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I

"Un po' di musica?"
"Sì, perché no."

Partirono per le nove e dieci. Il Gran Sasso e i suoi amici svettavano tra le nuvole. Il Dente del Lupo* si scorgeva appena, se ne poteva vedere giusto la punta. Il resto era immerso nel biancore delle nubi. E più i Penna proseguivano verso il mare, più i monti si facevano piccini, lontani. E presto li persero di vista.

"Ti ricordi di quando eravamo sul Prena?"
"Sì, pa'."
"Ah, ci dovremmo tornare. Magari domenica, cosa ne dici?"
"Sì, se ti va."
"Lo so," sorrise al figlio, quasi con rassegnata delusione, "non ami andare in montagna."
"Sì," lo interruppe, "però, per una giornata non muoio mica."
"Ah, meno male. Mi mancano un po' quei luoghi. Sai, passeggiare per il bosco, un passo dopo l'altro, tra laghi di foglie secche e faggi. E poi c'erano le valli rocciose, i saliscendi tra macigni e torrenti, cascate e rapide. Per tua madre erano 'sottili squarci nel tessuto della foresta'. Mamma mia, e lì lo stupore non significa niente, non di fronte a spettacoli simili. Bene," si batté le mani l'una sull'altra. Un applauso alla natura? "Mi è venuta voglia di rifarmi un giro da quelle parti. Tu non  saresti dei miei, vero?"
"No, non sempre. Lo sai, preferisco il mare. Portati Arturo, no?"
"Sì, buona idea!" Rise, "così sembreranno noiosi pure i fili d'erba!" Arturo (detto "lu mbapt") era un collega carissimo di Danilo. Era una palla, famoso per le sue lunghe (infinite, per alcuni) disquisizioni su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Poteva parlare per ore del colore di un tavolo e impegnarsi come un maratoneta all'ultimo miglio per spiegare come mai fosse meglio circolare a bordo di una vettura verde e non rossa.
"Sì, appunto. Potresti stuzzicarlo un po'."
"Tipo?"
"Ad esempio, provando a confutare le sue parole, negando le assurdità che spara."
"E cosa ci guadagnerei?"
"Forse un pomeriggio da lanciare nel cesso. O forse lui da di matto e tu ti godi la scena."
"Mhh, sì, sarebbe carino." Intanto, erano arrivati a Mosciano. Da lì, alla grande rotonda appena oltre la Teramo-mare, avrebbero imboccato una scorciatoia. Almeno, molti la ritenevano tale. Costeggiava le colline  di Cologna paese e Montepagano, fino alle pendici di Roseto. Danilo adorava perdersi tra i campi di grano e le balle di fieno, e quella strada era particolarmente panoramica. Alcuni incroci regalavano scorci stupendi, piccoli dipinti da tenere stretti tra le pieghe della  memoria. Se il cielo era pulito (e quella mattina lo era), si rischiava di restare incantati, la fronte madida, le guance bagnate da un misto di sudore e meraviglia.  
"Porca miseria, non è stupendo?" Sì, rispondo al posto suo. Era uno dei pochi (e rari) panorami in grado di mettere d'accordo padre e figlio sull'idea di bellezza. Uno imbambolato dal declinarsi dei colori agricoli, tra il biondo del grano e i mille verdi della vegetazione, l'altro smarrito tra le onde,  inebetito dal loro replicarsi imperturbabile, dal flettersi del blu tra mare e cielo e dai lucori del Sole, pepite d'oro perse in un fiume.
Ne parlerei per l'intera durata del libro (non sfidatemi, potrei esserne capace), ma si da il caso ci sia anche altro di cui parlare.  
La  strada portava alla parte di Roseto sul confine con la riserva del Borsacchio. Il lido L'amour era lontano un paio di minuti di auto da lì, poco dopo la rotonda Nord.

Era frequentato da buona parte delle famiglie ricche di Teramo e dintorni. I Penna non erano considerati dei loro (e neppure nutrivano l'interesse di esserlo), eppure prendevano anno dopo anno una delle palme in prima fila. Danilo si sarebbe anche accontentato del limitato e angusto spazio dei comuni ombrelloni, ma Marino ci teneva tanto ad avere più posto. "E poi, chi lo sa, magari qualche volta inviterò degli amici." Era un decisione risalente a svariati anni fa, a un momento in cui Serena era ancora un felice membro della famiglia e Marino affrontava le scuole superiori. Con il tempo la decisione rimase inalterata, un po' per l'abitudine ad alcune comodità, un po' per tradizione.

Parcheggiata la macchina (non saprei descrivervi il colpo di fortuna) a pochi passi dal lido, furono accolti all'ingresso da una sorridente lavagna, su cui erano spiegati i piatti del menù del giorno.

"Cosa ne pensi?"
"Non male."
"Nemmeno a me." Disse Danilo, fiducioso.
"Poi, pa', abbiamo poche altre alternative." Era maledettamente vero. Di locali e bar aperti a pranzo la zona era sguarnita. Per trovarne di decenti bisognava camminare fino in centro, e significava scottarsi e sudare sotto un Sole poco amichevole.
"Ah, hai ragione. Se avessimo voluto mangiare altro, avremmo dovuto pensarci a casa e confezionarci due panini."
"Parole sante," annuì Marino. "Dai, andiamo a prenotare. Altrimenti non ci ritroviamo nemmeno le forchette."

Al bancone del bar c'era il proprietario, Saverio Trentapiedi. Era alto e robusto, un tronco d'albero sradicato e portato in spiaggia. Contava gli incassi e faceva dei conti, calcolatrice per mano e fronte corrugata per l'immensa fatica. Il suo corpo sembrava chiedere aiuto. "Oh, salve, carissimi!" Quando li vide si illuminò, sollevato. "Ben tornati. Come state?"
"Bene, non c'è male." Rispose Danilo. "E tu?"
"Hai una domanda di riserva?" Risero tutti e tre. "Devo pagare una piccola valanga di spese e, ehi, non ricordavo fosse tanto difficile. Di solito se ne occupa Pedro, ma non ho idea di dove sia finito. Me ne farò una ragione. Invece, come posso rendermi utile per voi?"
"Vorremmo fermare un tavolo per il pranzo." Fece Danilo, con il tipico tono calmo e cordiale.
"Ah, certamente. Nome?" Saverio non sembrava un tipo troppo sveglio. Forse non lo era, ma la simpatia non gli mancava. E nemmeno la buona memoria.
"Rosario." Marino s'intromise. Lo faceva molto di frequente, e quasi sempre si beccava uno sguardo un po' risentito dal padre. Prenotava (bar, pizze da asporto, ristoranti, campi di calcio, qualsiasi cosa) usando pseudonimi tirati fuori sul momento. Rosario era uno dei suoi preferiti.
Saverio gli strizzò l'occhio. "A dopo."

*Il  dente del lupo è una conformazione rocciosa, uno sperone subito alle pendici del Camicia.

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