccolta di racconti corposa, tragica, divertente ed al contempo audace. Tanti complimenti a chi completerà l'impresa.
Un edificio di sabbia bagnata con intarsi di conchiglia e siepi d'alga crollò sotto il peso robusto di Marino , e si levarono un paio di maledizioni. "I bambini di adesso hanno la lingua lunga, pare," pensò.
L'acqua era fresca, una carezza sulla sua pelle. Il mare lo chiamava, invocava il suo abbraccio. Lo desiderava, lo bramava come un bambino con le caramelle. "Cosa aspetti?" Gli chiedeva. "Immergiti." Marino non ci pensò una volta di più ed entrò. Fece pochi passi, oltrepassò il palo con il cartello e si mise a fare il morto, tenendosi a galla, steso sul pelo dell'acqua.

Si sentì come un neonato avvolto nel calore del grembo materno. Era in una bolla, lontano dal mondo e dai suoi rumorosi abitanti. I suoni gli giungevano ovattati, deboli richiami di un realtà forse surreale. O magari non era un'illusione, il prodotto malato di un sogno senza senso. No, come era possibile? Bambini? Cos'erano i bambini, e perché facevano tanto baccano? "No, non ci credere," sussurrò il mare. "Esistiamo soltanto noi, l'immenso blu e le sue docili onde, gli scogli, il cielo. Le voci sullo sfondo non le senti, no. Ascoltami. Tu? Sei uno di noi, no? Mi sembra banale, sei un pezzo di me, un frammento fuggito tra i monti. No, tu sei una parte di un universo morbido, tenero, un'increspatura su un limpido tessuto di lana celeste. Sei un umile granello in uno sconfinato deserto di sabbia turchese, un atomo di azoto tra tante molecole d'acqua. Mi appartieni, te lo ricordi? Bene, non dimenticarlo mai. Tu sei mio e di nessun altro. Adesso sì, ti riconosci? Bravo, torna tra noi, nostro docile agnello smarrito." Marino era sul bordo, ai margini di un terra di cui non si sentiva più un abitante. Forse era meglio il mare, navigare cullato dalle tempeste, da piogge e venti. Era alla deriva, non lontano dalla loro palma, poco oltre la secca. Eppure non era lì. Era come se corpo e mente si fossero separati. E se non era così, non mancava molto.
A salvarlo fu Danilo. Il padre lo trovò tra i morti e lo riportò tra i vivi.

"Ehi, dormivi?" Lo scosse, muovendogli le braccia.
"Mhh, forse." Marino si rimise in piedi e sbadigliò. "Perché?"
"Beh," gli diede una pacca sulla spalla, "ero sulla mia strada verso il bagno, quando ho incontrato Treni," il tipico collega impiccione, "e sono rimasto invischiato nella sua rete di domande intime. Penso di non essermi liberato per quasi una quarantina di minuti."
"Ah, allora mi sono appisolato, sì."
"Strano," rise. "Comodo?"
"Il mare?" Il suo sguardo sognante si bloccò a scrutare la linea dell'orizzonte.. "Un letto migliore non l'ho mai trovato."
"Davvero?" Danilo iniziava a stupirsi.
"Beh, è come una culla. E fa venire voglia di dormire, di spegnersi per riaccendersi in data non meglio precisata," spalancò la bocca, in preda a un altro sbadiglio. "Ho sonno, caspita," concluse.
"Sei sicuro di stare bene?"
"Oh, sì. Benissimo, anzi," si stirò la schiena, come chi si è appena svegliato. "Sarà colpa del caldo, non preoccuparti." In realtà, non era un caso isolato. Erano accadute cose simili altre tre o quattro volte. E Marino ne era consapevole, ma non voleva allarmare il padre. Un po' gli piaceva. No, lo adorava. Lui si metteva lì e il mare prendeva voce per parlargli, rivolgergli le sue dolci parole. Certo, poteva diventare strano. Eppure, perché no? Perché privarsi di un piacere tanto intenso. Era come infilarsi in un vaso piene di miele. Spiegarlo al padre? Sarebbe stato complicato, un compito difficile, ma magari ne sarebbe valsa la pena.

"Cosa voleva Treni?"
"Bah, indovina?"
"Forse ti ha domandato di Patrizia?" Ah, vero, dovrò spiegare anche questa. Beh, tempo al tempo.
"In realtà, no. Ed è strano," in effetti, lo era. "No, ha insistito con un paio di progetti che gli pesano troppo e prova da mesi a sbolognarmi."
"Mi fa troppo ridere quel tipo."
"Ah, davvero? A me fa pena, mi fa venire voglia di buttarmi a terra e piangere fino a disidratarmi."
"Beh, non farlo, per favore. Invece, per me è divertente."
"Dici?"
"Sì, è un fallito, un uomo mal riuscito che però si permette di giudicare chiunque. E poi non si fa mai i fatti suoi, o sbaglio?"
"Esatto. E a te fa ridere?"
"Per non piangere, sì. Penso sia uno di quei casi in cui farsi una risata è l'unica cosa genuina rimasta. Non resta nient'altro, capisci? O ci si scherza su o si finisce in un baratro privo di fondo."
"Non ho modo di darti torto."
"Non penso ne esista uno." Rise. "E non avete parlato d'altro? Cioè, per quasi un'ora ha tentato di mollarti del lavoro in più e basta?"
"Oh, no. Sai come fa lui, no?"
"A dirla tutta, no."
"Si avvicina e ti aggancia, con uno sguardo divertito ma malinconico. Si finge felice, in ottima forma, si inventa un aneddoto divertente sull'ultimo fine settimana e poi attacca. Comincia con un paio di interrogativi sulla salute, sui figli, le cose che non si dicono in strada. Infine, si toglie la maschera e ti svela il favore del giorno."
"Aspetta, quindi ha una sorta di copione?" Sghignazzò.
"Una specie, sì. Ripete sempre la procedura, quando si degna di parlare con i colleghi."
"Con tutti?"
"Praticamente, sì. Con alcuni ha strategie melio elaborate, ma la base penso sia la stessa. Con me ci prova poco, perché sa di essermi poco simpatico."
"Pensavo ti fossero un po' antipatici tutti in ufficio."
"Bene o male, sì. In realtà, molti mi sono indifferenti, li tratto con cortesia ma non mi scomodo mai a fare il simpatico. Anzi, alcuni credono di essere miei buoni amici, perché li tratto come miei pari. E non ci tengo a offendere nessuno, per cui rimarrà un segreto."
"Invece, Treni ha capito tutto."
"Oh, lui sì. Lui è tra i pochi che proprio non sopporto. Lo sa e non ne fa un mistero."
"Aspetta, in che senso?"
"Beh, è una delle prima cose che dice quando mi si avvicina. 'Sì, tra noi non scorre buon sangue, ma...' fa così quasi sempre."
"Ha una bella faccia tosta."
"Assolutamente." Sospirò, "quel maledetto è un furbo."
"Non ne dubito, ma non permettergli di rovinarti le giornate, chiaro? Ti assillato per un po', però ora ti sei svincolato e puoi goderti il mare."
"Hai ragione, non devo avvilirmi per colpa sua! Anzi, sai cosa?" Si alzò, "vado all'ombrellone a prendere la palla. Ti va di fare due passaggi?"

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